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Dopo un breve richiamo storico, l'Autore articola l'esposizione in tre principali capitoli: 1. le indicazioni teologiche sulla santità cristiana; 2. le indicazioni sul culto dei santi; 3. le indicazioni sul culto liturgico dei santi.

IL CULTO DEI SANTI

NEI DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II

 

Flavio Peloso, I. Il culto dei santi nei documenti del Concilio Vaticano II  in Ephemerides Liturgicae 1055 (1991)  p.237-262.
                             Il culto dei santi nei documenti del Concilio Vaticano II  in Ephemerides Liturgicae 1055 (1991), p.418-448.

Lo studio si propone di rivisitare l'approfondito e organico insegnamento del Concilio Vaticano II relativo al culto dei santi, evidenziando le ragioni e le modalità della fedeltà alla riforma liturgica in questo particolare settore. Dopo un breve richiamo storico, l'Autore articola l'esposizione in tre principali capitoli: 1. le indicazioni teologiche sulla santità cristiana; 2. le indicazioni sul culto dei santi; 3. le indicazioni sul culto liturgico dei santi. Risulta una precisa proposta di valori che, come guidò le scelte della riforma post-conciliare, così, nel rinnovamento liturgico e pastorale sempre aperto, sarà in grado di educare la mentalità e la prassi attuali affinché non cedano né a tendenze involutive devozionistiche, né a ad emarginazioni immotivate del culto dei santi.

 

            Nel fiorire di bilanci, a 25 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, forse non si è data una adeguata attenzione Un capitolo del rinnovamento conciliare tra i più travagliati e pastoral­mente molto incidente nell'educazione del popolo cristiano riguarda l'inse­gnamento e la riforma liturgica del culto dei santi.

            Di fronte a non ancora sopite polemiche e tensioni seguite alla riforma del Calendario e del Santorale, di fronte a tentativi di rivincite involutive in fatto di devozione ai santi, di fronte al persistere di una certa "allergia" teorico-pratica verso il culto dei santi, sembra utile rivisitare i grandi temi della riflessione conciliare con lo scopo di individuare i criteri-guida della riforma del culto dei santi,  e di  verifica­re la loro retta applicazione nella riforma stes­sa.[1]

            Sarà il rifarsi con lucidità e coerenza a tali criteri di ortogenesi a confermare le ragioni e le modalità della fedeltà alla riforma liturgica del culto dei santi.

 

            I. "LA CHIESA LO HA SEMPRE CREDUTO"

            L'apporto dei risultati dell'inda­gine storica fu di fondamen­tale importanza per la trattazione del culto dei santi al Concilio Vaticano II. Essa permise di evidenziare valori teologici, costanti liturgiche, indicazioni pastorali di quanto costituisce la più autentica espressione della fede cristiana, capace di ispirare rinnovata e fedele storia del culto dei santi nelle mutevoli situazioni socio-culturali.[2]  Giova qui richiamare alcune importan­ti annotazioni storiche per meglio compren­dere l'insegna­mento e l'opera di riforma del Concilio Vaticano II in ordine alla promozione del culto dei santi.

            1. La continuità della fede nella comunione con i santi e della loro venerazione come "testimoni di Cristo", "interces­sori" e "modelli" per la Chiesa è il primo ed essenziale dato che balza all'evidenza dallo studio storico.

            2. L'idea chiave della santità cristiana, e del suo riconosci­mento nella comunità cristiana, è legata al "martirio", inteso come perfetta assimilazione al Cristo morto e risorto e come suprema testimonianza della fede e della carità. Le diverse forme di santità sono diverse forme di "martirio". L'estensione del culto alle varie categorie di santi fu giustificata proprio in termini di "martirio", cioè di parte­cipazione e testimo­nianza di Cristo realizzata nelle diverse vie di una sequela eroica.

            3. Il mistero pasquale è l'oggetto unico e sorgivo della celebrazione cristiana dell'anno liturgico. Anche il culto dei martiri e dei santi vi si inserisce, in stretto rapporto, come parte integrante della celebrazione del trionfo pasquale di Cristo. Ciò spiega perché il culto dei santi, anche quando nel corso dei secoli si appannò la coscienza del suo cristocen­trismo pasquale, abbia sempre conservato la celebrazione eucaristica come sua massima espressione.

            4. Il culto dei santi nasce e si sviluppa come fatto ecclesia­le, dapprima locale e poi universale. La Chiesa nella festa dei suoi santi celebra l'unico mistero pasquale di Cristo, in quanto rivissuto nelle sue membra, in diversi modi, secondo i diversi carismi. La Chiesa celebra nei santi la sua radicale santità e la sua capacità sacramentale di santificare. Anche le esagerazioni e la degenerazione di un culto dei santi che, in diversi momenti storici, ha parzial­mente perso questo riferimento cristologico ed ecclesiologi­co, sono, a loro modo, una prova di dove si radica l'autenti­co concetto di santità cristiana.

            5. Al livello liturgico il "gruppo dei martiri" - con relativi testi eucologici - costituisce non solo il nucleo primitivo e centrale del santorale ma anche "l'analogatus princeps", il "tipo" e il riferimento per l'autentica cele­bra­zione e presentazione dei santi e della santità cristiana.

            6. Il culto dei santi, nel corso dei secoli, appare stretta­mente legato all'esperienza e all'autocomprensione della Chiesa. Proprio per questo esso fu sempre oggetto di atten­zione e autenti­cazione da parte dell'autorità ecclesia­stica, sia nel momento del riconoscimento (canonizza­zione) che in quello del culto (liturgia e altre forme di devozio­ne). Basti pensare, ad esempio, come all'epoca di una Chiesa "martire" dei primi secoli si riconoscano e celebrino come "santi" quasi esclusivamente i martiri; all'epoca di una Chiesa "educatrice" e guida di civiltà, come nel primo Medioevo, si venerano come santi più esemplari soprat­tutto i vescovi, i fondatori di monasteri, i grandi maestri e "padri", e anche i re che seppero condurre i popoli alla "civiltà cristiana"; all'epoca dell'umanesimo e della crisi protestante emergono nel culto dei fedeli soprattutto i "dotto­ri", i paladini santi e sapienti della dottrina della fede cristiana.

            7. La popolarità del culto dei santi non costituì "ostacolo", ma espressione di vitalità liturgica e pastorale, solo quando e dove un'autentica e condivisa esperienza del mistero di Cristo ne ha plasmato e armonizzato i valori e le manifesta­zioni esterne.

            Avendo presente il prece­dente cammino storico del culto dei santi, lungo, fecondo, esuberante e non privo di qualche contraddi­zione nella prassi, i Padri conciliari hanno riassunto con brevi parole, in Lumen Gentium n.50, quello che di autentico e perenne la "memoria" della Chiesa - che contiene anche il suo "atto di fede" - conserva per promuove­re la venerazione dei più insigni "amici e coeredi di Cristo".[3]

            "La Chiesa dei viatori riconoscendo benissimo la comunione di tutto il Corpo Mistico di Gesù Cristo, fin dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti e, poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perchè siano assolti dai peccati (2 Mac 12,46), ha offerto per loro anche suffragi. Che gli Apostoli e Martiri di Cristo, i quali con l'effusione del loro sangue avevano dato la suprema testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti a Cristo, la Chiesa lo ha sempre creduto, e li ha con partico­lare affetto venera­ti insieme con la beata Vergine Maria e i santi Angeli, e ha piamente implorato l'aiuto della loro intercessione. A questi in breve furono aggiunti anche altri, che avevano più da vicino imitato la verginità  e povertà di Cristo, e finalmen­te gli altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristia­ne e i divini carismi li raccomandavano alla pia devozione e imitazione dei fedeli" (LG 50).

            Il Vaticano II è il primo Concilio Ecumenico che abbia trattato sistematicamente della teologia dei santi e del loro culto.[4]

            Per chiarezza metodologica l'esposizione sarà suddivisa in tre voci:  1. Indicazioni sulla santità cristiana: LG 39-42 e altri passi;  2. Indicazioni sul culto dei santi: LG 49-51 e altri passi; 3. Indicazioni sul culto liturgico dei santi: SC 104, 108, 111 e altri passi.

             Le tre voci delle indicazioni conciliari sulla santità cristiana, sul culto dei santi e sul culto liturgico dei santi, pur distinte, spesso si incontrano e si richiamano.

 

            II. INDICAZIONI TEOLOGICHE SULLA SANTITA' CRISTANA.

            La trattazione sulla santità cristiana è inserita nella Costituzione Conciliare Lumen Gentium come parte integrante della descrizione teologica della Chiesa. Si articola attorno a due principali nuclei di svolgimento: il primo al Cap. V n.39-41, "Universale vocazione alla santità nella Chiesa", e il secondo al Cap. VII n.48-51, "Indole escatolo­gica della Chiesa e sua unione con la Chiesa celeste". Altre precise indica­zio­ni concer­nenti questi due nuclei tematici si trovano sparse in tutta la Lumen Gentium, perchè la "santità" costituisce una delle chiavi di lettura di tutto il discorso ecclesiologico (cfr LG 39), non solo, ma di tutto il discorso sulla storia della salvezza, entro cui l'eccle­siologia è collocata (LG 2).[5]

            Nella descrizione della santità offerta dalla Lumen Gentium si può riconoscere un moto discendente: santità come dono di Dio, vocazione e santificazione dell'uomo; e un moto ascendente: santità come impegno dell'uomo, risposta, ascesi, glorifica­zione di Dio con la vita. L'idea centrale della santità può essere così riassunta: "per volontà del Padre, quanti sono di Cristo, animati dallo Spirito Santo, formano una sola Chiesa santa, secondo i propri doni e uffici" (LG 41). Per l'indole escatologica della Chiesa - "già sulla terra adornata di vera santità, anche se imperfetta" che "non avrà il suo compi­mento se non nella gloria del cielo" (LG 48) -, questa "formu­la" della santità va letta tanto come indicativo ontologico quanto come imperativo morale e riguar­da il "cristiano" e  "tutti i cristiani chiamati alla santi­tà".

 

            1. Partecipazione alla vita trinitaria

            La santità è partecipazione alla vita trinitaria di Dio. E' dono e vocazione che intesse tutto il disegno della storia della salvezza dalla creazione, alla redenzione, al compimen­to escatolo­gico.

            "L'eterno Padre, con liberissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, creò l'universo, decise di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina, e caduti in Adamo non li abbandonò, ma sempre prestò loro gli aiuti per salvarsi in considerazione di Cristo..." (LG 2).

            "E' venuto il Figlio mandato dal Padre, il quale in Lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha prede­stinati all'adozione di figli perchè in Lui volle costituire (instaurare) tutte le cose (cfr Ef 1,4-5 e 10). (...) Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo che è la luce del mondo, da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti" (LG 3).

            "Compiuta l'opera, che il Padre aveva affidato al Figlio

sulla terra (Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo  per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (Ef 2,18) (...). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (1 Cor 3,16; 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (Gal 4,6; Rom 8,15.26)" (LG 4).

            Da questo formidabile trittico (LG 2-4) della storia della salvezza risulta chiaro che la Trinità, Dio nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non è solo il termine "ad quem" della santità (partecipazione alla loro vita), ma anche il termine " a quo" e "per quem" (fonte e artefice) della santifica­zione.

 

            2. "Santità come unione con Cristo".

            L'opera della salvezza si manifesta come vocazione univer­sale a vivere sempre più in unione con Cristo per partecipa­re, in Lui, alla santità della vita trinitaria di Dio. Ripetutamente nella Lumen Gentium la santità viene presen­tata come "unione con Cristo", tanto che i termini "santità"-"santificazione" sono intercambiabili con "unione"-"unifi­cazione con Cristo", fino a costituire una vera identifica­zione, quasi una definizione: "a causa infatti della loro più intima unione con Cristo, i beati rinsaldano tutta la Chie­sa..." (LG 49); "... potremo arrivare alla  perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e la condi­zione propria di ciascuno" (LG 50).[6]

            Ci sono poi numerosi altri termini sinonimi che, da diversi punti di vista, concorrono a delineare la santità come "unione con Cristo": partecipazione, consacrazione, sequela, imitazione, conformazione.

            "...seguendo il suo esempio e fattisi conforme alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrano alla gloria di Dio e al servizio del prossimo" (LG 40).

            "...seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria.

            I pastori del gregge di Cristo devono, a immagine del sommo ed eterno sacerdote... compiere con santità...

            I coniugi e i genitori cristiani... in segno di partecipa­zione di quell'amore, col quale Cristo ha amato la sua sposa e si è dato a lei... 

            I lavoratori... devono, con carità operosa, imitare Cri­sto, ...e infine con lo stesso quotidiano lavoro ascendere ad una più alta santità anche  sotto la forma apostolica.        Poveri e tribolati... sappiano che sono uniti in modo speciale a Cristo..." (LG 41).

                       Nessun autoperfezionismo e individualismo antropocentri­co è pensabile nel discorso sulla santità cristiana e sui santi, a partire da questo cristocentrismo che ripropone all'uomo la dinamica del rinnegamento di sè nella sequela e nell'imita­zione dell'umiltà e carità del divin Maestro fino al punto che "vivere è Cristo "(Fil 1,21).

 

            3. Santità come "opera dello Spirito Santo".

            La Lumen Gentium nel presentare la santità come fatto dinamico di responsabile e amorosa adesione a Cristo fa continuo richiamo alla fondamentale attività dello Spirito Santo. Infatti, è lo Spirito Santo che, nella Chiesa e nei cristiani, attua e attiva l'amore, via all'unione con Cristo, cioè alla santità.

            "Gesù, maestro e modello di ogni perfezio­ne... ha mandato infatti a tutti lo Spirito Santo che li muovesse dall'interno ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc  12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12)" (LG 40).

            Simile concetto è poi ripreso al n.42 con l'aggiun­ta delle indicazioni per coltivare, e non soffocare, l'amore di Dio "largamente diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci fu dato (Rom 5,5)".

            La santità viene così ad essere configurata più come una accoglienza dell'azione divina che come un'attività umana; questa è sostenuta, animata e trasfigurata dall'opera dello Spirito, secondo l'esperienza paolina del "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (cfr. Gal 2,20).

            E' da notare come numero­si passi della Lumen Gentium, oltre a descrivere il primato dell'attività dello Spirito, presentino l'opera dell'uomo come una "attiva passività".

            "La santità della Chiesa costantemen­te si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito Santo produce nei fedeli" (LG 39).

            "Questa pratica dei consigli evangelici, abbracciata da molti cri­stiani per impulso dello Spirito Santo,...­"(LG 39).       "I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia,... e abbiano i frutti dello Spirito per la santità (Gal  5,22; Rom 6,22)" (LG 40).

            "Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio" (LG 41).

 

            4. Dimensione ecclesiale della santità.

            Come si estende nel tempo la santificazione voluta dal Padre, realizzata in Cristo e resa presente dallo Spirito Santo che "dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli"­ ­(LG 4)? La Chiesa è il "sacramento universale di salvezza"­ (LG 48), "strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

            "Cristo, unico Mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde su tutti la verità e la grazia" (LG 8). La Chiesa pertanto è, secondo l'espressione del simbolo della fede, "communio sanctorum" che, secondo la diversa e complementare interpretazione data lungo la storia, significa tanto "comunione delle cose sante" (nell'ottica dei sacramenti e dei meriti di tutta la Chiesa) quanto "comunione dei santi" (intendendo i santificati).[7]

            L'unione della Chiesa con Cristo e dei cristiani nella Chiesa è descritta nella sua dinamica costitutiva di fede e di sacramenti (LG 7), nella sua unità e diversità di membra e di carismi (LG 7), di realtà visibile e spirituale (LG 8), attraver­so varie "figure" della Chiesa.  Ne emergono due.

            La Chiesa è Corpo di Cristo". "Il Figlio... comunicando il suo Spirito, costituisce mistica­mente come suo corpo i suoi fratelli chiamati di fra tutte le genti" (LG 7).

            La Chiesa è Popolo di Dio. "Dio volle santificare e salvare gli uomini non indivi­dualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedel­mente lo servisse" (LG 9).

            La sintesi teologica della Lumen Gentium è veramente completa e profonda. Essa traduce la coscienza della Chiesa circa la propria santità e capacità santificatrice. Di qui viene anche l'indi­cazione chiarissima della dimensione ecclesiale della santità cristiana, intesa come incorporazio­ne a Gesù Cristo­ nella Chiesa, "per tutti e per i singoli sacramento visibile di questa unità salvifica" (LG 9).

            In questo fondamentale contesto teologico di "Chiesa santa" è collocato il discorso sulla santità individuale,[8]  come sua logica ed esistenziale conseguenza: "perciò tutti nella Chiesa sono chiamati alla santità" (LG 39).

            Infatti, argomenta il testo conciliare, "questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito Santo produce nei fedeli; si esprime in varie forme presso i singoli, (...)" (LG 39).

            "E' chiaro dunque a tutti, che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristia­na e alla perfezione della carità... Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendi­damente dimostrato, nella storia della Chiesa, dalla vita di tanti santi" (LG 40).

 

            5. Fondazione sacramentaria.

            La Chiesa "sacramento universale di salvezza" esplica la sua azione santificatrice unendo i credenti in Cristo princi­palmente mediante i sacramenti. Sono, infatti, i sacramenti e in modo tutto particolare e centrale il battesimo e l'eucarestia ad unire in contatto reale, intimo e vivo con Cristo, Verbo incarnato redento­re.

            "In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti, che attraverso i sacramenti si uniscono in modo arcano ma reale a Cristo che ha sofferto ed è stato glorifi­cato. Per mezzo del battesimo infatti, siamo resi conformi a Cristo... viene rappresen­tata e prodotta la nostra unione alla morte e resurre­zione di Cristo... Nella frazione del pane eucaristico parteci­pando noi realmente al corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi... lo stesso Spirito, unificando il corpo per se stesso e con la sua virtù e con l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli" (LG 7).

            Il n.11 è dedicato a illustrare "l'esercizio del sacerdo­zio comune nei sacramenti" e così conclude: "Muniti di tanti e così mirabili mezzi di salvezza (i sacramenti) tutti i fedeli d'ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste" (LG 11).

            Risulta dunque essenziale il riferimento alla fondazione sacramentaria della santità cristiana. Giustamente, tra i "mezzi della santità" raccomandati al n.42 c'è il "partecipa­re frequen­te­mente ai sacramenti, soprattutto all'eucarestia e alla santa liturgia".

            Il realismo sacramentale, come opera divina e umana, è non solo fonte di santificazione, ma anche "modello" del giusto equilibrio del rapporto tra impegno personale di santità e inizia­tiva-azione di Dio nel cammino ascetico.

 

            6. Santità come "carità".

            Proseguendo nella riflessione sulla santità cristiana, l'insegnamento conciliare descrive il frutto dell'incontro tra l'azione divina e l'azione umana che, come sopra detto, ha la sua realizzazione nella dinamica sacramentale, ricor­rendo alla fondamentale esperienza dell'"amore-carità". Sono i sacramen­ti, e specialmente la sacra eucarest­ia, a comunicare e alimentare la carità verso Dio e verso il prossimo.   

            Con il termine "carità" viene inteso tanto l'"amore di Dio (grazia, autodonazione di Dio, santità ontolo­gica), quanto l'"amore a Dio e al prossimo" (fede, autodona­zione dell'uomo, santità morale).

            "(Gesù) ha mandato infatti a tutti lo Spirito Santo che li muovesse dall'interno ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (Cfr. Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (Cfr. Gv 13,34; 15,12)" (LG 39).

            E' l'amore, dono dello Spirito, che realizza l'"unione con Cristo nella Chiesa" e, pertanto, la santità o "pienezza della vita cristiana" è definita anche come "perfezione della carità" (LG 40). L'amore ha il suo modello in Cristo che "ha amato la Chiesa come sua sposa e ha dato se stesso per essa, al fine di santifi­car­la (Cfr. Ef 5,25-26) e l'ha unita a sè come suo corpo" (LG 39).

            L'amore unifica a Cristo, e l'unione a Cristo è santità. Questa dottrina è ripresa e mirabilmente sviluppata al n.42.            

"Dio è amore e chi sta fermo nell'amore, sta in Dio e Dio in lui (1Gv 4,16). Ora Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (Cfr. Rom 5,5); perciò il dono primo è più necessa­rio è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio" (LG 42)

            Dopo aver indicato i mezzi affinchè "la carità come un buon seme cresca nell'anima" (ascolto della Parola, fare la volontà di Dio, partecipazione ai sacramenti, preghiera, abnegazione, servizio attivo dei fratelli, esercizio delle virtù), la Lumen Gentium dice espressamente che "la carità, vincolo della perfezione e compimento della legge (Cfr. Col 3,14; Rom 13,10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Perciò il vero disce­polo di Cristo si caratterizza dalla carità sia verso Dio che verso il prossimo" (LG 42).

            La carità anima i cristiani nelle diverse "vie" di unione a Cristo. Tra queste vie, al primo ed eccellente posto, viene presentato "il martirio col quale il discepolo è reso simile al maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a lui si conforma nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come il dono eccezionale e la suprema prova della carità" (LG 42). Ma, a riguardo del martirio, il testo aggiunge un altro elemento molto importante: il martirio oltre ad essere la "suprema" prova della carità e della santità, è anche "comu­ne" a tutte le forme di santità: "che se a pochi il martirio è concesso, devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della croce..." (LG 42).

            Subito dopo il martirio viene indicata come via di santi­tà, "sempre tenuta in singolare onore dalla Chiesa" la  verginità e il celibato di chi si vota "a Dio solo, più facilmente e con cuore senza divisioni (Cfr. 1Cor 7,32-34)".            Nella perfetta continenza per il regno dei cieli la Chiesa riconosce "come un segno e uno stimolo della carità e come una speciale sorgente di spirituale fecondità nel mondo" (LG 42).

            Speciale menzione è riservata anche alla via della consa­crazione secondo i consigli evangelici. "Si rallegra la madre Chiesa di trovare nel suo seno molti uomini e donne che seguono più da vicino questo annien­tamento del salvatore e più chiaramen­te lo mostrano...­" (LG ­42).

            Infine, sempre al n.42, viene ricordata la moltepli­cità delle vie attraverso le quali "tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato". Le modalità concrete del "tendere alla carità perfet­ta" configurano la specificità delle vie di santifica­zione.

            Questa molteplicità di vie, che è molteplicità di forme di esercizio dell'unica carità, era stata già illustra­ta al n.41: "(I pastori) esercitino l'ufficio perfetto della carità pastora­le... (I presbiteri) mediante il quotidiano esercizio del proprio ufficio crescono nell'amore di Dio e del prossi­mo... "(I coniugi, i genitori) devono con amore fedele sostener­si a vicenda nella grazia per tutta la vita... così offrono a tutti l'esempio di un amore instanca­bi­le e genero­so, edifica­no una fraternità di carità... in segno di parte­cipazione di quell'amore col quale Cristo ha amato la sua Sposa e si è dato a lei". L'elenco delle vie di santità secondo gli stati e le condizioni di vita continua poi menzionando le persone vedove, le non sposate, quelli dediti alle fatiche, i poveri, i tribolati, i perseguitati. E conclude: "Tutti i fedeli, quindi, nelle loro condizioni di vita, nei loro lavori e circostan­ze, e per mezzo di tutte queste cose, ...saran­no ogni giorno più santificati se tutto prendono con fede dalla mano del Padre celeste, e cooperano con la volontà divina, manifestando a tutti, nello stesso servizio tempora­le, la carità con la quale Dio ha amato il mondo" (LG 41).

            Come è facile notare, è sempre la carità ad identificare la santità. La vocazione dei cristiani alla santità è voca­zione a vivere le esigenze della carità che, per sua dinamica conduce fino all'eroismo della fedeltà, che consiste nella configurazione a Cristo.

 

            7. La santità è una, ma non uniforme.

            La riflessione sulla "carità", anima delle diverse vie di unione a Cristo, ha già introdotto un ultimo elemento dell'inse­gna­mento conciliare che risulta, almeno per la chiarezza e l'insisten­za, nuovo: la santità è una, ma non uniforme.

            E' una in quanto è unione con Cristo; è multiforme in quanto l'unione con Cristo si attua secondo i doni, gli uffici, gli stati di vita propri di ciascuno.

            A questa particolare riflessione teologica, che tanti riflessi ha per la pastorale e per la spiritualità, è dedica­to tutto il lungo n.41 della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa del Vaticano II. "Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un'uni­ca santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre, seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria. Ognuno secondo i propri doni e le proprie funzioni deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità" (LG 41).

            Dire che la santità cristiana è una equivale ad affermare che la vita di "unione con Cristo, nella Chiesa, per opera dello Spirito Santo" è una. Tale affermazione non è posta solo nei termini sintetici del testo sopra citato, quasi una formula, ma è l'assunto fondamentale di tutta l'ecclesiologia della Lumen Gentium. Quanto il Concilio ha detto sulla funzione dello Spirito Santo, sulla natura e gli effetti della grazia e del suo dinamismo, sul battesimo, la cresima e l'eucarestia, sul culto liturgico e la preghiera privata, sulla fede, la speranza, la carità e tutto l'organico  complesso delle virtù, come sulle dimensioni cristologiche ed ecclesiali della nostra vita cristiana; insomma tutto ciò che esso ha proposto come essenza della nostra vita cristiana o come caratteristiche tipiche di coloro che mossi dallo Spirito Santo vivono la loro unione con Cristo nella Chiesa, tutto spiega e approfondisce il senso dell'affermazione che la vita di unione con Cristo, e cioè la santità di tutti i fedeli, è una.[9]

            Perdere di vista questo dato teologico semplice ed essen­ziale porta alla frantumazione della pastorale, che si concentra e divide su altri riferimenti parziali ma non ultimi; porta alla dissocia­zione della spiritualità dalla teologia, con reciproco impoverimen­to; porta ad una visione satellicistica di esperienze e cammini di santità che non si colgono in reciproco e organico completamento nell'unità di tutto il Corpo mistico e dei suoi membri.

            Dopo aver sottolineato che la santità cristiana è "una", il Concilio, altrettanto chiaramente, dice che non è "eadem", la medesima, ma differenziata.

            "(La santità della Chiesa) si esprime in varie forme presso i singoli, i quali, nella vita che è loro propria, giungono alla perfezione della carità edificando gli altri" (LG 39).

            "Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura dei doni di Cristo" (LG 40).

            "Nei vari generi di vita e nelle varie professioni (...) ognuno secondo i propri doni e le proprie funzioni deve senza indugi avanzare..." (LG 41).[10]

            A scopo quasi esemplificativo vengono passate in rassegna alcune principali catego­rie di persone e di situazioni ma poi si conclude: "Tutti i fedeli quindi nelle loro condizioni di vita, nei lavori o circostanze, e per mezzo di tutte queste cose saranno ogni giorno più santificati se ..."(LG 41).[11]

            Da questi ed altri passaggi dell'insegnamento conciliare che dicono il fatto della differenziazione nella santità, cogliamo anche i motivi.        

            La santità è una ma non uniforme perchè:

            1. Dio instaura un rapporto personale con i suoi figli che si esprime in vocazioni e responsabilità personali, accompagnate da "doni" e "grazie" particolari. 2. Diversa e singolare è la natura personale e la storia di ogni uomo su cui la grazia agisce e santifica senza distruggere. 3. La realtà della comunione con il Corpo mistico presup­pone e convoca le diversità dei carismi e uffici delle membra.

            Risulta inoltre, come evidente conseguenza, che questa diversità di forme non è in opposizione, ma è condizione per tendere all'unica santità.

            "E' chiaro dunque a tutti, che tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita cristia­na e alla perfezione della carità" (LG 40).

             Nessun falso e appiattito ugualitarismo, nè unilatera­lismo ascetico è ammesso in una visione di Chiesa come "comunione", come Corpo mistico di Cristo, "unum corpus sumus in quo alter alterius membra" (Rom 12,5), e nel quale "unicuique autem nostrum data est gratia secundum mensuram donationis Christi" (Ef 4,7).

            La realtà dell'"unione in Cristo nella Chiesa" fonda tanto l'unità quanto la diversità della santità.

 

            8. Verso una definizione?

            Il Concilio non si è preoccupato di dare una definizio­ne, di delineare un cliché di santo o di santità. Ha posto delle precise indicazioni teologiche essenziali, aperte a prospet­tive, approfon­dimenti e indirizzi esistenziali e teologici.

            Raccogliendo, comunque, questi elementi essenziali emerge la constatazione che la santità e il santo sono un evento dell'azione dello Spirito nell'"Instaurare omnia in Christo" (Ef 1,10), nel cammino escatologico della storia della salvezza, che si realizza nella Chiesa.

            "Il santo è colui che, nella singola­rità di vocazione e di carismi, mosso dalla carità, realizza l'unione con Cristo, in seno alla Chiesa, per opera dello Spirito Santo a gloria di Dio Padre".

            La perfezione della carità con cui taluni cristiani si sono aperti ed hanno corrisposto alla grazia loro comunicata, conforman­dosi più pienamente a Cristo, e la loro esemplarità in seno alla Chiesa, costituiscono i due principali fondamen­ti teologici che giustificano il riconoscimento e la promo­zione del loro culto.

 

            III. INDICAZIONI  SUL  CULTO  DEI  SANTI.

            L'ampia e approfondita riflessione sulla santità cristia­na, sviluppata ai numeri 39-42 della Lumen Gentium, motiva e indirizza il discorso teologico e pastorale sul culto dei santi. Esso viene svolto organicamente nei succes­sivi numeri 48-51 del medesimo documento conciliare.

            Il culto dei santi è presentato come parte integrante della fede della Chiesa e come attività della fede, omogenea con essa e con le sue esigenze. E' inserito nel contesto dell'"indole escatologica della Chiesa pellegrinante" in termini di "canto di gloria a Dio" (LG 49), di "esercizio  della fraterna carità" (LG 50) e di "amore fattivo" (LG 51). Trova le sue principali modalità di attuazione nella comunio­ne, imitazione e preghiera.

            Questa ricentrazione del culto dei santi nella fede e nella vita della Chiesa costituisce la sua autentica promo­zione ed è, allo stesso tempo, contestazione di "abusi, eccessi o difetti" (LG 51) che, in differenti epoche e culture, si sono infiltrati in questa manifestazione della religiosità - sempre molto diffusa e sentita - fino a costi­tuire, a volte, difficoltà alla fede e alla sua retta espres­sione nella vita dei fedeli.

 

            1. E' celebrazione del mistero di Cristo.

            Se, come abbiamo concluso dalla precedente indagine teologi­ca, la santità è essenzialmente "unione con Cristo, per opera dello Spirito Santo, a gloria di Dio Padre", venerare i santi significa celebrare il mistero di Cristo realizzato nella loro vita in forma partico­larmente perfetta ed esemplare.[12]

            Celebrando i santi "proclamiamo infatti le meraviglie di Cristo nei suoi servi" (SC 111) e la concretezza ed efficacia storica del suo mistero di salvezza. In essi, "santi in Cristo" (1Cor 1,2; Fil 1,1), per la presenza dello Spirito Santo (1Cor 3,16; Ef 2,22) vediamo realizzate, e dunque accessibili, le beatitudini e i "frutti dello Spirito" che caratterizzano la vita nuova redenta. "Mentre, infatti, consideriamo la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, per un motivo in più ci sentiamo spinti a cercare la città futura (Cfr. Ebr 13,14 e 11,10)... Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia trasformati nell'immagine di Cristo (Cfr. 2Cor 3,18), Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno, verso il quale, avendo davanti a noi un tal nugolo di testimoni (Cfr. Ebr 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo poten­temente attirati" (LG 50).

            Il culto dei santi, "amici e coeredi di Gesù Cristo" (LG 50) è, dunque, originato e ordinato al culto di Cristo:            "non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo di esem­pio... poichè come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comu­nione con i santi ci unisce a Cristo" (LG 50).

            Doveva essere ben presente al pensiero dei pastori della Chiesa riuniti in Concilio lo sfondo di critiche e di proble­mi pastorali legati a una pratica del culto dei santi non sempre e non sufficientemente concepita e attuata con questo pur ovvio riferi­mento cristocentrico. Così, dopo aver fatto menzione della continuità della tradizione, segnata dai Concili Niceno II, Fiorentino e Tridentino, i Padri concilia­ri affermano esplicita­men­te che "il nostro rapporto con i beati, purchè lo si concepi­sca alla più piena luce della fede, non diminuisce affatto il culto latreutico, dato a Dio Padre mediante Cristo nello Spirito, ma, anzi lo intensifica" (LG 50). "Infatti ogni nostra attesta­zione autentica di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo che è la 'corona di tutti i santi', e per lui a Dio che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato" (LG 50).

            Occorre, dunque, rivendicare al culto dei santi la sua prima e nativa finalità di essere, appunto, "culto", lode a Dio. Altre finalità - pastorali, sociali, pedagogiche, ecc. -saranno valide e legittime solo se ad essa coordinate.

            Quanti "usi" si fanno dei santi e delle loro esperienze di Dio! Ma loro prima e più essenziale finalità è quella di essere una "più piena lode di Cristo e di Dio" (LG 50). "A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra..."(LG 49).

            Da ciò deriva anche che le varie forme di culto e di devozio­ne ai santi devono trovare nel culto liturgico la loro fondamen­tale espressione e il loro criterio di autenticità.

            "La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, quando, specialmente nella sacra litur­gia, nella quale la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in comune esultanza cantiamo le lodi della divina maestà, e tutti, (...), raduna­ti in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifi­chiamo Dio uno e trino" (LG 50).

            Un culto dei santi così inteso, anzichè distogliere o attenuare la tensione cristocentrica, la arricchisce e da questa ne resta arricchito. C'è infatti unità e reciprocità esistenziale tra "storia della salvezza" realizzata in Cristo e "storie di salvezza" attuate nei santi, tra "vangelo, annuncio di Cristo" e "vangelo vissuto", sempre scritto dallo Spirito, nella vita evangelica dei santi.

            I "santi", come anche tutti quelli che sono "morti e risorti con Cristo", appartengono a Lui, sono di "Cristo" (LG 50), sono parte del suo amore. E come l'amore del prossimo è atto "religio­so" di amore a Dio, così l'amore ai santi è, direttamente e immediata­mente, amore e culto a Dio.[13]

 

            2. E' celebrazione del mistero della Chiesa.

            Il culto dei santi ha il suo presupposto oltre che nel loro rapporto glorioso con Cristo, "vivi in Cristo", anche nel loro rapporto vitale con la Chiesa: "la Chiesa ha sempre creduto che i santi siano con noi strettamente uniti" (LG 50). Proprio perchè "la Chiesa di quelli che sono in cammino riconosce benis­simo questa comunione di tutto il Corpo mistico di Cristo... ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti... e ha con un particolare affetto venera­to (i santi) insieme con la beata Vergine Maria e i santi angeli" (LG 50).

            La "comu­nione dei santi" non è solo una verità da crede­re; è anche un "rapporto in forma di culto". "Questa veneranda fede dei nostri padri circa la nostra vitale unione con i fratelli che sono nella gloria celeste o che ancora dopo la morte stanno purificando­si, questo sacro­santo Concilio la riceve con grande pietà e nuovamente propone i decreti dei sacri Concili Niceno II, Fiorenti­no e Tridentino. Insegnino dunque ai fedeli che il culto autentico dei santi..." (LG 50).

            La tradizione del culto dei santi è condivisa - si ricorda nell'Unitatis Redintegratio n.15 - anche dalle Chiese d'O­riente. "In questo culto liturgico gli orientali magnifi­cano con splendidi inni Maria sempre vergine..., e onorano pure molti santi, fra i quali i Padri della Chiesa universa­le".

            Insieme alla constatazione della continuità del culto dei santi, è da sottoli­neare come la Chiesa riconosca e celebri in esso il suo mistero di Corpo mistico di Cristo, di comu­nione umana e divina, visibile e invisibi­le, già realizzata e in compimento. "L'unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunione dei beni spiritua­li. A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra e in molteplici maniere contribuisco­no ad una sua più ampia edifica­zione (Cfr. 1 Cor 12,12-27)" (LG 49).

            La celebrazione del mistero della Chiesa "si attua in maniera nobilissima specialmente nella sacra liturgia, soprattut­to nel sacrificio eucaristico" (LG 50). "Così - precisa il n.51 della Lumen Gentium - mentre comunichia­mo tra di noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima, corrispondiamo all'intima vocazione della Chiesa e pregustan­do partecipiamo alla liturgia della gloria eterna. (...) Allora tutta la Chiesa dei santi nella suprema felicità dell'amore adorerà Dio".

            Il culto dei santi aiuta a rispettare e a coltivare il mistero della Chiesa nella sua globalità; aiuta a non dimen­ticare che è una realtà più grande di quanto non lo sia la frazione di essa che lavora, geme e soffre "qui" e "ora" sulla terra, perché, anzi, la parte più viva è quella che ormai regna con Cristo in cielo.[14]  Il santo è giustamente visto come un  campione della santità della Chiesa, intendendo per "campione" non la sua ecceziona­lità (il distacco di una parte dal tutto,) ma, giusto il contra­rio, la sua rappresenta­tività - "per eminenza" certo - del tutto.

            La continuità esistenziale tra il santo e la santità della Chiesa si realizza in un flusso vivificante, in un reciproco rapporto di causa ed effetto. La santità della Chiesa, nella sua concretezza storica è all'origine (causa sacramentale) del santo; a sua volta, la santità del santo sommamente contribuisce, in vita e nella beatitudine eterna, al progresso della santità della Chiesa. Dunque, per ben comprendere i santi e il culto loro tributato occorre conoscere e comprendere la Chiesa in cui sono cre­sciuti e riconosciuti, anche a distanza di tempo. Come pure, per ben comprendere la Chiesa - il suo mistero e la sua storia - sarà di grande utilità la conoscenza dei santi che di Essa hanno condiviso, per simpa­tia nello spirito, i valori, i problemi e i cammini più essenziali e interiori.[15]

 

            3. Culto come devozione.

            In quali forme, per quali vie si deve concretizzare il culto dei Santi? In che cosa esso consiste? Raccogliamo gli orientamen­ti pastorali forniti dalla dottrina del Concilio.

            "Insegnino ai fedeli che il culto autentico dei santi non consiste tanto nella molteplicità degli atti esteriori, quanto piuttosto nell'intensità del nostro amore attivo, col quale, per il maggiore bene nostro e della Chiesa, cerchiamo dalla vita dei santi l'esempio, dalla comunione con loro la parte­cipazione e dalla loro intercessione l'aiuto" (LG 51).[16]

            Nella visione della fede cristiana i santi non sono solo perso­naggi "del passato", ma persone vive "del presente", anche se non più nella dimensione terrena, ma in quella di "vita presso Dio". Il rapporto con loro nel culto non può essere inteso solo in termini di ricordo, di memoria, di  esempio; va attuato anche come presenza, comunione e amore.  Questa solidarietà si esprime da parte dei santi come intercessione, aiuto, vicinanza che nobilita ed edifica, sollecitu­dine (Cfr. LG 49), e da parte dei fedeli come devozione, affetto, imitazione e preghiera.[17]

            Devozione (amore, affetto, ecc.), preghiera e imitazione sono le tre modalità con cui si eprime quell'"amore fattivo" (LG 50) che è l'essenza del culto dei santi.

            Per comprendere i contenuti del termine "devozione" basta raccogliere insieme le espressioni usate in LG 50 per indi­care la relazione fraterna con i santi: "venerati con parti­colare affet­to",, "piamente implorati", "pia devozione", "fraterna carità", "attestazione di amore". Tali forme di devozione sono motivate dal fatto che "è sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo e anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio" (LG 50).

            Per "devozione" si intende perciò quell'atteggiamento interiore, fatto di fede e di umanità,  che anima i diversi atteggiamenti di relazione - liturgici, personali, comunita­ri, popolari, - secondo le diverse sensibilità, culture ed epoche. Il Concilio non si ferma a descriverli;[18] solo pone, a discerni­mento e promozione, un criterio positivo: "la molteplicità degli atti esteriori sia animata dall'intensità dell'amore attivo", e un criterio negativo: "si tolgano e correggano abusi, eccessi o difetti" (cfr. LG 51).

 

            4. Culto come imitazione.

            L'amore attivo che anima l'autentico culto dei santi si esprime nel cercare "dalla vita dei santi l'esempio per il maggiore bene nostro e della Chiesa" (LG 51). E' una indi­cazione quanto mai necessaria.

            Sappiamo come il vero culto a Dio sia la vita obbediente (Lev 22,3 ss), fedele (Deut 10,12) e santa (Lev 19,2; 20,26), di "santificati in Cristo Gesù" (1Cor 1,2; 6,11) e di "chia­mati ad essere santi" (Rom 1,7; Fil 1,1). E' la santità il vero culto a Dio! E - passi il gioco di parole -anche il culto dei santi si esprime nella santità che è culto. Infatti, il culto dei santi ha per scopo ultimo la nostra personale santificazione, cosicchè venerare i santi corrisponde a imitare la santità  dei santi. "Si veraciter amamus, imitemur".[19]

            Proprio "per favorire la santificazione del popolo di Dio" la Chiesa "propone ai fedeli i loro esempi che attraggo­no tutti al Padre per mezzo di Cristo" (SC 104).[20]  I santi, "più perfet­tamente trasformati nell'immagine di Cristo" (cfr. 2Cor 3,18), sono un "segno del suo Regno", "un nugolo di testimoni" e una "affermazione della verità del Vangelo", perciò "mentre conside­riamo la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, per un motivo in più ci sentiamo spinti a cercare la città futura (cfr. Eb 13,14 e 11,10) e insieme ci è insegnata la via sicuris­sima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno" (LG 50).

            L'esemplarità eminente dei santi proposti al culto non è fine a se stessa, come straordinarietà che susciti il passeg­gero senso di meraviglia, ma è finalizzata ad orientare all'unio­ne con Cristo, alla santita' come possibilità ordinaria di vita, susci­tando l'imita­zione fervorosa dei cristiani. E' necessario precisare che imitare un santo non significa né "copiarlo", né "idealizzarlo"; significa interpretare l'originalità del santo nella propria vita; significa far rivivere la sua particolare esperienza evangelica (carisma) donata e riconosciuta per il bene-essere attuale della Chiesa. Alla imitazione-intepretazione del santo, proposto al culto come "esemplare", sono chiamati tutti i cristiani ma, evidentemen­te, con diversa intensità di coinvolgimento determinata da ragioni di affinità storica (condizioni e stato di vita, appartenenza alla medesima Chiesa locale o Famiglia religiosa, ecc.) e di affinità spirituale (doti di personalità, carismi, ecc).[21] E' Cristo il modello unico di ogni santità, ma è un modello "aperto" a infinite incarnazioni storiche. I santi, con la loro concretezza di vita, ravvivano nei cristiani l'intelligenza e l'amore di Cristo, liberandoli dall'idealismo e dal sentimentalismo, e così, come fratelli nella fede, favoriscono l'imitazione e sequela dell'unico Maestro.

            Una pratica di devozione che non attinga a questo concre­to obiettivo è di dubbia autenticità. "Devozione", "imita­zio­ne", e "sequela di Cristo", guardando alla storia e alla teologia del culto dei santi, risultano strettamente congiunte.

 

            5. Culto come preghiera.

            Gli argomenti storici e teologici del "pregare i santi" sono già emersi precedentemente; sono riassunti nella Lumen Gentium all'inizio dell'importante n.50, dedicato alle "relazioni della Chiesa pellegrinante con la Chiesa celeste", e prima di conclude­re che la Chiesa da sempre "ha piamente implorato l'aiuto della loro intercessione".[22]

            Va osservata una cosa: non si trova nei testi conciliari l'espressione "pregare i santi" pur cara e abituale, nel concetto e nella pratica, alla tradizione del popolo cristia­no. E' stata forse evitata perchè poteva evocare non poche deviazioni di una devozione che, a volte, per la perdita del suo cristocentri­smo, è decaduta in forme magiche e quasi idolatri­che.

            Il "pregare i santi" è presentato nei testi conciliari più come un "pregare con i santi", fondato sulla loro "comu­nione e intercessione" (LG 51) - "la Chiesa implora per i loro meriti i benefici di Dio" (SC 104) - e come un "pregare a causa dei santi", come motivo di lode a Dio "che è mirabile nei suoi santi ed in essi è glorificato" (LG 50).

                       Intercessione d'aiuto e lode a Dio sono le due "corde vocali" della preghiera rivolta ai santi. "E' sommamente giusto... che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio, che rivolgiamo loro supplici preghiere e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro, il quale solo è il nostro Redentore e Salva­tore! Infatti ogni nostra autentica attestazione di amore fatta ai santi per sua natura tende e termina a Cristo" (LG 50).

            Il culto dei santi nella preghiera ha il suo apice, ci dice ancora LG 50, "quando celebriamo il sacrificio eucari­stico", infatti in esso "ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste comunicando con essa".

 

            6. Un culto da promuovere e da purificare.

            La trattazione del culto dei santi da parte dei Padri conciliari è stata ampia e organica. Si coglie una precisa volontà di promuoverne l'"autentico" culto, perchè rientra nella promozione della vita della Chiesa di cui esso è parte integran­te.

            Questa promozione è sostenuta più con l'indicazione positiva di valori e di orientamenti che non con la denuncia esplicita di errori e difetti. Ma risulta evidente che il compito pastorale di promozione del culto dei santi presup­pone quello della sua purificazione, "se si fossero infiltra­ti qua e là abusi, eccessi o difetti, tutti quelli cui spetta si adoperino per toglierli e correggerli e tutto restaurino per una più piena lode di Cristo e di Dio" (LG 51).[23]

            Quali saranno stati questi abusi, eccessi o difetti cui si fa allusione nel documento? Alla luce di altra docu­menta­zione di tipo pastorale e soprattutto dei successivi interventi di riforma dell'Anno liturgico e del Calendario, possiamo pensare a 1. perdita del riferimento cristologico; 2. perdita del riferimento ecclesia­le; 3. lacune di verità storica sulla vita dei santi; 4. devozione di tipo meravi­glioso-magico; 5. indifferenza o rifiuto del culto dei santi.[24]

            Un'ultima annotazione. In quest'opera di promozione del culto dei santi il Concilio annette grande impor­tanza alla liturgia, per il suo grande valore paradigmatico e pedagogico nei confronti di ogni altra espressione di pietà personale e comunitaria. E' quanto illustreremo nella prossima parte del nostro studio.

 

            IV. INDICAZIONI SUL CULTO LITURGICO DEI SANTI.

            All'interno del più ampio discorso sul culto dei santi, fatto di venerazione, imitazione e preghera, si colloca quello della sua espressione liturgica, fonte e criterio della autenti­cità delle altre espressioni.[25]

            "La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, quando, specialmente nella sacra litur­gia... radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifi­chiamo Dio uno e trino" (LG 50).

            Le indicazioni teologiche e pastorali su santità e culto dei santi trovano corrispondenza e applicazione nelle indicazioni liturgi­che - poche ed essenziali - contenute nella Costituzione Sacrosan­ctum Conci­lium, soprattutto ai numeri 104 e 111.

            Sono facilmente individuabili le due direttive-cardine proposte per il culto dei santi: 1. dimensione ecclesiale del culto dei santi e 2. suo recupero celebrativo all'interno della prospet­tiva della centralità del mistero pasquale di Cristo.

 

            1. E' culto della Chiesa.

            E' sempre la Chiesa, in Cristo, il soggetto dell'azione liturgica,[26]  compresa quella celebrativa dei santi. SC 111 fa esplicito appello alla tradizione della Chiesa per illuminare il senso teologico del culto dei santi ed anche la venerazione delle loro reliquie e immagini. E' interessante notare come anche sintatticamente sia evidenziato il "soggetto Chiesa": "La Chiesa ha inserito...­ Nel loro giorno natalizio la Chiesa proclama... propone...  im­plora... (SC 104); "La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi..." (SC 111).

            Dalla tradizione della Chiesa, sappiamo che "tempo" e "luogo" del culto dei santi è la comunità cristiana locale nel suo momento più qualificante, cioè nel contesto della celebrazio­ne eucaristi­ca. E' il modo più concreto di manifestazione del vero rapporto che intercorre tra Cristo - la Chiesa - i santi.

            "Quando celebriamo il sacrificio eucaristico ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe e dei beati apostoli e martiri e di tutti i santi" (LG 50).

            La dimensione ecclesiale del culto dei santi ispira anche il dettato di SC 111 riguardante l'ordinamento della loro celebrazione liturgica: "molte di esse (feste dei santi) siano celebrate da ciascuna Chiesa particolare o Nazione o Famiglia religiosa; siano invece estese a tutta la Chiesa soltanto quelle che celebrano santi di importanza veramente universa­le". Tale prescrizione raggiunge il duplice obiettivo di evitare una eccessiva espansione del Santorale, a scapito del ciclo celebra­tivo del mistero di Cristo, e di affermare lo stretto legame storico-spirituale tra santi e Chiesa locale.

            Questi due obiettivi troveranno più ampia illustrazione nei documenti di riforma del Calendario.

 

            2. "Proclama il mistero pasquale realizzato nei santi".

            Tutto il ciclo delle celebrazioni annuali è incentrato nella memoria dell'opera di salvezza di Cristo, di cui la liturgia è "ultimo momento". La Chiesa "nel ciclo annuale presenta tutto il mistero di Cristo", nei suoi diversi momenti, "così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perchè i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza".

            Questo è il senso dell'anno liturgico enunciato in SC 102. Il culto della Madonna e dei santi si inserisce dentro  questo quadro celebrativo annuale del mistero pasquale. "La Chiesa ha inserito nel corso dell'anno anche la memoria dei martiri e degli altri santi... Nel loro giorno natalizio infatti la Chiesa proclama il mistero pasquale realizzato nei santi che hanno sofferto con Cristo e con Lui sono glorificati" (SC 104).

            Nel culto dei santi la Chiesa mostra l'efficacia, la risonanza e gli inesauribili frutti della redenzione.

            "Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi" (SC 111). Celebrano, cioè, l'unico mistero di Cristo visto nei suoi frutti migliori, in coloro che hanno accolto in se e realizzato pienamente il mistero pasquale di Cristo. "L'anno liturgico - osserva P. Visentin - così viene a celebrare il "Christus totus", cioè non soltanto la persona del Cristo, ma il "fructus totus" della sua salvezza e l'"opus totum" della redenzione".[27]

            Non c'è quindi nessuno iato tra il celebrare Cristo e il celebrare Cristo nei santi, tra "Proprio del Tempo" e "Santo­rale". "L'animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore, nelle quali, durante il corso dell'an­no, si celebrano i misteri della salvezza. Perciò il Proprio del Tempo abbia il giusto posto sopra le feste dei santi, in modo che sia conveniente­mente celebrato l'intero ciclo dei misteri della salvezza" (SC 108).

            Da un punto di vista liturgico, va osservato che questo "giusto posto sopra le feste dei santi" del Proprio del Tempo non è solo un fatto "quantitativo", di numero di feste, (cfr. SC 111), ma soprattutto teologico: il mistero di Cristo è origine e fine del culto dei santi.

            Inoltre - sembrano considerazioni ovvie, ma non altrettan­to nella prassi - il miglior modo di valorizzare il culto dei santi è proprio quello di viverlo come parte integrante del mistero pasquale di Cristo celebrato nell'anno liturgico. Ogni "maggiora­zione" devozionistica e sociologica dei santi, a scapito del loro riferimento a Cristo, si rivela poi, di fatto, un "impoverimento".

            E' proprio perchè sono cristiani che hanno vissuto in pienezza il mistero pasquale di Cristo che i santi vengono venerati come modelli e intercessori.

            Il vero titolo di dignità e di valore, anche pastorale, del culto dei santi sta proprio nel suo cristocentrismo; per questo non è pensabile un Santorale inteso quasi come "parallelo" rispetto alla celebrazione del mistero della salvezza nell'anno liturgico; sarebbe inevitabilmente fonte di una "pietas", che può essere anche sincera e popolare, ma non autenticamente cristiana.

 

            3. "Propone ai fedeli i loro esempi".

            "Nel loro giorno natalizio la Chiesa... propone ai fedeli i loro esempi che attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo" (SC 104). E' la seconda finalità propria della celebrazione delle feste dei santi.

            I santi sono riflessi della santità di Cristo e fin dagli inizi la Chiesa valorizzò l'efficacia pedagogica connessa alla loro venerazione. Un'antica testimonianza sul culto dei santi già precisava che "noi adoriamo Lui (Cristo) perchè è il Figlio di Dio e noi amiamo giustamente i martiri, ma come discepoli e imitatori del Signore a causa del loro invinci­bile attaccamento al nostro re e maestro. Ci conceda Dio di essere solidali con loro alla scuola di Cristo".[28]

            Quanto sopra detto, nei primi tempi del culto dei santi, è anche quello che la Costituzione Apostolica "Sacrosan­ctum Conci­lium" ripresenta come significato e compito sempre attuale: "Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare" (SC 111).

            Saranno poi altri documenti della riforma liturgica a  dare più dettagliate indicazioni sul come valorizzare l'esem­pla­rità dei santi nelle celebrazioni. Per meglio servire questa esempla­rità, ad esempio, in SC 92.c, ove si parla delle letture nella Liturgia delle Ore, si dice che "le passioni, ossia le vite dei santi, siano riportate alla verità storica".

 

            4. "Implora per i loro meriti i benefici di Dio".

            A livello popolare l'"implorare i santi" è l'aspetto più concreto e coinvolgente del loro culto.

            Il documento conciliare sulla liturgia non dice molto; si limita a richiamare con scarne parole che la Chiesa "implora per i loro meriti i benefici di Dio" (SC 104), lasciando ad altri documenti successivi il compito di formulare testi e di precisare modalità liturgiche. Questa caratteristica del culto dei santi è stata inserita in SC 104 nell'ultima stesura del testo con le due note espressioni: "pro nobis intercedunt" e "(Ecclesia) eorumque meritis Dei beneficia impetrat".[29]  Gli argomenti teologici dell'intercessione dei santi nella preghiera della Chiesa pellegri­nante hanno trovato invece l'adeguata esposizione in Lumen Gentium 50 e 51.

 

            5. Per il rinnovamento del culto liturgico dei santi.

            Tutta la struttura liturgica (celebrazioni, attori, tempi, luoghi, ecc.) è in diverso modo interessata al culto dei santi, proprio perchè esso non è un capitolo a sè, ma parte integrante della celebrazione del mistero pasquale di Cristo (cfr. SC 104, 111). Va, dunque, riferito a giusto titolo anche al culto liturgico dei santi quanto il Concilio chiede a tutta la liturgia: che nutra la fede del popolo cristiano (SC 23), che offra più abbondanti letture bibliche (SC 24 e 35), che abbia "nobile semplicità", evitando ripetizioni inutili (SC 34), che rispetti il riferimento essenziale e fontale della Domenica (SC 106), che si proceda da un accurato studio teologico, storico, pastorale (SC 23).

            Le forme e riforme di quanto riguarda la celebrazione dei santi nella liturgia non furono trattate in sede conciliare. Furono via via precisate nei documenti successivi fino a trovare compimen­to nei rinnovati libri liturgici.[30]

 

            OSSERVAZIONE CONCLUSIVA

            Abbiamo raccolto in silloge le indicazioni teologiche, pastorali e liturgiche del Concilio Vaticano II circa santità e culto dei santi. Si tratta - l'abbiamo constatato - di una chiara proposta di valori e di orientamenti densi di signi­ficati e di concretezza pastorale, capaci di far fermentare dal di dentro il rinnovamento di una mentalità e di una prassi di culto dei santi che sembrava in parte sfuggire ad ogni sistemazione teologica, pastorale e liturgica.

            Il "rinnovamento" voluto dal Concilio, mediante i documen­ti e le decisioni maturate in seguito, è diventato una vera "riforma" le cui massime espressioni, nella liturgia, sono costituite dal nuovo ordinamento dell'Anno liturgico, del Calendario genera­le e dei Calendari particolari e dai rinno­vati Propri della Messa e dell'Ufficio.

            La grande fecondità di rinnovamento, seguita alla rifles­sione conciliare - a ben considerare non nuova né partico­larmente originale -, probabilmente è dovuta al fatto di non aver considera­to e trattato il culto dei santi come "argomen­to a sè", settoriale, ma globalmente (teologia pastorale liturgia) ed entro una visione globale di storia della salvezza, di ecclesiologia e di liturgia,  di modo che la parte è vivificata dal tutto dell'esperienza cristiana e, a sua volta, contribuisce a darle vitalità e nuove risonanze celebrative ed esistenziali.

 


[1]  Il tema sarà trattato in due distinti articoli; a questo presente  farà seguito quello dedicato a "Il culto dei santi nella riforma del dopo Concilio Vaticano II".

     [2] Nota bibliografica. DELEHAYE H. Sanctus. Essai sur le culte des saints dans l'antiquité (Subsidia Hagiografica, 17). Bollandi­stes, Bruxelles, 1927. IDEM. Les origines du culte des martyrs (Subsidia Hagiografi­ca, 20). Bollandistes, Bruxelles, 1933. SEJOURNE' P. Saints (Culte des) in Dictionnaire de Theologie Catholique. Tomo XIV,1. Paris, 1939. col.870-978. DE GAIFFIER B. Réflexions sur les origines du culte des martyrs in La Maison-Dieu 1957 (n.52), p.19-43. CHAVASSE A. Sanctoral et Année Liturgique in La Maison-Dieu 1957 (n.52), p.89-97. RIGHETTI M. Storia litur­gica. II. L'anno liturgico. Milano, 1969. p.304-324 e 396-470. DUBOIS J. Les saints du nouveau calendrier. Tradition et critique historique in La Maison-Dieu 1969 (n.100), p.157-178. RORDORF W. Aux origines du culte des martyrs in Irénikon 45(1972), p.315-331. BROVELLI F. Anno liturgico in Dizionario Teologico Interdisciplinare, I. Torino, 1977. p.315-331. AMORE A. Culto e canonizzazione dei santi nell'antichità cristiana in Antonianum 53(1977), p.38-80. LOW G. Canonizza­zione dei Santi in Enciclopedia cattolica, III, coll.569-607. VISENTIN P. Formazione e sviluppo del santorale nell'Anno liturgico in Rivista Liturgica 65(1978), p.297-319. CITRINI T. Memoria, riconosci­mento e canonizza­zione dei santi in La Scuola Cattolica 91(1981), p.325-352. JOUNEL P. Il culto dei santi in MARTIMORT A.G. La Chiesa in preghiera. IV.La litur­gia e il tempo. Brescia, 1984. p.133-155. ADAM A. I santi nel Calendario romano (Il Santorale) in L'anno liturgico, cele­brazione del mistero di Cristo. Storia. Teologia. Pastorale. Torino-Leumann, 1984. p.203-280. BROWN P. Le culte des saints. Son essor et sa function dans la chrétienté latine. Parigi, 1984. JOUNEL P. Le renouveau du culte des saints dans la liturgie romaine (Bibliotheca "Ephemeri­des Liturgicae", Subsidia, 36). Roma, 1986. TRIACCA A.M.-PISTOIA A. (Ed.) Saints et sainteté dans la liturgie. Conférences Saint-Serge. XXXIII semaine d'études liturgiques. C.L.V.-Ed.Liturgi­che, Roma, 1987. (Bibliothe­ca "Ephemerides Liturgicae". Subsidia, 40). AUGE' M. I santi nella celebrazione del mistero di Cristo in AA.VV. Anamnesis. VI.L'anno liturgico. Storia. teologia e celebrazio­ne. Genova, 1988. p.247-259.

     [3]  Il richiamo alla tradizione della Chiesa come riferimento sicuro della sua fede per quanto concerne il culto dei santi è contenuto anche nel periodo introduttivo del n.111 di Sacrosan­ctum Concilium: "Sancti iuxta traditionem in Ecclesia coluntur, eorumque reliquiae authenticae atque imagines in veneratione habentur". Tale affermazione apparve solamente nell'ultima redazione del testo, poi approvato dai Padri conciliari (Acta Sinodalia Sacrosan­cti Concilii Oecumenici Vaticani II. Vol II, Periodus secunda, Pars III, p.270) e, come spiegato dalla Commissione Conciliare per la Sacra Liturgia, fu introdotta in risposta alla richiesta dei Padri (Ibidem, p.276).

     [4]  Il culto dei santi fu fin dagli inizi della vita della Chiesa una realtà tanto affermata che il Magistero non ritenne necessario pronunciar­si su di esso, se non a riguardo di alcune questioni prati­che. Il Concilio di Nicea (787) trattò della venerazione delle immagini (DS 601); l'enciclica "Cum conventus esset" (993) di Giovanni XV richiamò alcuni principi (DS 675); il Concilio Lateranense IV (1215) parlò dell'univer­salità della voca­zione alla santità (DS 802); il Concilio di Trento espresse alcune sentenze essenziali sulla retta tradizione, in rispo­sta alle contestazioni della riforma protestante (DS 1744, 1755 e 1867). Più recentemente si ebbero gli inte­ressanti interventi di Leone XIII sui temi della relazione del culto dei santi con la Trinità (DS 3325) e della Comu­nione dei santi (DS 3363). Pio XII, nel­l'encicli­ca "Mystici Corporis" trattò della santità nel quadro delle strutture carismatiche della Chiesa (in AAS 35(1943), passim p.200 e ss, 216,236) e nell'enciclica "Mediator Dei" pose in rilievo soprattutto l'esemplarità dei santi (in AAS 39(1947), p.581 e ss.). Accanto alla relativa scarsità di pronunciamen­ti magisteriali sul culto dei santi, sta la ininterrotta prassi liturgica, "luogo teologico" quanto mai ricco e sicuro. Cfr. MOLINARI P. Santi in Dizionario del Concilio Vaticano Secondo. Unedi, Roma, 1968. Col.1777. BEINERT W. Il culto dei santi oggi. Studio teologico-pastorale. Ed. Paoline, Milano, 1985. (Parola e Liturgia, 14), p.42-57.

     [5] Per un approccio globale al tema: MOLINARI P. Santi in Dizionario del Concilio Vaticano Secon­do. Unedi, Roma, 1969. coll.1777-1779. IDEM. La santità dei cristiani. Rifles­sioni teologiche sulla dottrina del Vaticano II in Ecclesia a Spiritu Sancto edocta (Lumen Gentium 53). Melanges theologi­ques. Hommage a Mgr. Gerard Philips. Gem­bloux, Duculot, 1970. p.521-546. VISENTIN P. Celebrazione del mistero di Cristo e celebrazione dei santi nell'anno liturgi­co in "Il Santo" 16(1976) p.463-473. NIER­MANN E. Culto (venerazione) dei Santi in Sacramen­tum mundi. VII. Morcellia­na, Brescia, 1977. p.359-366. MOSSO D. Aspetti teologici e problemi pastorali del culto dei santi in Rivista Liturgica 65(1978), p.334-346. MOLINARI P. Il "santo" alla luce della teologia dogmatica in Miscellanea A.P.Frutaz. Tipografia Guerra, Roma, 1978. p.285-310. IDEM. Santo in Nuovo Diziona­rio di Spiritualità. Ed. Paoline, Alba, 1978. p.1369-1386. JOUNEL P. Culto dei Santi in Nuovo Dizionario di Liturgia. Ed. Paoline, Alba, 1983. p.1338-1355. BEINERT W. Il culto dei santi oggi. Studio teologico-pastorale. Ed. Paoline, Milano, 1985. (Parola e Liturgia, 14). JOUNEL P. Le renouveau du culte des saints dans la liturgie romaine. Ed. Liturgiche, Roma, 1986. TRIACCA A.M.-PISTOIA A. (Ed.) Saints et sainteté dans la liturgie. Conférences Saint-Serge. XXXIII semaine d'études liturgiques. C.L.V.-Ed.Liturgiche, Roma, 1987. (Bibliothe­ca "Ephemerides Liturgicae". Subsidia, 40).

     [6]  Cfr. MOLINARI P. Il "santo" alla luce della teologia dogmatica, o.c. p.289.

     [7] Cfr. "Communio sanctorum" è il genitivo sia del neutro sancta, cioè dei doni salvifici, che del maschile sancti, cioè degli uomini santi. Cfr. al riguardo HAUER J. La Chiesa. Assisi, 1988. p.576-594 e KELLY J. Altchristliche Glaubenbe­kenntnisse-Geschichte der Theologie. Gottinga, 1972. p.380-390.

     [8] Il tema è trattato soprattutto nel capitolo V, ai n.39-42, "Vocazione universale alla santità nella Chiesa".

     [9] Cfr. di MOLINARI P. Il santo alla luce della teologia dogmatica, o.c., p.293; Diversificazioni nel modo di tendere alla santità in La Cività Cattolica 115(19­64), p. 7-20 e La vocazione di tutti i cristiani alla santità in La Civiltà Cattolica 115­(1964), p.542-550. 

     [10]  Ritorna alla mente la bella pagina di Sant'Agostino sulla varietà delle forme di santità. "I martiri hanno seguito Cristo fino all'effu­sione del sangue, fino a rassomigliargli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli. Infatti, dopo che essi passarono, non fu interrotto il ponte; né si è inaridita la sorgente, dopo che essi hanno bevuto. Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l'edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata..." (Sermo 304,2 in PL 38,1395-1397).

     [11] Similmente si esprimono anche LG 11, "Tutti i fedeli d'ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste", e LG 42, "Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfe­zione del proprio stato".

     [12]  Sant'Eusebio nella sua Historia Ecclesiastica spiega: "Illum (Christum) enim utpote Filium Dei adoramus, martyres vero tamquam discipulos et imitatores Domini, merito amore prosequi­mur..." (PL 20, 260-262).

     [13] K.Rahner ritiene che questa sia la motivazione principale che deve animare i cristiani nel culto dei santi. Cfr. RAHNER K. Cristianesimo esemplare in Nuovi saggi. II. Ed.Paoline, Roma, 1968. p.359-383.

     [14] MOLINARI P. Santo in Nuovo Dizionario di Spiritua­lità, o.c., p.1382.

     [15]  Il Card. J.Ratzinger ha espresso la professione di fede nella relazione dei santi con la vita della Chiesa in questi termini: "(Nella Chiesa) il raggio della compagnia, in cui entriamo mediante la fede va più in là, va persino oltre la morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele ad Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l'Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraver­so Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimigliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati. (...) Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell'umano, l'eterno nel tempo" (Riforma dalle origini in 30 Giorni VIII(1990) n.10, p.67).

     [16] A due decenni di distanza dal Concilio, la Costitu­zione Apostolica "Divinus perfectionis Magister" (1983), documento di riforma della legislazione per le cause di canonizzazione, nel Proemio riconferma le medesime indicazio­ni: "Accogliendo tali segni (i santi) e la voce del Signore con la più grande riverenza e docilità, la Sede Apostolica (...) da tempo immemorabile propone all'imitazione, venera­zione e invocazio­ne dei fedeli quegli uomini e quelle donne segnalati dal fulgore della carità e delle altre virtù evangeliche". Sono le tre principali e tradizionali modalità del culto dei santi.

     [17] Cfr. MOSSO D. Aspetti teologici e problemi pastorali del culto dei santi in Rivista Liturgica 65(1978), p.340. Anche il canone 1186, a distanza di tempo, presenta la finalità del culto dei santi nello stesso quadro descrittivo: "Per favorire la santifica­zione del popolo di Dio, la Chiesa raccomanda ai fedeli una specia­le e filiale venerazione della beata Maria sempre vergine, Madre di Dio, che Cristo ha costituito Madre di tutti gli uomini, e promuove il vero e autentico culto degli altri santi, che edificano con il loro esempio i fedeli e li proteggono con la loro interces­sione". 

     [18] SC 111 accenna anche alla venerazione di reliquie ed immagini dei santi: "Sancti iuxta traditio­nem in Ecclesia coluntur, eorumque reliquiae authenticae atque imagines in veneratione habentur".

     [19]  Così San Agostino nel Sermo 304,2 in PL 38, 1395. San Giovanni Crisostomo riprende spesso nelle sue omelie l'assioma "honor martyris imitatio est martyris" (Cfr. PG 50, 526, 663, 647).

     [20] Cfr. canone 1186; MOSSO D. Aspetti teologici e problemi pastorali del culto dei santi, o.c., p.338-342.

     [21]  Cfr. CITRINI T. Memoria, riconoscimento e canonizzazio­ne, o.c. p.342-345. MOSSO D. Aspetti teologici e problemi pastorali del culto dei santi, o.c. p.339.

     [22]   La riflessione patristica ha molto sviluppato il tema della intercessione dei santi. Sant'Ambrogio definiva i martiri "inercessori da invocare" (De viduis 9, 55 in PL 16, 251); Sant'Agostino ricorda più volte nei suoi sermoni che la Chiesa e i singoli cristiani "devono raccomandarsi alle loro preghiere" (Sermo 159, 1 in PL 38, 867-868; Sermo 284, 5 in PL 38, 1291; Sermo 285, 5 in PL 38, 1295); nella V catechesi gerosolomitana, n.9 si afferma che Dio, grazie alle preghiere dei santi, accoglie benevolmente la nostra preghiera" (Cfr. Sources chrétiennes 126, p.158-159).

     [23] Questo compito continua affidato dal canone 392,2 al Vescovo diocesano, il quale deve vigilare sulla corretta espressione del culto dei santi.

     [24] Gli studi recenti sul culto dei santi sempre tengono presenti questi abusi e difetti - talvolta con enfatizzazio­ni e generalizza­zioni - cui riflessione teologica, pastorale e riforma liturgica han cercato di reagire. Cfr. AA.VV. Fëter les saints in Notes de Pastorale Liturgique 22(1976), p.5-24 e 45-55. BALDOUIN J. On Feasting the Saints in Worship 54(1980) p.336-344. DELHOUGNE H. Célebrer les Saints? Place du sancto­ral dans la liturgie aujourd'hui in Liturgie n.44­(1983), p.25-44. MOSSO D. Aspetti teologici e problemi pastorali del culto dei santi, o.c., p.334-346. OBERTO G. La devozione ai santi nei libri liturgici e nella pietà popolare in FALSINI R. (A cura di) Liturgia e forme di pietà. Per un rinnovamento della pietà "popolare". O.R., Milano, 1979. (Nuova Collana Liturgica, 10). p.78-96. PATERNOSTER M. Il culto dei santi nei nuovi libri liturgici. Dottrina e prassi in Rivista Liturgica 65(1978), p.320-333. 

     [25] Cfr. SC 12 e 13. Cfr. JOUNEL P. Le renouveau du culte des saints dans la liturgie romaine. Roma, Ed. Liturgiche, 1986. 

     [26] Cfr. SC 5-10.

     [27]  VISENTIN P. Celebrazione del mistero di Cristo e celebra­zione dei santi nell'anno liturgico in Culmen et fons. Ed. Messaggero, Padova, 1987. p.356-357.

     [28] Martirio di San Policarpo in Corona Patrum Salesiana. Series graeca. Vol. XIV, Parte II, p.238-239. 

     [29]   Si tratta di due emendamenti al testo presentati dalla Commissione Conciliare per la Sacra Liturgia alla Congregazione Generale del 24.10,1963. Cfr. Acta Sinodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II. Vol II, Periodus secunda, Pars III, p.268.

     [30]   Ciò costituirà l'oggetto di un secondo articolo "Il culto dei santi nella riforma del Concilio Vaticano II".

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