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A. Belano, Don Orione e la conversione del Carducci
L. Quaglini, Luigi Orione, Giosuè Carducci e l'abate Chanoux " /> Messaggi Don Orione
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Autore: Igino Giordani

Nel 1945, stampato nelle officine grafiche della S.E.T. Apollon di Roma, uscì un interessante libro di Igino Giordani dal titolo I GRANDI CONVERTITI (Collezione Fari). Una riedizione è apparsa nel 1951 (2 ed., Figlie della Chiesa, Roma).

Riportiamo la Prefazione e il capitolo dedicato al Carducci.

Sul medesimo argomento si veda:

A. Belano, Don Orione e la conversione del Carducci
L. Quaglini, Luigi Orione, Giosuè Carducci e l'abate Chanoux


I GRANDI CONVERTITI


Prefazione

Questo libro esce mentre il mondo cattolico celebra il centenario della conversione di Newman (1845-1945) e mentre, sparata l'ultima cannonata, il mondo anticattolico riprende gli attacchi alla Chiesa, ripetendo un processo d'inversione spirituale, quando non sia una diversione politica.

Pure qualcosa di nuovo traspare: e le biografie qui raccolte ne offrono un presagio e in certo senso una garanzia; ed è che l'intelligenza, avendo incontrato satana sui campi di battaglia, nei concentramenti delle S.S., nella lotta di classe e nel servaggio politico, brama redenzione: torna a Cristo. Lentamente, stentatamente, ma torna. La ragione è ancora più forte dei pregiudizi, la verità è ancora più attraente dell'ignoranza. La vita in fine prevale sulla morte. Il materialismo con la sua desolazione fatalistica, la politica atea e pagana coi suoi orrori omicidi concorrono a riportare gli spiriti verso le prode dell'eterna luce, e quindi verso la Chiesa Madre , custode della verità. Le anime libere, lo sappiano o no, nel secolo nostro più che nel secolo scorso, ricercano le strade che portano a Roma.

Le conversioni qui narrate o accennate comprendono sopra tutto il periodo che va dalla Rivoluzione francese ai tempi nostri: un ciclo d'un secolo e mezzo in cui dalla massima depressione dell'intelligenza cattolica si è passati a una ripresa animosa, avendo superato la barriera dell'illuminismo Che spegneva i lumi, della razionalismo che deformava la ragione e dello scientismo che abusava della scienza.

Non si è preteso di dare una lista di tutte le grandi anime che, attraverso ricerche faticose, s'incontrarono nella casa di tutti. Si sono fissati alcuni tipi e abbozzati alcuni profili; dacché, a parlar di tutti, ci vorrebbe una serie di volumi.

Se il libro riuscirà a eccitare in qualcuno la coscienza del problema religioso, fra mezzo alla gazzarra in cui si agitano problemi di minore importanza, esso avrà concorso credulità – la inversione – ha tanto contributo ad agglomerare quella coltrice di tristezza per entro cui son guizzati siluri incendiari e teorie folli.

I convertiti son gente che han trovato la pace; e noi, generazione che, dopo due macelli, sospiriamo la pace, abbiamo urgenza, sul loro esempio, di convertirci.

Roma, Ognissanti 1945

i.g.

 

CARDUCCI

Del poeta maremmano, religiosamente parlando, si con­servano la « chitarronata » del Satana, la sfuriata antistorica del «Galileo dalle rosse chiome», il truculento finale dell'ode Alla Città di Ferrara , dove se la prende con «la lupa vaticana» tanto per «finire» [1], e un tonitruo telegramma col quale, avverso ai tentativi di conversione, rispose al Gran Maestro della massoneria, di cui era pompa, tonando: «Né preti né cardinali... Io sono qual fui... e tale aspetto immutato e imperturbato la grande ora»; e, almeno per la piazza, egli era morto incredulo come aveva vissuto rubello. Ma non era troppo audace supporre che un'anima come la sua non restasse imperturbata di fronte alla morte, e da qualcuno si sospettò sulla genuinità o almeno sulla leale spontaneità di quel telegramma, come pure sulla fermezza di quelle negazioni.

Della cosa, peraltro, non si parlò molto, fino al 1934, quando sul Conte Grande in navigazione per l'Argentina, in pubblica predica, don Orione ebbe ad annunziare che il Carducci, qualche animo rima di morire, s'era Confessato.

La notizia scoppiò, sulla nave eucaristica, come un esplosivo. Per allora don Orione si schermì dal dare spiegazioni; ma poi si venne a conoscere la vicenda con sufficiente chiarezza dopo che lo stesso santo sacerdote ebbe spiegato come la cosa fosse avvenuta. Da Courmayeur, nel 1899, il poeta, dopo una notte insonne, in cui fu sentito passeggiare su e giù, per la stanza. Salì diritto e celere al Piccolo San Bernardino, dove subito s'intrattenne con l'abate Chanoux, il monaco universalmente venerato da escursionisti e da scienziati, e con lui conversò per ore sopra Dio personale e sopra Cristo. Tornò al Piccolo San Bernardo più volte, ridiscendendone sempre più sereno. Là si vuole che il Carducci s'avvicinasse alla Chiesa, confessandosi e comunicandosi, e non una volta sola. Tra i monti, nella casa della pietà intelligente, il poeta avrebbe trovato Cristo e - notava don Orione - «ancora una volta, l'ultimo a vin cere nella misericordia ».

Don Orione diceva di aver appreso queste notizie da persona assolutamente degna di fede.

Quegli incontri con 1'abat e scienziato sarebbero avve­nuto nell'estate del 1889 [2] e in quello stato d'animo, di rifatta verginità spirituale, Carducci avrebbe composto «la purissima ode che da Courmayeur prende nome». Certo il Salvadori notò in una lettera al Carducci stesso che «il nome di Dio vi era nominato con rispetto insolito»; e il Carducci a sua volta Confessò al Salvadori: « In Dio son tornato a credere anch'io»; e ripeté, per lealtà, la confes­sione al Lemmi, Gran Maestro della massoneria.

L'«eterno femminino» influì sulla sua evoluzione: e fu prima, tra le donne in terra, la regina Margherita, che gli donò un Crocifisso, e in cielo, la Madonna , che gli donò suo Figlio.

- Credo, disse una volta il poeta a una signora - che la Madonna non mi voglia male, perché io non ho mai detto male di Lei. Piuttosto dissi bene. - Accanto a espres­sioni frammentarie della sua riverenza per la Vergine , ci resta 1'alata salutazione de La Chiesa di Polenta (1897), che è una gemma genuina nella sua produzione dove non man­cano pietre false:

 

Ave Maria! Quando su l'aere corre

L'umil saluto, i piccioli mortali

Scovrono il capo, curvano la fronte,

Dante ed Aroldo.

Una di flauti lenta melodia

Passa invisibil fra la terra e il cielo:

Spiriti forse che furon, che sono

E che saranno?

Un oblio lene de la faticosa

vita, un pensoso sospirar quiete,

una soave volontà di pianto

l'anima invade.

Taccion e le fiere e gli uomini e le cose,

roseo ‘l tramonto ne l'azzurro sfumo,

mormorano gli altri vertici ondeggianti:

Ave Maria!

 

Peraltro, anche dopo d'allora, anche l'ode per la Chiesa di Polenta, Carducci, in testimonianze pubbliche, riapparve - o fu fatto riapparire - il, vecchio incredulo, sotto le pressioni della massoneria, interessata a non lasciarsi strappare la gran preda.

Certo la massoneria circuì, come il leone vorace delle Scritture, il letto di morte del poeta per impedire al prete di passare.

Un amico personale, compagno di passeggiate, Alfre­do Castellini di Loiano [3], accompagnò - come egli rac­conta- nella casa del poeta infermo il francescano P. Pao­lino dall'Olio, chiamato dalla moglie, la signora Elvira Car­ducci. Il sacerdote entrò nella stanza e gli astanti - quasi tutti massoni- ne uscirono. Il Padre si trattenne circa un'ora.

Per tre volte, a distanza di tempo, il frate tornò a tro­vare il vegliardo paralizzato; la seconda volta lo confessò, la terza - il giorno della morte - gli somministrò l'Olio Santo.

Nel libro di Luigi Luzzatti, La libertà di coscienza e di scienza , edito nel 1909 dai Fratelli Treves, si legge a pa­gina 310 quanto segue:

«Il Cristianesimo ed il Paganesimo in Giosuè Carduc­ci. Nell'album di una egregia signora milanese, su questo vitale argomento, ho scritto una mia conversazione con il Carducci del dì 23 agosto 1899, lungo la via di Made­simo, che mi piace, di pubblicare».

«Ebbi la lieta avventura di parlare a lungo con Car­ducci, nelle solitudini di Madesimo, a lui così care e alle quali chiede le più alte ispirazioni. Ragionando delle sue poesie, gli espressi l'animo mio sulle Fonti del Clitumno: degni dei maggiori poeti latini quei versi sovrani! Quando suona raccolta per eccitare le itale genti a salvar Roma da Annibal Diro, quando esulta per la vittoria, le anime di Virgilio, di Orazio e di Silio si fondono nella sua e Dante, padre nostro, sorride di gioia dai cieli!».

«Ma perché per esaltare Roma pagana vilipendere il Galileo di rosse chiome, ascendente il Campidoglio? Perché da Gesù, dalla divina mitezza del perdono, dalla re­denzione collegata con La gioia ineffabile del sacrificio, de­rivare le sventure d'Italia? E l'Italia allora era umanità!».

«Rispettoso, ma con grande schiettezza di parola, mi dolsi col Carducci di questa parte del suo carme, senza la quale sarebbe perfetto».

«Ei chinò lo sguardo benigno, su di me incuorandomi a continuare. E allora, infervorato dalla sua indulgenza, mi posi a chiarire che non è lecito mutilare la storia: l'E­llenismo ed il Cristianesimo sono ancora le due forze im­manenti dell'umano consorzio, che il lavoro dei secoli fuse in uno stesso modello, innestando le rose dell'Ellade sulle spine di Galilea».

«Il poeta mi Sorriso consentendo e soggiunse: - Allora quando scrissi le Fonti del Clitumno, pensavo così: oggi in quel punto essenziale modificherei le mie opinioni e mi accosterei alle sue...

«Il che noto con gioia spirituale, poiché le anime dei nostri grandi esprimono e determinano 1e, evoluzioni del pensiero nazionale e preme sapere che, se negli impeti della vitalità, a Carducci bastava il solo paganesimo, nella vec­chiaia, grazie ad una più giusta notizia della vita morale e religiosa, ci non vuole diminuire 1a, coscienza umana, né orbarla di una delle sue maggiori energie».

Questa testimonianza del Luzzatti illumina sullo stata intimo dell'anima carducciana e insieme sugli spiriti che portarono - come sembra - il Luzzatti dalla Palestina a Roma cattolica: o almeno, molto vicino a Roma. Si sa che Carducci sollecitava, talora, lui stesso le figlie ad andare a Messa e, a quattr'occhi, con persone religiose e fide, si raccomandava alle loro preghiere. Tipica è la quartina, senza titolo, in cui il poeta parve lasciarsi rapire una con­fessione:

 

Le braccia di, pietà che al mondo apristi,

Sacro Signor dall'albero fatale,

Piegale a noi che peccatori e tristi

Teco aspiriamo al secolo immortale.

 

  E sognava che, se avesse conosciuto san Francesco, avrebbe ricevuto da lui il nome di frate Lupo e anche lui ne sarebbe stato convertito e si sarebbe anche lui confessato...

Vecchio si era. compiaciuto di tornare a leggere la sua prima poesia, un sonetto A Dio del maggio 1848, che così si concludeva:

Io sempre te amerò, Bontà infinita,

Incomparabil santa Unità trina,

Fonte di verità, fiume di vita,

E la dolce pietà de la divina

Madre difenderà l'alma contrita

Da la terribil mondana ruina

 

A questo sonetto il poeta, ormai gravato dall'età e pro­vato dalle delusioni, aveva apposto una postilla di suo pu­gno, che, così concludeva:

«Mi ride l'anima quando ripenso che io mossi la mia poesia da Dio, da quel Dio che mi ha dato quest'anima sen­sibile e sdegnosa, di cui lo ringrazio sempre, da quel Dio che io dovevo poi dimenticare e anche oltraggiare negli anni miei più belli, per correr dietro a pazze larve di virtù affettata e di gioie false e vili. Egli mi perdoni oppure mi visiti con la sventura e coi dolori e con quelle cure, che sotto apparenze tranquille mi rodono sempre l'anima».

E fu accontentato.

Uno degli ultimi autori che hanno esaminato il controverso tema della fede religiosa di Carducci, ha ricercato ne1 folto volume della poesia e della prosa del Maremmano numerosi dati, i quali concorrono a dimostrare che neanche lui poté non esser cristiano e non nutrire positiva fede nel Dio del suo popolo; e che, dove si rivoltò, intese oppugnare un «dio» suo particolare, sua costruzione artifi­ciosa e polemica; e conclude: «Carducci non ebbe spirito pagano; del razionalismo si liberò, sia pur tardi; anticleri­cale rimase in apparenza, fino agli ultimi anni e tale morì per volontà altrui. Ma ebbe un'anima religiosa, che gli permise d'invocare Iddio sempre con devoto accento...» [4]. Il che se fosse vero farebbe di Carducci un cristiano co­stante, se pur latente, a modo di tanti altri vissuti in regime di tirannide anticlericale.

 


[1] Lo confessò Carducci stesso al Nencioni. Cfr. La Critica del 20 nov. 1941, p. 385, e Fides del gennaio 1942, p. 24.

[2] Così argomentò don Antonio Cojazzi, dalle cui pubblicazioni son presi questi cenni. Cfr. la sua Rivista dei giovani, 15 aprile 1940, p.116.

[3] Riferito dall' Eco dei Barnabiti , nov. 1940, e riportato da don Cojazzi in un articolo « Il Carducci morì coi sacramenti », sulla Rivista, dei giovani del 15 febbraio 1941, p. 69 s.

[4] Antonio Meccioli, Ritorno cristiano del Carducci , Venezia, Libreria Serenissima, 1942.

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