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Messaggi Don Orione
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Autore: Domenico Sparpaglione
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Don Orione fu convinto estimatore del grande Scrittore e dei valori civili, morali, religiosi contenuti nei Promessi Sposi.

DON ORIONE E IL MANZONI

 

di Don Domenico Sparpaglione

 

Il Centenario della morte di Alessandro Manzoni raccoglie gli italiani — e non solo essi — in una rievocazione cònsona, ammirata e riconoscente, della sua opera di scrittore, della sua figura di uomo e credente. Se Don Orione vivesse tuttora — viene spontaneo pensarlo — si unirebbe con singolare fervore a queste celebrazioni, perche fu uno dei più convinti estimatori delle virtù personali del grande Scrittore lombardo, dei più entusiasti assertori dei valori civili, morali, religiosi contenuti nei Promessi Sposi e, unitariamente, in tutta la sua produzione letteraria.

 

1.    LE PREDILEZIONI LETTERARIE DI D. ORIONE

«Evidentemente l'arte era intesa da Don Orio­ne soltanto e sempre a servizio della fede e della carità. Aveva perciò le sue predilezioni: Dante e Manzoni, Pellico e Rosmini e altri. Volle che in ogni Casa della Congregazione figurassero — insieme con la sacra Scrittura, la Somma di san Tommaso e il De Imitatione Christi — la Divina Commedia e i Pro­messi Sposi » (1). Inaugurando l'Ufficio Stampa dell'Opera, il 22 febbraio 1938, scriveva: «Questo Ufficio non é che un modesto sgabuzzino; é, per ora, un povero tavolo, due panche, carta, penna e calamaio; in alto, alla parete, un Crocifisso, un quadro della Madonna, un Don Bosco; alcuni libri; la Bibbia, Dan­te, Manzoni; e un passo, corto, se volete, com'è il passo breve del bambino». «E’ la nostra fede — aggiungeva — che ha cantato con Dante, con Tasso, col Manzoni; dipinse con Giotto, Raffaello, col Beato Angelico; scolpì con Michelangelo e col Canova; navigò col Colombo, e ci fa cittadini non vili...» (2).

Se Dante e poeta della fede, il Manzoni è poeta della carità. Per questo essi erano poeti « suoi », sia perché più che altri rivestirono del verso e della squisita forma linguistica e concettuale le verità della fe­de, le sublimi speranze dell'anima cristiana, sia per­ché nelle loro pagine e sostanza di pensiero dogmatico con esclusione di tenerume pietistico (3).

«Piaceva a Don Orione l'armoniosa compattezza manzoniana tra l'arte e la vita, l'uomo e il cristiano. In quelle pagine egli ritrovava sé stesso con il proprio ideale di carità, di umanità, di amore ai semplici, ai poveri e soprattutto con il fiducioso abbandono alla Divina Provvidenza.

Aveva in sé, nell'indole e nello sguardo, nella figura, qualche cosa del Padre Cristoforo. Anche lui con due diavoli d'occhi, anche lui impulsivo, forte di carattere, apocalittico negli sdegni, arrendevole e mite alle preghiere, generoso nel perdono, pronto a tutto soffrire per la carita, e per la carita pronto a morire. Specialmente lo zelo e la generosa passione per le anime lo portavano ad incontrare Fra Cristoforo in sé stesso.

Qualche volta si servì dei Promessi Sposi per la meditazione. Negli anni della grande guerra — in cui s'era dato alla buona stampa, divulgando settimanalmente in Tortona, dalla chiesa di San Rocco, dove celebrava nei giorni di festa, dei foglietti volanti con la spiegazione del Vangelo —, sul suo scrittoio figuravano immancabilmente i Promessi Sposi che gli fornivano continue citazioni.

Aveva una predilezione speciale per la predica di Padre Felice e la riportava a memoria soffermandosi su di una frase che per lui valeva una gemma: «l'alto privilegio di servir Cristo nei poveri» {capo 36). Affermò che, se per ipotesi si dovessero smarrire i testi del Vangelo, la sostanza morale di esso si ritroverebbe intera nei Promessi Sposi».

Nelle prediche ripeteva commosso la frase di Lucia all'Innominato: «Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia» {capo 26), e la richiamava sovente nelle lettere collettive » (4). «Veniteli a visitare i poveri del Piccolo Cottolengo, dove è laus perennis per la pace e prosperità delle vostre Famiglie e della Patria, dove tutti i sacrifici e tutte le parole si confondono e si combinano in una sola: Charitas! Iddio perdona tante cose per un'opera di misericordia!» (5).

Un'altra espressione manzoniana tratta dal notissimo commiato di Lucia, mentre attraversa il lago in fuga verso Monza (capo 10), ricorreva spesso nella parola o negli scritti di Don Orione. «Sento che fate tanto bene a Milano — scriveva in data non precisata al noto predicatore barnabita P. Semeria —, e benedetto voi! Milano e voi mi fate ricordare quell’anima Candida e profondamente cristiana del Manzoni. E' un suo pensiero grande e pieno di fede che mi ha confortato in tanti dolorosi momenti e che avrà confortato anche voi, mio buon Padre e dolce amico, là cioè dove dice che il Signore non turba mai la gioia dei suoi figli se non per procurarne loro una più certa e più grande...» (capo 8).

Richiami frequenti al Manzoni

Negli anni giovanili, allorché gli era consentito in misura maggiore di dedicarsi all’insegnamento, gli antichi alunni ricordano con quanto ardore o tenerezza Don Orione leggeva e commentava pagine del romanzo o poesie sacre del Manzoni. Più tardi non si stancava di raccomandarle agli insegnanti dei suoi istituti. « Domani — scriveva a un religioso — e la Natività della Madonna e domenica 12 corrente é il

Santissimo Nome di Maria, che il Manzoni cantò così sublimemente. Leggi alla tua anima e a quella dei tuoi alunni «il Nome di Maria», e infervoratevi di devozione verso di Lei, che ci e Madre... Sia Ella il tuo presidio e il tuo conforto... » (6).

Riferimenti e richiami al Manzoni — indice di una conoscenza profonda e di un affetto ricorrente — Don Orione li faceva con frequenza, anche nei momenti e argomenti più impensati.

In talune lettere di Don Orione riecheggia la sentenza o, meglio, la verità pronunciata dalla protagonista dei Promessi Sposi, quando, prigioniera dell'Innominato, trae motivi di consolazione dalla certezza che la Vergine celeste conosce la sua sofferenza, « sa che ella c'é » {capo 21).

Nel 1923, qualcuno giudica malamente lo sforzo compiuto da Don Orione di dare alle scuole italiane un testo di religione — cosa che un uomo come lui, si dice, non doveva fare, sapendo di finanziario —; informatone, egli rassicura il suo Vicario: «Erano quelli che volevano fare loro gli affari. Ma la Madon­na e il Signore lo sanno che ho lavorato per la fede e per il pane degli orfani...» (7).

Dall'America, il 6 febbraio 1935, in una lettera collettiva il Servo di Dio si rivolge ai suoi assistiti: «Fanciulli poveri e derelitti, vecchi, ciechi, orfanelle, epilettici, malati, mie buone vecchierelle, abbandonate dal mondo ma non da Gesù..., non dubitate: la Divina Provvidenza lo sa che ci siete..., la Divina Provvidenza verrà... » (8).

Per la questua delle vocazioni del 1927, dopo una elencazione delle famiglie religiose e delle attività della Piccola Opera, Don Orione conclude così la sua circolare: « Veda un po', caro Signore e Fratello mio nel Signore, quanti pensieri vengo a darLe, quante persone viene a chiederLe questo Fra Galdino della Divina Provvidenza. Quel tal Fra Galdino del Manzoni (capo 3) si contentava di andare alla cerca, alla questua delle noci; io invece sarà colpa dei tempi che progrediscono! , se Vostra Signoria non starà in guardia, finirò di cercare e di portare via anche Lei... Dio lo volesse...».

II 23 marzo 1938 il Servo di Dio annuncia che per la Pasqua spera possano già esserci, dinanzi al Santuario della Madonna in San Bernardino, quattro grandi antenne con le bandiere italiane garrenti al vento: « Sono già stato a segnare il posto l'altro ieri, oltre le dieci e mezza di notte: la gente del rione guardavano dalle finestre con certi occhi, come quel tal Ambrogio del Manzoni (capo 8), quando sentì gridare aiuto nella famosa notte del tentato matrimonio... » (9).

Nello spiegare la parabola evangelica della chiamata dei lavoratori il 13-2-1938, commenta: «Quando si trovano buoni lavoratori, si devono tenere. Avete letto il Manzoni? Questo c'è nel Manzoni! Bortolo (capo 17) dice press'a poco a Renzo: il padrone mi vuol bene, perché quando trova operai bergamaschi se li tiene cari...».

Iniziando la buona sera il 24 febbraio 1938, Don Orione dice che, fino a qualche momenta prima, non riusciva a trovare un argomento da trattare, ed osserva: « Avrei dovuto avere il cordone di Fra Cristoforo per andare a trovare I'esordio della buona notte tra i grani della Corona, come egli aveva trovato, tra i grani di questa, I'esordio del suo discorso a don Rodrigo... (capo 6); dice poi d'aver trovato come argomento la fuga delle occasioni e, discorrendone, commenta: « Ricordate cosa il Manzoni dice di Renzo? Che cosa pensate domanda I'autore che Renzo si sia poi ancora ubriacato come all'osteria della luna piena? No certo: per un po' di tempo non ne tollerava più neanche l'odore... Io penso che quando sposò Lucia non si sia ubriacato più, e questo per­ché aveva fatto il proposito di fuggire le occasioni: leggete la conclusione del romanzo... (capo 38) ».

Don Abbondio e Donna Prassede

Non potevano certo mancare, nei riferimenti di Don Orione ai Promessi Sposi, gli accenni, anche se per lui motivo di pena, a Don Abbondio: «Come è bello amare Dio e la Chiesa anche con la cultura e con la scienza. Quanto bene può fare un sacerdote o religioso istruito, quanto male può fare un sacerdote ignorante! Quanto è mai brutta la figura di Don Abbondio, la figura del prete ignorante! Non era di cattivi costumi, Don Abbondio: ma Don Bosco non voleva che si leggessero i Promessi Sposi soltanto per la mala figura che, secondo lui, il Manzoni fa fare al clero nella persona di Don Abbondio... San Francesco di Sales chiamava la scienza l'ottavo Sacramento del sacerdote... Se volete che la vostra vita religiosa e poi il vostro sacerdozio possano esercitarsi utilmente, proficuamente, efficacemente aggiungete tutti gli avverbi che volete in bene delle anime, bisogna che non siate dei Don Abbondio che non hanno studiato... «Carneade, chi era costui? », si domanda (capo 8). Ma bella cosa per un prete!... Se avesse studiato di più... Oh, che noi non vogliamo essere dei Don Abbondio! Noi vogliamo essere degli uomini di Dio!...» (10),

« Oggi — iniziò così Don Orione il sermoncino serale in modo inusitato, il 21 luglio 1939 —, oggi, lo sapete, e la festa di Santa Prassede, vergine e martire, celebre Santa romana, sorella di Santa Pudenziana. E pensavo se avessi fatto bene a parlarvene. Poi mi è venuto un altro pensiero; ho detto tra me: ho già parlato una volta, qualche giorno fa, di tre Santi! E quindi ho pensato di dirvi altro. Anche l'agiografia bisogna che sia discreta. Invece di parlarvi di Santa Prassede, vi parlerò di un'altra Prassede, quella del Manzoni, per dirvi qual è il significato che il Manzoni le dà (capo 25)... ». Commentato quanto si legge nel romanzo, Don Orione conchiuse: «Voi sapete il resto... A conclusione vi ricordo la cosa più importante. Di donna Prassede dice il Manzoni che voleva sempre fare la volontà del cielo: peccato che metteva la volontà del cielo nel proprio cervello! Qual è l'idea principale di questo passo manzoniano? Che cosa ci voile dire il Manzoni in donna Prassede?... Volle farci sentire come dobbiamo, nel bene e nello zelo del bene, essere soavi e discreti; non deve essere uno zelo che brucia. Volle forse il Manzoni descrivere i difetti della vecchiaia; ma volle anche colpire quell’attaccamento che si nota a volte in uno spirito che si ammanta di pietà; l’attaccamento che molte volte la gente di chiesa ha al proprio amor proprio. Nel ro­manzo del Manzoni sono celebrate tutte le virtu cristiane, in modo speciale la carità, l'obbedienza e la povertà, e si colpiscono e si detestano tutti i vizi. Donna Prassede, che mette la volontà del cielo nel proprio cervello, insegna a me e a voi, ci avvisa di essere guardinghi, di essere staccati dal nostro giudizio, e di non ritenere come volontà del cielo ciò che e proprio del nostro capriccio».

Fra Cristoforo e I'uomo vecchio

Nel raccontare la cerimonia della posa della prima pietra dei primi padiglioni del Piccolo Cottolengo di Milano (7 dicembre 1938), Don Orione ricordava scherzosamente che in mattinata, dopo il Vangelo, aveva parlato: « Ho cercato di dire qualche cosa su S. Ambrogio, poi sul Vangelo, poi sulla cerimonia che si sarebbe svolta nel pomeriggio.,., un discorso "ragò"... Fatto sta che alla fine vidi un uomo di grande ingegno e di grande cultura, presente, che lacrimava... Ricordate quella pagina del Manzoni, del frate portinaio che si scandalizzava perche Fra Cristoforo (capo 8) lasciava entrare in convento delle donne?... Ma Fra Cristoforo buttò là quelle tre parole, a cui forse non aveva pensato prima, ma che ebbero un effetto magico sul frate laico... Omnia munda mundis... Di fronte a quel latino Fra Fazio non parlò più... Fosse stato un parlare italiano o a base di ragioni fa notare il Manzoni -, allora chi sa che cosa il portinaio avrebbe avuto da dire... Fatto sta che, come il Signore ha parlato per mezzo dell'asina di Baal e come Fra Cri­stoforo con tre parole latine chiuse la bocca al frate portinaio, così quel signore di stamattina a Milano, dopo di quelle mie povere parole, uscì dalla chiesetta che piangeva... Cosa volete?... Spiritus ubi vult spirat...».

Commentando il significato del rito della vestizione sacra fatta da alcuni suoi aspiranti, il 19 maggio 1939, Don Orione osservava: « Tutta la vita è pugna, è milizia, battaglia. Ma per vincere ci vuole pietà for­te, spirito di fede grande!... A volte potrà darsi che l’uomo vecchio la cui morte e indicata dall'abito sacro, nero e simbolo di mortificazione salti ugualmente fuori... Ricordate Fra Cristoforo davanti a Don Rodrigo (capo 6), nel punto in cui il Manzoni dice che l'uomo vecchio si trovò d'accordo con I'uomo nuovo e il frate piantò gli occhi negli occhi dello scostumato, che allibì, uscendo in quelle famose parole: Verrà un giorno...? Ma subito I'uomo nuovo, creato da Dio, dice Manzoni, imbrigliò l'uomo vecchio...».

Ripresosi dopo il pericoloso attacco cardiaco del 9 febbraio 1940, Don Orione si confidava coi suoi in una buona sera: «In questi giorni io pensavo, facevo un po' di filosofia della storia dei passati giorni. E, un poco manzoniano, sono andato all'ultimo capitolo dei Promessi Sposi — che e un gran libro, vedetelo, e una grande filosofia cristiana! —; e là il Man­zoni e andato a far cercare da Renzo e dalla sua buona moglie Lucia la ragione come mai fossero capitate loro quelle vicende più dolorose che liete. E così Manzoni cavò il succo del romanzo, nel modo più alto e degno, che voi conoscete (capo 38). Io pensavo in questi giorni a cavare il frutto di quello che è capitato a me e alla Casa, vedendo in tutto la mano, la voce di Dio: Dominus est!... Iddio parla con la vita e con la morte, con la gioia e col dolore».

« Educate i giovani alla necessità come alle gioie del dolore — esortava i suoi missionari (21 - 2 -1922) —. La vita e seminata di lacrime! Anche in ogni gioia vi è sempre una vena di dolore. Quando tocca ai vostri giovani un dolore, fatene ricercare loro subito la cagione, e, come il Renzo del Manzoni, troveranno che la colpa dei mali hene spesso, per diretto o indiretto, è nostra. Ma i dolori più fondi fanno le gioie più alte e l'umana società e congegnata in modo che sempre dal male esce un bene più grande, come ben dice il Manzoni nell' "Addio monti"».

Nel gennaio 1911 a Tortona si fanno progetti per un pellegrinaggio diocesano a Lourdes. Don Orione, che si trova allora a Messina quale Vicario generale, viene interessato perche vi partecipi personalmente e stimoli altri a parteciparvi: «Di quanto mi dici di aver pubblicato sul « Popolo » — risponde al direttore del settimanale tortonese — non sapevo nulla: non mi arriva... Che dalla diocesi di Messina vengano in 25 (proprio quanti i lettori del Manzoni!) (capo 1), mi pare difficile, date le condizioni disastrose in cui e tuttora la città e diocesi; ma, pubblicando il pelle­grinaggio sul "Corriere della Sicilia", che e assai diffuso per l'isola, penso che qualche cosa si possa sperare...» (11).

Nel dicembre 1930 Don Orione lancia in Tortona il suo primo Presepio Vivente con alcune centinaia di pastori, di angeli e il corteo dei re magi, per la maggior parte suoi ragazzi, aspiranti e chierici. « La conclusione del Presepio? — scrive poi sul foglietto del Santuario della Madonna della Guardia — « Noi siamo come il mare che riceve acque da tutte le parti e le torna a distribuire a tutti i fiumi », parlava così quel tal Fra Galdino (capo 3), il laico cappuccino che andava alla cerca delle noci. E cost noi della Provvidenza: cerchiamo la carità e facciamo la carità! A coronamento del Presepio Vivente si pensò, dunque, di dare un pranzo a 100 poveri, che poi diventarono 120; fu servito dai pastori in costume. Fede e carità! II banchetto riuscì cordialissimo e venne chiuso tra evviva alla Divina Provvidenza... "La carità porta sempre buon frutto ", diceva il Manzoni » (12).

 

2.    PASSI CONDOTTI DALLA PROVVIDENZA

«Don Orione prediligeva i Santi, abbandonati, diremmo, fanaticamente alla Provvidenza Divina: San Francesco d'Assisi, San Gaetano da Thiene, San Giuseppe Benedetto Cottolengo e altri. Dal Vangelo e dall'esempio loro egli trasse quella norma di vita che tradusse nel suo animoso apostolato e traspare da ogni suo scritto. Su questo caposaldo di fede nella Divina Provvidenza e anche fondata la simpatia di Don Orione per il genio che fa della propria arte uno strumento di divulgazione del Vangelo. Così, ammirazione ed amore dimostro sempre per Alessandro Man­zoni la cui fede e la stessa di Renzo e di Padre Cristoforo, di Lucia e del Cardinale, è la virtù sublime dei Cappuccini e di coloro che si sacrificano nell'assistenza dei poveri e degli appestati, e la carità del Cottolengo, Provvidenza in atto, assunta in pagine d'arte » (13).

« Don Orione — osservava il Cardinale Montini intitolo l'Opera sua alla Divina Provvidenza, che vuol   dire   a   un   rischio   continuo,   ad   un   atto   di fede, basato non  su  argomenti  terreni e temporali, calcolabili, ma sopra questo incalcolabile ma reale aiuto che viene da Dio. E perche ciò fosse possibile mise nel cuor suo - e in quello dei suoi figli e successori l'arte di captare la Divina Provvidenza, che e un supremo disinteresse, e una preghiera che non dorme mai, e una bontà che sorride quando verrebbe tanta voglia di piangere, che e una pazienza che resiste quan­do tutto farebbe dire: - Beh, finiamola e basta così!

Se il mondo non vuole, vada anche lui, che io sono stanco di star a beneficare e a consolare chi non vuole essere né beneficato né consolato... Questa capacità di ricevere, di meritare l'aiuto della Provvidenza - l'ascetica cioè che rende possibile il contatto e l'innesto della causalità di Dio con la nostra. Don Orione la ebbe...» (14).

Eppure, - sottolineava Mons. Melchiori - «Egli parve un dimenticato della Divina Provvidenza: figlio di poveri genitori, stenta a campare la vita; desidera darsi allo studio e gli mancano i mezzi; va a battere alle porte dei Francescani di Voghera, vi e accolto, ma dopo breve tempo deve lasciar quella casa per mancanza della necessaria salute; e ricevuto da Don Bosco a Torino, ma poi capisce che quella non e la sua via; e accolto nel seminario diocesano, ma non puo beneficiare che in parte della sua opera educativa perché, essendo povero, deve contemporaneamente prestare servizio in Duomo quale custode inserviente. Quelle però che potevano sembrare dimenticanze erano tratti amorosi della Divina Provvidenza, che voleva fare di Lui l'Apostolo della Carità. Il breve soggiorno nel convento francescano di Voghera mette nell'animo suo i germi profondi e vivificanti delle vir­tù del Poverello d'Assisi, l'umiltà, 1'amore alla povertà ed al sacrificio. La dimora a Torino lo pone a contatto con 1'anima grande di San Giovanni Bosco e con lo spirito del Cottolengo. Il Seminario e il duo­mo lo uniscono nel modo più intimo al suo Vescovo, al clero ed alle tradizioni diocesane riassunte nel nome di San Marziano. Così la Provvidenza formava il suo apostolo, la Carità il suo campione. Il povero giovinetto privo di mezzi e di salute riuscirà a fondare una Congregazione che ha dato alla Chiesa due Vescovi, alle opere di carita centinaia di sacerdoti e di suore, alle missioni gli apostoli che anche nelle terre più lontane diffondono, con la luce dell'Evangelo, la civiltà di Roma e il nome d'ltalia » (15).

II termine « Divina Provvidenza » va generalmente inteso sotto un duplice senso: quello di una provvidenza specifica - e cosi l'umile cristiano lo intende -, cioè di un intervento pronto e palese del soccorso di Dio e della Madonna nei momenti difficili, materiali ed economici, attraversati da persone e istituti; il secondo e quello di un'assistenza più larga, più essenziale, meno palese ma più necessaria, nelle varie tappe, nei travagli, nelle tribolazioni, nei pericoli di ordine morale. Sia dell'uno che dell'altro tipo di Provvidenza la vita e l'azione di Don Orione allineano testimonianze copiose e varie (16).

La Provvidenza ama di più chi più soffre

L'audacia santa nell'intraprendere, solo fidato nella Divina Provvidenza, le iniziative più pesanti, costituiva già un segno distintivo della sua attività benefica. Molti lo ammiravano appunto per questa generosa diffidenza di sé e per la serena attesa del conforto del Signore nell'attuazione di quanto tornava a salvezza e consolazione dei fratelli più bisognosi e nell'intrapresa delle più imponenti opere. Più volte egli forzò la mano della Divina Provvidenza, della quale amava definirsi pellegrino e strumento (17).

Ricordando gli inizi dei Piccoli Cottolengo così scriveva di sé: « Mentre sull'Europa imperversava la bufera di una guerra quanto mal micidiale, la Divina Provvidenza conduceva per la santa via della carità di Cristo i passi di un povero sacerdote, il quale, già da una ventina d'anni, Benedetto dal Papa e dai Vescovi lavorava con la sua umile Congregazione, « la Piccola Opera della Divina Provvidenza » — alla cristiana e civile educazione della gioventù più povera e derelitta, in parecchi suoi Istituti, sparsi nella nostra diletta Italia e all'estero... » (18).

« La Divina Provvidenza — amava ancora asserire — non lasciò mancare mai nulla, malgrado che con le nostre miserie, la andassimo, chi sa quante vol­te, ostacolando e storpiando nelle sue opere. E noi la abbiamo veduta e l'abbiamo toccata tante volte la Divina Provvidenza! » (19). « Iddio ama tutte quante le sue creature, ma la sua Provvidenza non può non prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati di ogni maniera, dopo che Gesù li elevò all'onore di suoi fratelli, dopo che si mostrò loro modello e capo, sottostando anch'Egli alla povertà, all'abbandono, al dolore e sino al martirio della Croce. Onde l’occhio della Divina Provvidenza e, in ispecial modo, rivolto alle creature più sventurate e derelitte. Quel Dio che e il grande Padre di tutti, che pensa agli uccelli dell'aria e veste i gigli del campo, manda da mani benefiche il pane quotidiano, cioè quel tanto che fa bisogno giorno per giorno... Tutto dipende dalla Divina Provvidenza: chi fa tutto è la Divina Provvi-denza... » (20).

 

3.    LA CONFERENZA DEL 22 GENNAIO 1939

Per questa congenialità del concetto e della realtà di Provvidenza col suo modo di sentire e di operare, avvenne che quando, ai primi del 1939, gli fu proposto una seconda volta di parlare all'Universita Cattolica, Don Orione, dopo aver cercato di esimersi, si rifugiò bellamente nel porto sicuro del Manzoni e dei suoi Promessi Sposi. Il cantore e il romanzo-poema della Divina Provvidenza lo avrebbero aiutato.

È bene ricordare che nel novembre 1933 Don Orione aveva posto una tenda della sua Opera al Restocco di Porta Magenta in Milano, in un ex monastero di Clarisse, trasformandolo gradatamente in una Casa di carità. Nel 1938 poi si era presentata l'occasione di comprare altro terreno limitrofo a quello già del Restocco. Occorreva circa un milione; dove e co­me trovarlo?

II 26 aprile 1938, nel palazzo Visconti, qualche centinaio di persone della migliore societa milanese attendevano con ansia di vedere e di udire il Padre dei poveri. Quel giorno però, Don Orione era stanco e parlò a stento. Forse un discorso carico di calore avrebbe fatto a quel pubblico minor impressione di quel vecchio pallido, con una voce tanto fioca, quel giorno, da dover trattenere il respiro per udirla, ma con negli occhi una luce di bontà, di umiltà, che valeva più di tante fiorite parole. Di questa riunione rimase fisso nei cuori quanto egli ripete tre volte: « Se mi chiedete, o Milanesi, se nella mia vita consacrata alle opere di Carità, al servizio della Divina Provvidenza, io abbia visto lo straordinario, io risponderei di si!... ».

Nei mesi che seguirono l'adunanza in Casa Vi­sconti, molta gente veniva al Piccolo Cottolengo a cercare di Don Orione e a portare offerte. Il 16 novembre

Don Orione scriveva da Tortona al sen. Cavazzoni: « Caro Eccellenza, Deo gratias! Quel tal Renzo diceva: " C’è la Provvidenza! " Oh! se c'é! E ci sono anche i miracoli continui della Divina Provvidenza, e ci fioriscono sui passi. Eccellenza, ella sa che ieri sera, a lei e alla sua distinta Signora, presente qualche altra persona, ho raccontato che, un po' prima della adunanza di ieri stesso, stavo per dire alla Nobil Don­na Camilla Sassi che, già da qualche giorno, una voce mi spingeva a proporle di voler dar subito quella consaputa somma, ma poi mi limitai a queste parole: " Ho una parola da dirle, ma prima voglio pregare ancora per assicurarmi di più che essa non viene dall'uomo ma da Dio ". E una persona presente, non ricordo bene se fosse la sua Signora, disse: "Ma venerdì, venendo a Milano, vada a dirgliela ", o press'a poco. Ora la parola a Donna Camilla già l’ha detta la voce della Divina Frovvidenza, Iddio! Legga, Eccellenza, la lettera che la Nobildonna mi ha scritto. Ecco la Divina Frovvidenza! E Deo gratias!... » (21).

Le Opere di Carità nelIa Carità

Però, si era ben lontani dal raggiungere la cifra necessaria all'acquisto del terreno. Anzi, pareva che la Provvidenza gravasse la sua mano sulla nascente istituzione. Ciononostante, il 7 dicembre 1938 venne posta la prima pietra del «Villaggio della Carità». Presenti molte autorità e molta folla, Don Orione lesse la pergamena ricordo e l'Arcivescovo Cardinale Schuster parlò con affetto paterno, benedicendo la nascen­te opera.

A ottenere tuttavia maggiori adesioni e aiuti, gli amici milanesi pensarono di invitare Don Orione a tenere una seconda conferenza all'Università Cattolica. In quel periodo vi era chi faceva opposizioni al Piccolo Cottolengo, quasi fosse un'opera pregiudizievole alle altre molte istituzioni caritative di Milano. Don Orione quindi scongiuro di non pensare alla conferenza. II 9 dicembre disse ai più fedeli amici: «No, sospendiamo la riunione, le opere della Carità vanno fatte nella carità. Se per difendere le mie opere, dovessi mancare di carità, sarei pronto a distruggerle».

E poi soggiunse: « Io sono di marmo rispetto alla fede e alla speranza, ma mi lascio ridurre a brani, a pezzi, per compiere le opere di Carità nella Carità ». Indi si fece sereno e paterno e conchiuse: « Per quanto riguarda poi il mezzo milione, non preoccupatevi: c’è già ».

Pareva domandare scusa

La riunione all'Università Cattolica fu convocata pel mese successivo, e cioè per la domenica 22 gennaio 1939. Alcuni giorni avanti, Don Orione chiama il nostro Prof. Don Sparpaglione, manzoniano di chiara fama: « Senti - gli dice - vogliono che io parli di nuovo all'Universita del Sacro Cuore e mi fissano per argomento la Divina Provvidenza. Io penso di trattare si della Provvidenza, ma nel Manzoni, e ho bisogno di un titolo che indichi il tema e i limiti di esso.
- Il titolo è nei Promessi Sposi: " La c'é la Provvidenza "; e mi pare esprima quanto Lei desidera.
- Benissimo: adesso ti dò tre giorni di tempo per aiutarmi a prepararla...
Sullo schema di Don Sparpaglione, Don Orione umilmente lavorò la sua conferenza, detta poi col solo testo dei Promessi Spo­si alla mano...» (22).

«L'aula magna dell'Università Cattolica era gremita — riferiva poi il foglietto dell'Opera — e gremite erano le aule laterali ove gli altoparlanti diffondevano la voce degli oratori, mentre la folla ancora sostava nei corridoi e negli ambulacri. Un prete umile, dall'aspetto dimesso, che sembrava domandare scu­sa, di interloquire, di dover parlare a quel pubblico: le sue opere, miracoli della carità, erano già fulgenti, in Europa ed America, in quella luce di bene che ha un nome: l'amore per i più poveri. A lui che — fidando con completo abbandono nella Provvidenza — le aveva fondate, la gente, accorreva perche sapeva di poter udire parole che confortano » (23).

«La c'è la Provvidenza...»

«Egli domina il pubblico - ricorda Agostino Stocchetti -, solenne nell'aula stupenda, come un maestro di consumata esperienza. Vede nel poema dei poveri il mondo suo di origine, per anima e modi e scopi e conquiste, e dentro vi si muove quieto e persuasivo, specialmente quando, in Renzo e nelle sue disgrazie, gli pare di poter leggere la presenza e il nome e le pene di innumeri creature, alle quali egli — ma non lo dice — e stato Cristoforo; o quando si prende quella affermazione della Provvidenza, venuta alle labbra del giovane villano inurbato, e sta lì a godersela, commentandola, e a farla godere» (24).

Alla fine, con il libro chiuso sul leggio, Don Orione dice: «II Piccolo Cottolengo Milanese ha messo le sue tende al Restocco. Noi siamo venuti qui per fare come la spigolatrice, che, dopo la mietitura, dopo aver legato tanti covoni, si china a raccogliere le spighe sparse. Con tutto il cuore, perché la verità faccia dei nostri cuori un cuor solo ed un'anima sola, vi dico che siamo venuti qui per dare la mano agli altri Istituti di carità e di beneficenza. Perciò vi raccomando tutti gli Istituti di beneficenza e di carità; in modo particolare vi raccomando vi sembrerà strano le Suore dell'Istituto della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, vi raccomando la Piccola Opera di quelle anime elette che raccolgono i bambini sperduti. A tutti siate largamente generosi. Il Piccolo Cottolen­go Milanese e Don Orione si accontentano delle briciole che cadono dalla vostra mensa».

«All’uscita, mentre Don Orione e stretto da una folla che non vuole lasciarlo, si vedono professori di universita, e non solo di quella di Milano, inginocchiati a terra, confusi con operai, industriali, impiegati, povere donne e dame dell'aristocrazia, per averne il saluto e la benedizione» (25).

L'indomani la stampa cittadina commenta ammirata l'avvenimento letterario — caritativo, e lo definisce come l'incontro invidiato di un umile grande Servo di Dio con il cuore benefico dell'industriosa Milano.

«Tra tante lettere di consenso e di approvazione che Don Orione riceve subito dopo ce n'é una, firmata nientemeno che da... don Lisander, e dice proprio così: «a Don Luigi Orione. Dal Paradis: La gh'é la Provvidenza. Don Lisander». L'estensore di questo saluto interpreta il pensiero degli uditori per quello che sarebbe il sentimento del Manzoni, se avesse potuto ricevere un simile omaggio da un ministro effettivo di quella Provvidenza che lui ha, con arte tanto sublime, celebrate Don Orione ne gioisce come di un premio» (26).

Don Orione, l'unico che non c'entra

Alla fine d'anno, l'11 dicembre 1939, Don Orione tiene quello che nessuno pensa sarà il suo ultimo incontro con i benefattori e amici del Piccolo Cottolengo. Ricordando gli interventi più evidenti della Divina Provvidenza nella storia della benefica istituzione, così si esprime: « L'unico che non c'entra affatto è Don Orione, I'unico che non ce ne capisce niente è Don Orione. Il Signore prende ciò che e debole per confondere ciò che e forte... Non c’è Don Orione né altri: è la Divina Provvidenza... Nel vostro libro immortale, i Promessi Sposi, c'è I'episodio di Padre Felice, che si mette la corda al collo e chiede perdono per sé e i confratelli e da spiegazione del valore della vita, interamente spesa nelle mani e secondo i disegni della Provvidenza; e si domanda con umiltà: perché il Signore ha fatto questa scelta di noi?... E noi ci domandiamo: che cosa sono questi Piccoli Cottolengo? Ecco: è il Signore che vuole tenere accesa la fede in Lui, che si vuole manifestare. È la Divina Provvidenza che tocca, commuove i cuori. Il Signore vuole che, di fronte a questi atti e interventi della sua Provvidenza, noi ci conformiatno ad una vita più timorata, più cristiana...» (27).

 

 

NOTE _____________________________________

 

1) « Don Orione », D. Sparpaglione ed. VI pag. 267;

2) Lett. D.O. vol. II p. 530 e vol. II, p. 454;

3) « D. O. e la Madonna » p. 930;

4) « D. 0. », Don Sparpaglione p. 267;

5) Lett. D. O., vol. II, p. 228;

6) « D. O. e la Madonna » p. 930;

7) id. p. 461;

8) Lett. D. O. vol. II p. 198;

9) «D. O. e la Madonna» p. 1770;

10) In data 11-11-'38 e 23-2-38;

11)  « D. O. e la Madonna » p. 1049;

12) id. p. 1547;

13) « La Piccola Opera », genn. 1948;

14) « La c'è la Provvidenza », Milano 1964, p. 37;

15) « La Piccola Opera », aprile-maggio 1940;

16) « D. O. e la Madonna», p. 1892;

17) id. p. 1928;

18) « D. O. e le Piccole Suore M. d. C. >. p. 15;

19) id. p. 16;

20) Lett. D. O. vol. II p. 224;

21) Lett. D. O., ed. Paravia p. 239;

22) « La bisaccia di Fra Cristoforo », ed AGIS Genova 1952, p. 120;

23) « La Piccola Opera», febbraio 1939;

24) « La Piccola Opera », aprile 1950;

25) « D. O. », Numero Unico 1940, p. 36;

26) « D. O. », D. Sparpaglione ed. VI p. 269;

27) « D. O. », foglietto Picc. Cott. Milanese, 15 novembre 1959.

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