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Messaggi Don Orione
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Autore: Don Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione oggi

La tensione della novità fa bene e aiuta a fare il bene.

Leggendo la corrispondenza ordinaria di Don Orione ci si imbatte in passaggi preziosi per chiarezza di vedute e per fermezza di criteri. Per esempio, scrivendo a Mons. De Dionigi a riguardo di Villa Eremo di Varallo Sesia, ove si voleva realizzare un’opera di assistenza, Don Orione dice: “Oggi, specialmente per istituzioni di quel genere, è un continuo rinnovarsi, e per dovere e per le esigenze stesse moderne. A tali case di cura si deve applicare il «non progredi, regredi est», sia per cure fisiche che morali. E le nuove istituzioni nostre, per alto principio anzitutto, ma anche solo per ragioni di vita, non devono stare alla coda: meglio, allora, non fare che far male e non all’altezza” (22.5.1932).

 

            Condizione per fare il bene

            Fa parte del dinamismo di ogni organismo vivente il rinnovarsi. Ma certamente Don Orione ha vissuto e ci ha lasciato quasi uno speciale “istinto della novità” quale condizione per fare del bene, per essere più incisivi nella nostra missione al servizio del Vangelo, mediante le opere di carità verso i più svantaggiati e trascurati della società.

C’è una sua frase, tra le più citate del nostro Santo, che riassume questo “istinto della novità”: “I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l'abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa” (Lettere I, 251).

            Tale atteggiamento si riflette nella formazione data ai suoi religiosi ma anche ai laici che entravano nella sua orbita apostolica: “Lungi da noi ogni pusillanimità, sotto la quale s'asconde, talora, la pigrizia o la piccolezza dell'animo. La pusillanimità è contraria allo spirito del nostro Istituto, che è ardito e magnanimo” (Lettere II, 78 e Cost. 121).

E’ a tutti noto quel lungo elenco di opere posto da Don Orione nel Capitolo I delle Costituzioni, da lui scritto nel 1936, dove, non pago di averne nominate una cinquantina, egli conclude “e quelle opere di fede e di carità, che, secondo i bisogni  dei paesi e dei tempi, piacesse alla Santa Sede di indicarci, come più atte a rinnovare in Gesù Cristo la società”. Questo atteggiamento di disponibilità ai tempi, ai luoghi e ai poveri è codificato nel n° 120 delle nostre attuali Costituzioni.

 

La novità viene dai poveri

In ogni Capitolo generale, accanto all’attenzione a forme tradizionali di opere assistenziali, educative e pastorali – una trilogia diventata classica -, si è sempre puntato a rimanere aperti al nuovo. E ogni Capitolo ha dato nomi diversi a questo nuovo: “nuove forme di povertà”, “opere di pronto soccorso”, “interventi nelle nuove frontiere della povertà”, “opere agili e snelle, meno istituzionalizzate”, ecc.

Questa duttilità al nuovo è una aspirazione di fondo, mai negata, mai raggiunta, vissuta talvolta con una certa contrapposizione tra il “vecchio” e il “nuovo”. E’ una tensione salutare, da non viversi come contrapposizione, ma come dovere di creatività di risposte. Infatti, l’orionino cerca di dare risposte “ai poveri più sprovvisti di altre provvidenze umane; questi sono della Divina Provvidenza” (Don Orione).

 

            Le buone novità

Fino al 1940, la novità delle opere è stata guidata carismaticamente da Don Orione stesso. Nei decenni successivi, sono stati alcuni confratelli che – ancora imbevuti del contatto diretto con il Fondatore e particolarmente intraprendenti – sono stati pionieri di nuove risposte ai nuovi bisogni dei poveri. Pensiamo a un Don Pollarolo o a un Don Piccinini o a un Don Pattarello e altri.

Ancora oggi, queste “nuove opere” si moltiplicano, probabilmente meno appariscenti, meno legate a una singola persona che fa da leader e più a una sensibilità diffusa in Congregazione. Penso a quanto si fa per i “senza tetto” in Polonia, per i “ragazzi dei treni” a Victoria (Buenos Aires), per i “meninos na rua” in Brasile nei CEDO, per gli “immigrati extracomunitari” in Italia, per i poverissimi di Madagascar e gli squatters delle Filippine con iniziative di alimentazione per i bambini, con il sostegno a famiglie nella miseria, con le “adozioni a distanza”, ecc.

Nel Don Orione oggi, come anche nel sito www.donorione.org, appaiono continuamente notizie di queste nuove iniziative. Queste notizie ci rincuorano perché “qualcosa già si fa” e anche ci stimolano perché “molto si potrebbe fare”. Solo per questo mettiamo in luce iniziative che sono nascoste e che, nella discrezione, è bene che vivano e crescano. Di queste “buone novità” sono protagonisti diretti soprattutto persone comuni, semplici, che donano tempo, denaro e cuore.

 

La novità fa la storia

Evidentemente, le “nuove risposte alla povertà” non sminuiscono di un “et” il valore e l’urgenza delle altre opere più istituzionali, stabili, vistose e impegnative da gestire. Non è che perché sono più antiche hanno esaurito il loro servizio o sono meno necessarie o meno meritorie. D’altra parte, la validità, l’importanza e le necessità delle opere consolidate non devono fermare l’avvio di nuove opere di frontiera.

Anche se tra mille difficoltà legate al personale religioso ridotto, ai problemi economici e agli ostacoli propri degli inizi di qualcosa di nuovo, le nuove risposte alla povertà ci tengono allenati a guardare alla realtà con gli occhi e il cuore di Don Orione. Sono segno di una vita incarnata nei nuovi tempi e nei nuovi problemi. E’ così che si fa storia. Ciò che oggi è “di frontiera” domani può diventare “tradizionale”, perché la frontiera si è spostata. Ma è compito dei carismi e della vita religiosa stare alla frontiera della carità, nelle posizioni avanzate.

“Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale” (Evangelii Gaudium 11).

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