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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Card. Saraiva Martins e Don Flavio Peloso, postulatore, alla celebrazione in onore del beato Francesco Drzewiecki. Tortona , 20 giugno 1999.
Pubblicato in: Pubblicata in Messaggi di Don Orione, n.100, 2000, p.85-88.

Omelia del card. José Saraiva Martins durante la celebrazione in onore del beato FRANCESCO DRZEWIECKI. Tortona , 20 giugno 1999, Santuario della Madonna della Guardia.

DRZEWIECKI FRANCESCO,

martire polacco, frutto di una scuola di santi.

Tortona , 20 giugno 1999
Omelia nel Santuario della Madonna della Guardia

 

 

 

Oggi è giorno di grande festa per la Chiesa, e per la Congregazione orionina in particolare, a motivo del sacerdote FRANCESCO DRZEWIECKI, beatificato da Sua Santità Giovanni Paolo II, domenica scorsa, unitamente ad altri 107 compagni martiri polacchi, durante una solenne celebrazione a Varsavia. Ero presente, e posso testimoniare la commozione e la fierezza nella fede di quella moltitudine di gente, erede di una tradizione cristiana particolarmente sofferta ed eroica.

Oggi mi trovo a Tortona, in un contesto culturale ed ecclesiale assai diverso, però sono la stessa ammirazione e lo stesso monito alla fedeltà cristiana ad animare la nostra celebrazione. I santi sono di tutti. I santi sono per tutti.

            C’è poi un motivo particolare che ci porta ad onorare il nuovo Beato qui, in questa Città. Infatti, egli, negli anni 1932-1936, dimorò a Tortona durante il tempo della sua formazione sacerdotale e teologica. Ebbe il suo “stampo” religioso e sacerdotale in quella fucìna di santi che fu il “Paterno”, la casa dove viveva il beato Don Luigi Orione, ed egli frequentò gli studi nel seminario diocesano di Tortona. Fu ordinato sacerdote dal Vescovo, Mons. Egisto Melchiori, il 6 giugno 1936, ed il giorno dopo, proprio qui nel Santuario della Madonna della Guardia, egli celebrò la sua prima solenne Santa Messa.

Quindi, a giusto titolo, oggi, in questo Santuario, la Famiglia orionina e la Diocesi tortonese, all’unissono, elevano la loro voce di lode e di ringraziamento al Signore, “premio e corona dei santi martiri”.

            Mi è stato fatto osservare che oggi, con questa celebrazione, si realizza quanto Don Orione, in anni lontani, in uno slancio di fervore, ebbe quasi a profetizzare: "... E chissà – esclamò - che un giorno non abbiamo ad accogliere qualche nostro Martire! Il cuore veramente ce lo dice. Allora sull'Altare della nostra SS.ma Madre della Divina Provvidenza, invece delle usuali palme di fiori, alzeremo commossi i santi reliquiarii; saranno palme veramente imporporate del sangue versato per Gesù Cristo e per le anime dai Missionari della Provvidenza: saranno le palme gloriose dei nostri eroi, dei nostri martiri!" (Scritti 71, 176).

            Oggi si compie questa parola: siamo qui ad onorare un Orionino martire e a celebrare Dio “mirabile nei suoi santi”. E siccome, la gloria di Dio risplende nella vita buona e santa dei suoi figli, penso che il migliore tributo di lode venga dal ricordare, anche solo per rapidi cenni, l’esistenza breve – solo 34 anni – ma fervorosa e luminosa del beato Francesco Drzewiecki.

            Francesco nacque a Zduny, in Polonia, nel 1908. Ancora adolescente, entrò nel seminario di Zdunska Wola (città di San Massimiliano Kolbe) per realizzare la sua vocazione sacerdotale e religiosa nella Piccola Opera della Divina Provvidenza del beato Don Luigi Orione. Terminati gli studi liceali e filosofici, nel 1931, venne in Italia. Dopo alcuni mesi trascorsi a Venezia, si stabilì nella Casa madre di Tortona, per il noviziato e gli studi della teologia. Fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1936. Spese le sue energie di giovane sacerdote al Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna, una istituzione per handicappati gravi, dove era anche formatore di un gruppo di “vocazioni adulte”.

            Ritornato in Polonia sul finire del 1937, Don Francesco continuò la sua attività di educatore nel collegio di Zdunska Wola. Nell'estate del 1939, fu chiamato ad occuparsi della Parrocchia e del Piccolo Cottolengo di Wloclawek. Qui lo raggiunse l’onda devastante della guerra e dell'invasione tedesca mossa il 1° settembre 1939.

            L'occupazione nazista si trasformò ben presto in persecuzione religiosa, realizzata in modo sistematico e particolarmente violento nella Polonia cattolica. Il 7 novembre di quel 1939, Don Drzewiecki e quasi tutto il Clero della diocesi di Wloclawek, compresi i seminaristi e il Vescovo Mons. Michele Kozal, furono arrestati e tradotti in carcere. Iniziò una lunga via crucis di umiliazioni e di sofferenze, da un carcere all’altro, e finalmente al lager di Dachau.

            Si può dire che, in quelle tremende circostanze, si rinnovò quanto abbiamo appena ascoltato dal libro del profeta Geremia: “Sentivo le insinuazioni di molti: Terrore all’intorno! Denunciatelo e lo denunceremo. Noi prevarremo su di lui”. Ma, come Geremia, anche Don Francesco conservò la sua pace e rimase forte, perché “Il Signore è al mio fianco, come un prode valoroso, per questo i miei persecutori cadranno e non potranno prevalere; saranno molto confusi perché non riusciranno, la loro vergogna sarà eterna e incancellabile”.

Don Francesco arrivò a Dachau il 14 dicembre 1940. Dai compagni di lager che sopravvissero fu ricordato come "uomo buono, santo sacerdote che edificava con la sua cortesia e premura", secondo l'espressione di Mons. Francesco Korszynski. Dopo due anni di stenti, di umiliazioni, di lavori forzati e di nobile presenza umana e religiosa, Don Francesco Drzewiecki fu ucciso, il 13 settembre 1942. Aveva solo 34 anni e 6 di sacerdo­zio.

            Sono tante ed edificanti le testimonianze della grandezza e della santità d'animo di Don Drzewiecki durante la prigionia a Dachau.

            Mons. Wladislaw Sarnik, ad esempio, di lui ricordò la pietà eucaristica. Gli capitò di andare col beato Drzewiecki a lavorare nelle piantagioni del lager. Ebbene, mentre i prigionieri erano piegati sul campo di lavoro, a togliere erbaccia o fare altro, tenevano davanti, a turno, la scatoletta dell'Eucarestia e facevano adorazione. Era la loro forza. Era un atto di libertà in mezzo a tanta oppressione.

            Il vescovo e beato martire, Michele Kozal, pure ucciso a Dachau, confidò che “tra quegli internati Don Drzewiecki era il più buono, il più servizievole, il più caritatevole: per questo si distingueva tra tutti”.

            Il confratello orionino, Don Giuseppe Kubicki, internato a Dachau quando era chierico, ebbe la fortuna di raccogliere l’ultimo sorriso e le ultime parole di Don Francesco. Mentre questi stava per essere caricato sul camion che l’avrebbe condotto alla camera a gas, fece in tempo a correre nella baracca del giovane confratello per salutarlo. “Noi andiamo – gli disse con serenità –. Ma offriremo come Polacchi la nostra vita per Dio, per la Chiesa e per la Patria”. Come Gesù, egli offerse, coscientemente e liberamente, quella vita che, all'apparenza dei fatti, gli veniva tolta iniquamente. "Io offro la mia vita e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà" (Gv 10,17-18).

            Certamente, il beato Francesco Drzewiecki doveva avere una relazione con Dio molto forte e concreta per resistere alla violenza, alla paura, alla morte. Egli sperimentò quanto Gesù aveva avvertito e da noi riascoltato nel Vangelo di questa domenica: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima… Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”. Solo chi sa di essere nelle mani di Dio, sempre e comunque, resiste nelle avversità, non teme di cadere nelle mani altrui, non è sopraffatto dall’angoscia della morte.

            Insieme all’ammirazione per questi tratti della personalità del nuovo Beato, viene spontanea una considerazione che è anche insegnamento per noi. Questi gesti eroici del beato Francesco non furono improvvisati, ma furono il frutto della sua paziente formazione, della abituale intimità con Dio e dell’esercizio quotidiano e feriale della carità. Il momento della prova, durante la persecuzione nazista, non fece che dare connotati di eroicità a quegli atteggiamenti che, come apprendiamo dalla sua biografia, gli erano ordinari, consueti e, mi verrebbe da dire, anche “facili”.

Come non pensare a quel “fuoco di carità” cui egli attinse, proprio qui a Tortona, a contatto diretto con il beato Luigi Orione e con quella eroica generazione di religiosi e di suore infiammata dagli ideali e dagli esempi del Fondatore?

Un Fondatore prima ancora che artefice di imprese di bene è un maestro di vita spirituale, un forgiatore di santi. Di fatto, un buon manipolo di Servi di Dio e di Venerabili, formatisi qui a Tortona con Don Orione, sono oggetto dello studio della Congregazione delle Cause dei Santi, che sono onorato di presiedere. Come il beato Francesco Drzewiecki, anche i Venerabili Don Carlo Sterpi e Frate Ave Maria, i Servi di Dio Don Gaspare Goggi e Suor Maria Plautilla, mossero dal “Paterno” di Tortona i primi passi sulla via della santità e dell’eroica testimonianza della Carità nel mondo.

            Don Francesco Drzewiecki è, dunque, un altro fiore di santità cresciuto nella Diocesi tortonese. Considerate, carissimi confratelli nel sacerdozio, religiosi e fedeli tutti di questa privilegiata Diocesi al dono e alla responsabilità di coltivare e di continuare questa preziosa eredità di santi. La Chiesa, lo sappiamo, ci offre alla venerazione questi insigni “modelli” e “intercessori” perché sentendoli a noi vicini, sapendo che hanno camminato nelle nostre strade e vissuto le nostre stesse condizioni e vicende di vita, possiamo concludere: la santità è possibile, la santità è bella, la santità è la migliore e più duratura realizzazione della vita.

            Sarà proprio questa consapevolezza la migliore preparazione al grande Giubileo del 2000. Potremo così varcare la soglia del terzo millennio, portando in cuore quel rinnovato anelito alla santità, verso cui Giovanni Paolo II, instancabilmente,  invita ogni battezzato a rivolgere il proprio impegno.

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