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Messaggi Don Orione
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Autore: SILVESTRO SOWIZDRZAL

Don Orione, devoto del Crocifisso, vive con intensità e diffonde anche la devozione alla Santa Sindone che vede per la prima volta durante l'ostensione del 1898. Davanti al Sacro Lino pregherà anche nel 1931 e nel 1933.

DON ORIONE E LA SANTA SINDONE

 

DON SILVESTRO SOWIZDRZAL*

 

1. La croce nella vita del giovane Luigi Orione

Luigi Orione riceve da Dio lo speciale dono di vivere in continua relazione con Lui. Questo dono che sbocca nel carisma di una nuova fondazione e passa per diverse fasi e manifestazioni esterne fruttifica, tra l'altro, anche in una specifica spiritualità, caratterizzata da una particolare e profonda sintonia con la Croce di Gesù Cristo.

Il 2 marzo 1892 il giovane Luigi Orione comincia il suo apostolato con i giovani, radunando ragazzi per il gioco e il catechismo. Ma essi diventano sempre più numerosi e il vescovo Bandi, per evitare disturbi alle funzioni canonicali in duomo, concede loro di raccogliersi nella chiesa cittadina del Crocifisso. È la chiesa nella quale un tempo sull'altare maggiore tro­neggiava un grande Crocifisso. Dopo anni Luigi Orione dirà: “La Piccola Opera è nata ai piedi del Crocifisso. La primizia di quei ragazzi era già stata offerta e, direi, consacrata al Signore, ai piedi del Crocifisso durante la settimana santa, perché il Signore voleva dirci che la nostra vita deve consumarsi ai piedi della Croce di Gesù” (Scritti 68, 81b).[1]

Chiusa la chiesa, Luigi Orione ottiene, per grazia, quel Crocifisso e lo custodisce in camera sua. Sembra non poter­sene staccare, finché, nell'inverno del 1932, se ne serve durante le Mis­sioni al popolo, al Santuario della Guardia in Tortona. È proprio lo stesso grande Crocifisso che vediamo oggi al Santuario.[2] Nello stesso spirito Don Orione vuole che le chiese dei Figli della Divina Provvidenza siano con­trassegnate da un grande e devoto Crocifisso che troneggi sopra l'altare maggiore; e, qualora ciò non fosse possibile, vuole che il Crocifisso abbia sempre un posto distinto, perché lo sente un elemento essenziale della sua spiritualità: “Non hanno lo spirito vero dei Figli della Divina Provvidenza coloro che si commuovono davanti all'imma­gine d'un vezzoso Bambino o di un bel Sacro Cuore - e in questo fanno bene -, ma poi dimenticano il Santo Crocifisso - e in questo fanno male”.[3]

Dopo l'apertura di San Bernardino quel primo Oratorio viene chiuso e riaperto in seguito da Mons. Grassi, nel primo anno del suo ministero episcopale. Trasferito in un altro luogo termina subito anche questo secondo Oratorio. In quel periodo Don Orione è Delegato per il Patronato Regina Elena ad Avezzano, però porta sempre nel suo cuore quest’Oratorio e vi ritorna quasi “ogni domenica” per sostenerlo, ma malgrado tutti i suoi sforzi non ci riesce (cfr. Scritti 70, 3). La storia di questo Oratorio diventa una vicissitudine travagliata. Esso viene riaperto solo con un altro Vescovo.

Per Don Orione la faticosa esperienza di una nuova fondazione che prende l'inizio da quel primo Oratorio, di cui egli stesso parla prendendo a prestito espressioni manzoniane, “cadde, risorse e giacque” (Scritti 70, 3), non è mai motivo di disperazione, ma piuttosto una sollecitazione per avere fiducia nella Divina Provvidenza e nell'infinita bontà di Dio Padre. Le difficoltà e le croci che incontra non sono segni per fermarsi nel suo cammino, ma la via di purificazione per l'opera che sta nascendo. Per questo Don Orione quasi sfida la vita e proprio fa fronte alle croci. Vuole che la sua opera nasca sotto la croce, perché la croce, porta sofferenza ma purifica, è garanzia che quel che sta nascendo, nasce per volontà di Dio, perché porta in sé dei germi del divino, cioè qualcosa della sofferenza di Cristo, per cui sarà capace di perdurare a lungo: “E per garantirsi di non edificare su fondamenti umani ma supra firmam petram, nulla più desideri e voglia che detta Congregazione - se davvero sarà volontà di Dio che sorga - nasca nella umiltà e silenziosamente come nascono le vere opere del Signore. E nasca ai piedi della Croce di N. S. Gesù Cristo crocifisso, poiché Gesù e la Santa Chiesa si amano e si servono solo in Croce” (Scritti 51, 215).[4]

Don Orione interpreta le croci che incontra sul suo cammino come “prove infallibili del suo santo amore”, vuol dire dell’amore di Cristo (Scritti 68, 81C). Però, per scoprirle come tali, bisogna ricorrere alla croce di Cristo che è “il nostro tesoro, la nostra scienza, il nostro tutto” (Scritti 68, 81B). Dalla croce di Cristo ci viene una consolazione e una luce che indica il cammino e dà la forza per andare avanti. “Ai piedi di Gesù Crocifisso troviamo il balsamo per ogni ferita, il sostegno per ogni debolezza,  il lume e la forza per i doveri della vita sacerdotale e religiosa, la salute dell’anima nostra e delle anime del prossimo e la vera vita” (Scritti 68, 81b).

 

2. Una vera esperienza mistica

La croce di Gesù occupa nella vita di Don Orione un posto speciale e lo porta a vivere delle esperienze mistiche. Leggendo le sue lettere a volte si ha impressione che alcune delle sue azioni siano ispirate da esperienze mistiche. In una sua lettera confidenziale, scritta il 4 aprile 1897 all’amico e futuro cardinale Don Carlo Perosi, leggiamo: “Mi pare che il nostro Signore Gesù Cristo vada chiamandomi ad uno stato di grande carità, per cui in certi momenti il Signore mi preme il cuore e allora bisogna che pianga o rida di carità grande e corra, ed è una cosa che non si può ben dire, ma è fuoco grande e soave che ha bisogno di dilatarsi e di infiammare tutta la terra. Caro Signor Don Perosi, mi perdoni se le dico questo, ho timore che sia superbia, ma è una cosa ben più grande ancora che non le so dire. Sento un grandissimo bisogno di gettarmi nel Cuore del nostro caro Signore crocifisso e di morire amandolo e piangendo di carità; e mi pare che nostro Signore deve essere molto adirato con me: perché gli dico sempre che sono tutto suo e poi non lo sono mai” (Scritti 110, 149).

Don Orione non solo prova delle esperienze mistiche, ma diventa un vero mistico e l’amore che prende la sua origine dalla croce, lo spinge ad atti di carità senza limiti, a un dono totale di sé, insieme con la sua “Piccola Opera della Divina Provvidenza nata ai piedi del Crocifisso, nella grande settimana del Consummatum est”.[5]  Ad un certo punto scrive che sente di avere un “un cuore senza confini, perché dilatato dalla carità di (...) Gesù Crocifisso” (Scritti 102, 32). Questo spirito pervade tutto il suo essere e il suo operare e il suo fare non è un fare per fare, ma un risultato delle profonde esperienze mistiche e della legge dell'amore che lo spinge ad agire, a immorale se stesso totalmente. “Dentro di lui viveva una vita segreta, ed era tutta la sua vita, e questa era una vita di amore; quell'amore che si è detto, il quale non conosce fine né confine perché non conosce fine né confine Iddio”.[6] Così ha capito Don Orione anche Alessandro Pronzato che nel suo volume lo ha definito “il folle di Dio”.[7]

La croce di Cristo non abbandona Don Orione e sembra diventare ormai una sua compagna inseparabile, sia nei fatti della vita che nel pensiero. Tramite essa entra in un rapporto intimo con Dio, proprio mistico. E arriva a un momento in cui le semplici parole della vita quotidiana, per quanto precise e belle, non sono più in grado di esprimere le esperienze che vive e sente il suo cuore. Pertanto, senza accorgersene, comincia a ricorrere a delle espressioni artistiche e poetiche, le uniche capaci di rendere la profondità del suo rapporto con il Crocifisso. Il 27 gennaio 1904 scrive da Tortona: “In un momento di grandi dolori sono andato ad Assisi a cercare un po’ di vera letizia, e là nella basilica d’Assisi ho veduto lo sposalizio di S. Francesco con la povertà! E allora mi è venuto in mente: oh se avessimo un Giotto da darci lo sposalizio di Cristo con la croce! Gesù la sposò fin dal primo momento di sua vita! (…) Voi d’ora innanzi quando parlerete del dolore salirete una nota più alta e gettare nei cuori una parola di conforto più soave! Stiamo in croce! Stiamo in croce! Stiamo in croce! e non andiamo a pensare di andare giù dalla croce. In croce è la nostra esaltazione! Buttiamoci in Gesù crocifisso, che porterà tutte le nostre infermità e le nostre croci” (Scritti 45, 33).

 

3. Una tradizione lasciata ai suoi religiosi

Mons. Felice Cribellati attesta nel processo di beatificazione che Don Orione “Commoveva alle lacrime quando parlava della Passione di Nostro Signore; ciò che è noto ai molti fedeli che accorrevano in ogni occasione ad ascoltare la sua parola. Sono rimaste celebri le “Via Crucis” predicate da lui al Colosseo durante i pellegrinaggi diocesani nell'anno Santo 1925”.[8] Lo stesso Mons. Felice Cribellati afferma: “A me, nominato Vescovo, riteneva di non poter offrire più bel dono di una reliquia della S. Croce”.[9]

Don Orione quando parte per l’America latina per la seconda volta (1934-1937), lascia disposizione di recitare ogni giorno nelle Case dell’Opera una “Salve Regina perché il Signore ci mandi le croci e ci dia grazia di sopportarle”.[10]

L’esperienza della croce prende sempre più spazio nella vita di Don Orione e dei suoi religiosi. Dopo il suo ritorno dall’America, nella prima riunione del Governo della Congregazione il 23 agosto1937, raccomanda di usare anche un saluto particolare “Sia lodato Gesù Cristo - Nostro Dio e nostro Re Crocifisso”, “per affermare la divinità di Gesù Cristo e la sua regalità e si aggiunge Crocifisso perché Cristo cominciò a regnare dalla Croce”.[11] Nella successiva riunione del 28 agosto 1938 promette pure di voler fare provvedimenti, affinché a questo saluto sia legata anche un’indulgenza.[12] Mezz’anno più tardi, nella buona notte della festa della Circoncisione (oggi la Festa di Maria SS. Madre di Dio che si celebra il 1 gennaio, esattamente 8 giorni dopo la Festa della nascita di Gesù) del 1939, nella chiesa di San Michele di Tortona, Don Orione, parlando dell'efficacia del nome di Gesù e dell'indulgenza annessa dalla Chiesa all'invocazione “Sia lodato Gesù Cristo”, aggiunge: “Finora avete risposto: nostro Dio e nostro re; d'ora in avanti i Figli della Divina Provvidenza risponderanno: Nostro Dio e nostro re Crocifisso; (…)  per togliere, diceva, dalla regalità di Cristo i falsi con­cetti farisaici o troppo teneri: Cristo è nostro re, ma crocifisso”. [13] Era suo desiderio che tale giacula­toria fosse il pane quotidiano dei suoi figli e che quindi dovevano dirla con forza, manifestando la fede in Cristo e crocifisso, nella pienezza del cuore...

Alla fine Don Orione che gioca tutta la sua vita in un contesto del paradigma della croce e della carità, raccomanda lo stesso ai suoi figli: “(...) amate il patire, e desiderate di morire per la gloria di Gesù Cristo e della sua Santa Chiesa. Beati quelli che patiscono insieme con Gesù Cristo e nel nome di Gesù Cristo! “Gesù si ama e si serve in croce, e chi non lo ama e non lo serve in croce, non lo ama e non lo serve affatto”. E così della Chiesa: la Chiesa, il Papa, i Vescovi, le Anime: si amano e si servono in croce; il patire è la via del Paradiso, e la croce è il trofeo della nostra vittoria, è il trono da cui si regna e si trionfa con Gesù Cristo (Scritti 79, 84).[14]  E giunge alla convinzione che la croce di Cristo porta alla vittoria e che l’avvenire appartiene a Cristo, nostro Dio e nostro Re crocifisso!: “L’avvenire è di Cristo: Cristo ritorna, perché è risorto!” (Scritti 64, 247).

 

4. La partecipazione di Don Orione all’ostensione della Sindone nel 1898

Don Orione probabilmente ha saputo dell’esistenza della Santa Sindone durante il suo soggiorno dai salesiani (1886-1889). Per la prima volta si reca a visitare la Sindone durante l’ostensione avvenuta tra il 25 maggio e il 2 giugno del 1898, trascorrendovi un’intera notte. In quell’occasione incontra anche Don Gioacchino Berto, segretario di Don Bosco, che conosceva personalmente dai tempi del suo soggiorno dai salesiani.[15]

 

5. La visita dei chierici polacchi al Duomo di Torino nel 1927

Il secondo riferimento alla Sindone è nella lettera del 6 agosto1927, scritta a Don Biagio Marabotto in occasione del suo viaggio in Italia con un gruppetto dei chierici polacchi. Per approfittare bene della loro visita in Italia, Don Orione prepara loro personalmente un itinerario spirituale-formativo. Suggerisce di visitare diversi luoghi, tra cui anche “la cappella della S. Sindone che è a S. Giovanni, cioè al Duomo” (Scritti  32, 55). Don Orione ci tiene che vedano la Sindone tutti i suoi studenti, specialmente gli stranieri, ai quali pensa in modo particolare. In una minuta troviamo un suo pro memoria per ricordarsi di mandare da Bra a Torino i due Armeni, “vedrebbero così la Santa Sindone” (Scritti 80, 306).

 

6. L’ostensione della Sindone nel 1931

In occasione delle nozze del principe Umberto II di Savoia con la principessa Maria José del Belgio, la Casa regnante, allora proprietaria della Sindone, ha reso possibile la sua ostensione pubblica nei giorni 3-24 maggio 1931, la prima dal 1898, durante la quale la Famiglia fu sempre presente.[16] Don Orione approfitta di questa occasione e prega tutte le persone che gli stanno particolarmente a cuore, come risulta dal biglietto del 14 maggio 1931 a Don Silvio Parodi; mentre gli affida diverse commissioni, lo assicura: “domani pregherò davanti alla Santa Sindone per voi tutti” (Scritti 8, 98).

Don Giovanni Venturelli riferisce che in quell’occasione, anche i novizi volevano andare a visitare il sacro Telo. Conoscendo il significato della Sindone per la formazione dei giovani religiosi, Don Orione concede loro di venire a visitarla. Per questo il 15 maggio 1931 scrive un telegramma ai novizi di Villa Moffa: “Concedo andiate Sindone. Io sarovvi domattina” (Scritti 96, 156).[17] Il giorno 16 i novizi si svegliano alle 4,00. Fatta colazione e invocato il S. Angelo Custode vanno alla stazione. Giunti a Torino vanno al Santuario dell’Ausiliatrice. Si fermano sulla tomba di Don Bosco e di Domenico Savio; alla Consolata a quella del Beato Cafasso. Visitano stupiti la casa del Cottolengo e si fermano anche sulla sua tomba. Nel pomeriggio, credendo che non ci sia tanta gente, vanno alla Sindone. Profondamente prostrati adorano il Sacro Lino che avvolse il Corpo di Gesù. Hanno desiderio di incontrarsi con Don Orione a Torino, ma invano.[18]

Don Orione intanto il giorno 16 scrive a una benefattrice del Cottolengo di Genova: “Oggi spero avere la consolazione di andare a venerare la Santa Sindone: porterò con me, in ispirito, tutti i miei in Domino, e pregherò in modo speciale per Lei e secondo le sue pie intenzioni” (Scritti 9, 40). Fatta la visita, Don Orione non nasconde la sua gioia e lo stesso giorno alle ore 16 scrive a Don Silvio Parodi: “Sono tornato un po' fa da Torino dove, davanti alla S. Sindone, ho pregato particolarmente per te e per voi tutti” (Scritti 8, 99). Sempre lo stesso giorno scrive al Prof. Riccardo Moretti (a Roma): “Davanti alla S. Sindone ho ricordato, con un affetto che non è eterno, il mio Dr. Riccardo e tutti i suoi cari, che benedico tanto!” (Scritti 117, 39).

Ma i desideri di Don Orione erano più profondi di una semplice visita e preghiera davanti alla Sindone. Davanti a questo “testimone” della passione, morte e risurrezione del Signore Don Orione vuole anche celebrare una Messa. Per questo programma subito una nuova visita con lo scopo di poter celebrare davanti alla Sindone. Il 17 maggio scrive a Don Castegnaro: “Stanotte parto per Roma, dove mi fermerò solo fino a mezzodì di mercoledì, 20 corr., poi parto per Torino, dove all'una e mezza di giovedì notte ho fissata la Messa davanti alla S. Sindone. Pregherò particolarmente per te e per voi tutti” (Scritti 63, 41).[19] Allo stesso tempo non sa contenere la gioia della grande occasione che gli si prospetta e continua a scriverne, sempre lo stesso giorno, a più persone: al Cav.re Don Mariano De Carolis, arciprete di Sant'Oreste al Soratte: “Sarò a Roma, ma per due giorni non interi; mercoledì devo partire per Torino, - all'una e mezza di notte di giovedì, 21 corr., ho segnata la Messa davanti alla S.ta Sindone. Pregherò anche per Lei e secondo le sue intenzioni: Dio la conforti!” (Scritti 38, 155). E anche due altre lettere il giorno seguente, cioè il 18 maggio: a Don Orlandi: “Sono giunto stamattina e parto alle 12 di posdomani, per giungere alle 24 a Torino, dove all'una e mezza dirò la Messa davanti alla S. Sindone” (Scritti 24, 219b) e a Don Vincenzo Bormini: “Parto da Roma posdomani alle 12, sarò a Torino alle 24, e dirò la Santa Messa all'una e mezza di Giovedì, davanti alla Santa Sindone: pregherò per te e per l'Istituto Artigianelli, particolarmente” (Scritti 36, 38). Don Orione condivide questa gioia anche con le persone che intende incontrare in occasione di quel viaggio, anche se non interessate direttamente, come ad es. nel caso della Contessa Conestate.[20]

Dopo la notte del 21 maggio Don Orione scrive da Torino solo poche cartoline, tra cui: una con l'immagine della Sindone alla sig.ra Nannina Moretti e a suo marito dott. Riccardo (a Roma) assicurando “ogni benedizione” (Scritti 103, 209), ovviamente si tratta della benedizione che Don Orione ha implorato per loro nella preghiera davanti alla Sindone; un’altra cartolina è indirizzata alla Signora Angela Queirolo Solari di Genova, assicurando: “La ho ricordata con profonda gratitudine” (Scritti 9, 41); su due altre cartoline di cui non si è riusciti a conoscere il destinatario, scrive lo stesso testo: “Ti ho ricordato con cuore di fratello e con anima di Sacerdote di Cristo!” (Scritti 78, 111 e Scritti 95, 188).

Il 23 maggio si recano in visita alla Sindone di Tortino le Suore di Villa Moffa, sicuramente anche loro mosse dall’esempio ed entusiasmo di Don Orione.[21]

Tra i ricordi di Don Orione, alcuni dei quali conservati al Piccolo Cottolengo di Genova in Via Bosco, dove andava spesso, c'è anche una medaglietta coniata in occasione dell'ostensione del 1931 e che Don Orione ha probabilmente ricevuto durante la visita di quei giorni. La medaglietta ritrae le nozze del principe Umberto II con la principessa Maria José.

Anche se è terminata l’ostensione del 1931 (3-24 maggio), Don Orione torna sul tema della S. Lino. Siam sempre nell’anno 1931 in cui ricorre il XV centenario del dogma della divina maternità di Maria, proclamato dal Concilio di Efeso nel 431. Durante tutto l’anno vengono offerte ai fedeli meditazioni, conferenze e riflessioni. Anche Don Orione offre un ampio spazio ai temi mariani sul periodico mensile delle sue opere, La Piccola Opera della Divina Provvidenza. E non si limita al solo bollettino, ma ci dedica volentieri uno spazio nelle sue omelie e conferenze. In un appunto scritto a Tortona il 16 agosto 1931, in un contesto mariano, accenna anche alla Sindone e alla croce di Cristo, con dei termini quasi poetici: “Dietro al gruppo più grande del naturale, si alza la croce da cui pende la Sindone bianca che poi, nel Santo Sepolcro, avrebbe avvolto il Corpo di Gesù. La Croce, è bagnata dal Sangue di Gesù Cristo: allarga le sue braccia e ci chiama: la Croce, Spes unica!” (Scritti 64, 303).

 

5. Il fac-smile della Sindone a Tortona nel 1932

La devozione di Don Orione per la Sindone diventa ormai una passione e gli fa nascere il desiderio di averne una copia nel Santuario della Madonna della Guardia a Tortona[22] consacrato da un anno, proprio nell'anno in cui egli ha fatto le ultime due visite alla Sindone (1931). E il suo sogno si realizza presto.

Ne leggiamo in un appunto scritto il 13 aprile 1932 per il bollettino La Madonna della Guardia: “La Santa Sindone verrà solennemente esposta, nel suo naturale più identico interessante facsimile, ottenuto da Don Orione, per benevola e alta concessione, nei soli tre giorni delle feste patronali di S. Croce, 14-15-16 maggio” (Scritti 91, 196).[23] Il giorno successivo l'appunto appare sul Bollettino del 14 e viene ripetuto nel numero seguente del 26 aprile 1932 in queste parole: “Tutti a Tortona! Ostensione del «fac simile» della Santa Sindone. Nel nuovo grandioso Santuario della Madonna della Guardia in Tortona sarà esposta, solamente per soli tre giorni, la copia, al tutto identica, della Santa Sindone, di Torino, la insigne Reliquia della Passione e Morte di Gesù Cristo. È per un alto interessamento che Don Orione ha potuto ottenere questa benevole unica concessione. Si prevede grande concorso di fedeli anche da altre Diocesi. L'ostensione di detta Sindone si farà per le Feste Patronali di S. Croce, che saranno a Pentecoste (14-15-16 - Maggio)”. Lo stesso avviso viene stampato anche nel numero del maggio 1932 dell'altro bollettino - La Piccola Opera della Divina Provvidenza.

Il 26 aprile 1932 Don Orione scrive a Don Draghi suggerendo di mandare alcuni eremiti a partecipare alla vestizione di loro confratelli a Tortona. Coloro che non possono venire per la vestizione, vuole che vengano “per metà maggio, quando si esporrà il fac-simile della S. Sindone” (Scritti 30, 227).

Don Orione, approfittando dell’esposizione della copia della Sindone, organizza anche “un grande pellegrinaggio di fanciulli delle varie Parrocchie al Santuario della Guardia in Tortona” con lo scopo di “pregare la Madonna perché si compiano i voti del Santo Padre nell’indire l’Anno Santo” del 1933. I giorni del pellegrinaggio vengono segnati per 11, 18, 24 maggio e 1 giugno. Anche in questa occasione Don Orione da avviso circa i giorni dell’ostensione di 14-16 maggio. (Scritti 91, p. 140). Passato un po’ di tempo, veniamo a sapere come si è concluso il pellegrinaggio. Leggiamo in un appunto dattiloscritto con le correzioni del pugno di Don Orione: “Dopo essersi fortificati del Pane degli Angeli, i cari fanciulli a due a due si spinsero fin su ai piedi della Vergine per riceverne la materna benedizione, cantando ogni schiera i canti della propria Parrocchia. Poi visitarono la Cripta e il fac-simile della Santa Sindone.” (Scritti 91, 174).

Arriva il 13 maggio 1932, giorno dell'ostensione della copia della Sindone nel Santuario di Tortona, organizzata soprattutto per i fedeli del luogo che non avevano potuto recarsi a Torino, con lo scopo di rendere onore e amore al Santissimo Crocifisso nella preziosa reliquia.[24] Don Orione sottolinea che l'esposizione si fa in occasione della Festa della Santa Croce e trasmette alcune notizie sul significato della Sindone. Alla celebrazione partecipa anche il Vescovo di Tortona e un gruppetto di seminaristi. Don Orione spiega che la Sindone è un dono della Casa di Savoia e viene esposta in occasione del matrimonio dei principi destinati al trono. Alla fine invita anche la gente di S. Bernardino a visitare la copia della Sindone e la ringrazia, perché sono stati loro a contribuire per l'olio alle lampade davanti alla copia della “Reliquia”. Infine fa baciare le reliquie della Santa Croce.[25]

Terminata l’ostensione, il 17 maggio Don Orione dà una buona notte ai Probandi del Paterno. Sottolinea che l'ostensione è stata fatta per onorare “l'insigne reliquia, qual’è il sudario in cui fu avvolto il corpo di Nostro Signore Gesù Cristo”. Lo scopo era quello di “contemplare quanto Gesù ha sofferto per la salvezza delle anime nostre”. Riporta il caso di una donna, esempio di devozione che le ha fatto venire a piedi da oltre Voghera e non accettava che Don Orione le pagasse il viaggio di ritorno, ma è stata Lei a dare a Don Orione un offerta, proprio la giusta somma corrispondente al costo del viaggio di ritorno. Il suo spirito di sacrificio le ha suggerito di privarsi del treno per poter portare il suo obolo nel Santuario. Alla fine Don Orione chiede ai giovani di pregare, “affinché quelle impronte impresse sul lino della Sindone siano scolpite anche nel nostro cuore, e così possiamo amare sempre più quel Gesù, che molto ci amò e morì per noi!...[26]

Negli scritti di Don Orione troviamo una sua minuta che viene pubblicata nel bollettino La Madonna della Guardia il 30 maggio 1932. Da essa veniamo a sapere che la copia della Sindone esposta nel Santuario di Tortona, con il permesso della competente Autorità, proveniva dal Monastero delle Carmelitane Scalze di Moncalieri.[27] La copia, fedele sia nelle dimensioni che nella riproduzione dell'effige, non era esposta come oggetto di diretta venerazione o di culto, ma “come simbolo atto a suscitare nei cuori, in quei giorni, commemorativi della S. Croce un nuovo palpito d'amore e di divozione verso Gesù Cristo Crocifisso”. E insieme con essa venne esposta anche sull'altare la reliquia insigne della S. Croce in prezioso reliquiario.

L'esposizione si è fatta nella cripta del Santuario, dove si era creato un clima di raccoglimento e di meditazione. L'altare era illuminato dai riflettori e da 12 lampade dorate, donate dai Baroni Garofoli Cavalchini, montate sull'arco sopra la copia della Sindone. Le tenevano accese gli abitanti di S. Bernardino e di Groppo. E attorno all'altare c'era un vero tappeto di fiori. C'è stata una grande affluenza di gente. Si celebravano in continuazione Sante Messe davanti all'immagine, si confessava e si facevano comunioni. Molte persone a stento contenevano le lacrime per la commozione ed era “la voce dell'amore di Dio che vibrava nei cuori”, al vedere la “riproduzione d'una delle più insigni reliquie della S. Passione” (cfr. Scritti 76, 187). Per la chiusura si cantavano i canti della Passione e dopo impartita la benedizione con la Reliquia della S. Croce, è risuonato il canto del Te Deum. Alla fine di questi “giorni pieni di gioie spirituali” Don Orione ha ringraziato tutte le persone che hanno dato una mano nei preparativi.

Un appunto di Don Orione, nella versione stampata sul Bollettino “Madonna della Guardia” elenca che oltre al Vescovo, venne a visitare la copia della Sindone mons. Legè.

La devozione di Don Orione per la Sindone è così grande che egli ha cerca di ottenere il permesso di lasciare la sua copia nella cripta del Santuario. Infatti il fac-simile della Sindone vi rimane per oltre quarant'anni. Ma purtroppo il 29 agosto 1977 viene distrutto nel terribile alluvione del fiume Ossona.

 

6. Don Orione e l’ostensione nell’Anno Santo 1933

Nel 1933 si celebra il XIX centenario della Redenzione. Il 22 gennaio del 1933 il Card. Maurilio Fossati, ottenuto il consenso di Pio XI e della Famiglia reale, annuncia una nuova ostensione della Reliquia dal 24 settembre al 15 ottobre 1933. Per l'esposizione si utilizza la stessa cornice del 1931 (conservata ora nella Chiesa del Santo Sudario), alla quale viene aggiunto, sopra e a lato, un imperiale (allegoria di otto angeli, quattro a sinistra e altrettanti a destra, più lo scudo sabaudo al centro).

Don Orione, appresa la notizia, si rivolge a card. Fossati per chiedergli la possibilità di celebrare la Messa davanti alla Sacra Sindone, desiderio che finora non aveva potuto avverarsi. Si è conservata una minuta in cui Don Orione ringrazia il Cardinale per la grazia concessa e comunicata da una sua segretaria: “La Sig.ra Sili mi ha fatto la lieta comunicazione che il 30 corr. alle ore otto, per la grande bontà di Vostra Eminenza Rev.ma avrò l'ineffabile conforto di poter celebrare davanti alla Sacra Sindone” (Scritti  81, 21).

Don Orione si trova a Roma - Sette Sale, programma tutti i suoi impegni in modo da poter approfittare di questa occasione. In una minuta del 24 settembre 1933 scrive: “a Torino il 30, sabato, dirò la S. Messa alle ore 8 davanti alla S. Sindone” (Scritti 70, 335). E incomincia a condividere questa gioia con l'entusiasmo della prima volta, scrivendone a un gran numero di persone e promettendo il ricordo e le preghiere, come uno che incontra Gesù e gli vuole parlare di tutte le persone che porta nel suo cuore, cominciando dal suo collaboratore più caro – don Carlo Sterpi e poi continuando con gli altri.[28]

Nel frattempo Don Zanatta si reca da Villa Moffa a Torino per provvedere circa il pellegrinaggio dei novizi alla Sindone.[29]

Giunto il momento tanto atteso, cioè il 30 settembre, i novizi partono sul treno per Torino alle 5 del mattino. Giunti a Torino, alcuni vanno alla stazione per accogliere il Superiore Don Orione e gli altri si incamminano verso la Cattedrale di S. Giovanni per venerare la Sindone. Dopo circa un’ora Don Orione celebra la Messa all’altare “privilegiato” della insigne reliquia, con una speciale devozione. E Don Callegari, giunto con Don Orione, celebra all’altare di fianco. Don Orione vuole che questo momento diventi per i novizi indimenticabile e permette a due di loro – Ghio e Sbrilli – di emettere la Prima professione proprio in questa occasione.

Finita l’Eucaristia Don Orione “si raccoglie per il ringraziamento in un angolo, mentre gli altri si intrattenevano col salesiano Don Amadei; dopo un poco di tempo, il salesiano si accostò a Don Orione e, postagli una mano sulla spalla, sorridendo ma con tono autoritario, gli disse: Il quarto d'ora è finito...” E solo allora il Servo di Dio, quasi obbedendo, si mosse...”.[30]

Intanto i novizi dopo la S. Messa visitano le principali chiese di Torino: il Corpus Domini, la Consolata, ed anche la Piccola Casa della Divina Provvidenza del Beato Cottolengo. E mentre Don Orione viene accolto con mota benevolenza dai Salesiani, nel frattempo giungono anche i novizi che vengono accolti molto cordialmente ed affettuosamente. Un sacerdote li accompagna a visitare tutto l’oratorio, pieno di ricordi, anche per loro, perché lì Don Orione passò sotto la guida di Don Bosco, gli anni della sua fanciullezza. Nel pomeriggio si fotografarono sulla scalinata della Chiesa di Maria Ausiliatrice, insieme a Don Cremaschi, Don Orione ed al Superiore generale dei salesiani Don Ricaldone. Infine, dopo aver fatto una lunga passeggiata, ed aver visitato il “Diorama Sacro”, l’Armeria  Reale ed il Monte dei Cappuccini, ritornano contenti alla loro cara Villa Moffa.[31]

Lo stesso giorno Don Orione comincia a scrivere di nuovo messaggi a tutte le persone che ha ricordato in quel luogo e momento insolito. Scrive ai sacerdoti, religiosi, suore e benefattori, assicurando che li ha ricordati, ha pregato per loro e per i loro assistiti.[32]

Il 1 ottobre 1933, giorno seguente al suo ritorno, Don Orione racconta la sua esperienza in una buona notte.[33] Sottolinea che è stata una grande consolazione per lui celebrare la Messa davanti alla Santa Sindone. Vi erano anche presenti i Novizi con Don Cremaschi e Don Zanatta. Don Orione malgrado che questa volta abbia pregato per tutti, aveva impressione che ci fosse rimasto per poco tempo, per cui ha espresso la sua fiducia di potervi ritornare ancora prima che si chiuda ostensione. E ricorda come vi era già andato qualche anno prima, ma non ha potuto celebrare la Santa Messa. Questa volta, dopo la Santa Messa celebrata davanti alla Sindone ha fatto anche una visita al Card. Fossati. Rivela che il Cardinale è un suo grande amico, con cui si conoscono da quando il Cardinale era Vescovo a Sassari in Sardegna e poi segretario del Vescovo di Genova. Il Cardinale lo voleva intrattenere ancora di più, per motivo di una grande amicizia che ha unito tutti i due gli anni addietro, nei tempi quando il Cardinale aveva da “soffrire e tacere”.[34] Nel frattempo i suoi chierici e i novizi sono stati invitati da un “salesiano insigne” all’Oratorio. Dopo la visita dal Cardinale, Don Orione li ha raggiunti davanti al Santuario della Madonna Ausiliatrice dove hanno potuto fare ancora una foto ricordo. Poi Don Orione ha continuato  a raccontare della sua visita al Valdocco e dell'incontro con Don Gioacchino Berto, segretario di Don Bosco.[35] Alla fine ha promesso di dare ai chierici un ricordino di quei che ha portato da Torino.[36]

Un mezzo mese più tardi (il 17 ottobre) Don Orione scrive due lettere di ringraziamento per l'ospitalità trovata dai Salesiani in quei giorni: una a Don Amadei “per tutte quelle sue delicate premure del giorno che si venne a Torino per la Santa Sindone” (Scritti 38, 228) e l'altra rivolta al Direttore dell'Oratorio Salesiano di Valdocco, chiedendo di ringraziare anche il Rettor Maggiore Don Ricaldone, per la ospitalità ricevuta “in occasione della visita alla Santa Sindone” (Scritti 38, 241).

Don Orione ammira la forte fede cristiana che ritiene la Sindone il prezioso ricordo dell’amore di Gesù Cristo che lo portò a morire sulla croce per noi e la riporta come esempio. Ne leggiamo da un suo appunto: “Vedete la fede e la pietà cristiana in che pregio tiene quel lino in cui impresse l’effige del suo volto, quella Sindone, quel legno su cui Gesù agonizzò e morì per noi.” (Scritti 87, 188). A un giovane che vuole offrirsi completamente al Signore, Don Orione indica di impegnarsi e di rinnovare la sua offerta davanti alla Santa Sindone: “In modo particolare però consacrati allo studio della filosofia cattolica e studia S. Tommaso bene, come vuole il S. Padre, senza però essere esclusivo. Prega molto il Signore ed, entrando negli studi superiori, fa di tutto te stesso una nuova offerta alla Chiesa di Gesù Cristo, e rinnova davanti alla Santa Sindone l’offerta a Gesù della tua vita per la gloria sua e per la salute dei popoli.” (Scritti 96, 23b).[37]

Le più belle parole che esprimono meglio quel che sentiva il cuore di Don Orione nei confronti della Sindone sono proprio quelle pronunciate della stessa sera del 1 ottobre 1933: “Oh, quanto devo ringraziare il Signore della giornata di ieri! Ieri sera, mi sembrava di aver fatto un corso di Esercizi spirituali. Mi sentivo l'anima profumata per la dolcezza. E queste non sono che le briciole che cadono dalla tavola del padrone buono. Cosa sarà quando, non già vedremo un lenzuolo, un'immagine o un'ostia, ma vedremo una luce, e nella luce tutto ciò che ci è in questa vita velato”.[38]

In questo contesto si capisce benissimo il programma essenziale che Don Orione ha sintetizzato un anno prima della morte: “soffrire, tacere, pregare, amare, crocifiggersi e adorare” (Scritti  105, 201 e Scritti  63, 226). La carità che è il senso più profondo della vita di Don Orione è segretamente legata al mistero della croce e della sofferenza e porta alla vittoria finale sulla morte: “E Gesù, che nel santo sudario ci lasciò impressa l’immagine del suo sacratissimo corpo, ne infiammi di divino amore, - e poi ci faccia consorti della sua gloria! (...) L’avvenire è di Cristo: Cristo ritorna, perché è risorto!” (Scritti 64, 247).

 


* Consigliere e Segretario generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza.

[1] Don Orione lo ripete varie volte e in diversi contesti: cfr. Scritti 70,3c; Scritti 52,20n; Scritti 82,97, ecc.

[2] Cfr. Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza, vol. 1, Roma 1958, p. 662.

[3] Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza, vol. 2, Roma 1958, p. 662-663.

[4] Cfr. Scritti 68, 81b.

[5] Lettera da Itatì, 27 giugno 1937 ai religiosi negli Esercizi. Lettere II, p. 478-479.

[6] Giuseppe DE LUCA, Don Orione. Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1963, p. 35.

[7] Alessandro PRONZATO: Don Orione il folle di Dio, Gribaudi, Torino, 1980.

[8] Summarium, p. 38.

[9] Ibidem; cfr. Don Giovani Venturelli nel Summarium, p. 1009.

[10] Summarium, p. 902; cfr. Summarium. Derthonen. Beatificationis et canonizationis Servi Dei Aloisii Orione, pp. 306, 411, 574, 1011.

[11] Riunioni, 23.08.1937.

[12] Vedi Riunioni, 23.08.1937; cfr. Summarium, pp. 39, 67, 226, 941. Può darsi che questo saluto, prima dell’ufficiale raccomandazione di Don Orione, fosse già in uso in precedenza. Don Clemente Perlo fa risalire la sua origine ai primi anni Trenta, cioè ai tempi in cui sorgeva l’Azione cattolica, nella quale si usava il saluto: “Sia lodato Gesù Cristo – Nostro Dio e nostro Re”. Inoltre erano degli anni difficilissimi, in cui si parlava molto dei martiri in Messico che morivano al grido “Viva Cristo Re!”. Don Orione, per diversi motivi, sia per la sua spiritualità, sia per la regalità di Cristo tanto messa in risalto dal Papa Pio XI, sia perché tra i chierici del seminario di Tortona era una frase ufficiale, facendola usare anche per i suoi religiosi, avrebbe fatto aggiungere l’aggettivo qualificativo “crocifisso”.

[13] Cfr. Summarium, p. 1009-1010.

[14] Don Giovanni Venturelli afferma che Don Orione ha mutuato da Ludovico da Casoria, fondatore dei Padri Bigi l’espressione “Gesù Cristo o lo si ama in Croce o non lo si ama affatto”. La adattava e ampliava a seconda delle occasioni: “Le anime e i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la Santa Chiesa e la tua Piccola Congregazione, si amano e si servono stando sulla Croce e crocifissi di carità.” Cfr. Summarium, p. 1010.

[15] Da un appunto del 1899 nel retro di un foglio desumiamo che Don Orione visitò la S. Sindone a Torino nel 1898: “Quando l’anno passato lo vidi là in adorazione davanti alla Santa Sindone, mi pareva che egli piangesse lagrime silenziose” (Scritti  69, 4); “E quel prete io lo vidi ancora l’anno passato, verso la mezzanotte che pregava prostrato davanti alla Sindone.” (Scritti  112, 34). Sulla stessa minuta troviamo un’aggiunta di Don Giovanni Venturelli che dichiara si tratti di Don Gioacchino Berto e va ricollegato con il brano già pubblicato nel Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza vol. 1, p. 337, punto 79, nota 85°. Cfr. anche Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza vol. 2, p. 334-337.

[16] Il principe Umberto nel pomeriggio del 3, in rappresentanza del Re, con la moglie, la sorella Mafalda e Bona di Savoia-Genova con il marito Conrad di Baviera e Lydia d'Arenberg, consegnò le chiavi dell'urna che conteneva la Sindone all'arcivescovo Maurilio Fossati e fornì gran parte dei 61 pezzi esposti nella mostra che accompagnò l'evento (quadri e oggetti liturgici). In segno di devozione, Maria José donò il proprio manto di nozze, da cui vennero ricavate otto pianete. Durante l'ostensione il Telo fu fotografato per la prima volta. Giuseppe Enrie (fotografo) la riprese fuori dalla cornice e posta ai piedi dell'altare. Al termine dell'ostensione la Sindone fu mostrata ai fedeli dalla gradinata del Duomo.

Don Orione stimava la famiglia reale dei Savoia, soprattutto per la loro devozione per la Madonna e per la Sacra Sindone. Ne troviamo un’allusione in occasione degli esercizi spirituali da lui stesso predicati ai suoi religiosi nel 1924 a Villa Soranzo, insieme con D. Bouvier. Nella omelia finale degli esercizi Don Orione dice: “Nella bandiera sabauda, dove il colore azzurro parla di Maria, un principe di Casa Savoia, stabilì che tutte le principesse si chiamassero Maria. Fondò l’Ordine dell’Annunziata, e basta portarsi a Torino, per vedere quella meravigliosa Cappella  del Sudario. Nelle celle dimenticate come nella popolosa città troviamo la sua effige. Come non la ameremo noi?” (Riunioni, 1924).

[17] Ne parla anche Don Giovani Venturelli nel Summarium, p. 1009.

[18] Cfr. Diario di Villa Moffa, 16 maggio 1931.

[19] Purtroppo il desiderio non si verificò perché, non sappiamo per quali ragioni, Don Orione non poté celebrare la Messa tanto desiderata. Vi è un accenno a riguardo di questo episodio in una Buona notte pronunciata due anni dopo.

[20] Il 19 maggio, un giorno prima della partenza, scrive un telegramma: “Contessa Conestate le riferisce desiderio Vossignoria parlarmi; giungerò Torino mezzanotte domani avendo fissata Messa davanti Sindone ore una mezza notte giovedì. Ossequio conforto benedico Lei Suoi” (Scritti  60, 214).

[21] Cfr. Diario di Villa Moffa, 23 maggio 1931.

[22] Mons. Felice Cribellati ricorda che Don Orione “ha chiesto ed ottenuto copia della S. Sindone, da conservare ed esporre al Santuario della Guardia di Tortona.” Cfr. Summarium, p. 38.

[23] Don Orione ha anche lasciato altre minute con lo stesso avviso: minuta di del 26 aprile 1932: “A metà maggio si esporrà nel Santuario il facsimile della S. Sindone” (Scritti 30, 227); “Avviso Sacro. Al Santuario Madonna della Guardia in Tortona il 13 - 14 e 15 Maggio. Ostensione del fac-simile della Santa Sindone riproduzione fedelissima di quella di Torino” (Scritti 91,140); due testi in una sola minuta: “Avviso Sacro. Santuario Madonna della Guardia in Tortona. Ostensione “Fac - simile” della Santa Sindone. La Santa Sindone di Torino, insigne Reliquia della Passione di Cristo verrà solennemente esposta nel suo naturale più identico interessante fac simile al Santuario della Madonna della Guardia, pei soli tre giorni delle Feste Patronali di S. Croce, 14 - 15 - 16 Maggio” e “A Tortona. Ostensione “fac simile” della Santa Sindone. Nel nuovo Santuario della Madonna della Guardia di Tortona sarà esposta solennemente una copia in tutto precisa, identica della Santa Sindone, ottenuta da Don Orione per benevole e alta concessione. L'ostensione di detta Sindone sarà fatta per soli tre giorni, per le Feste Patronali di S. Croce, che saranno a Pentecoste (15 Maggio)” (Scritti 91, 196).

[24] Cfr. Summarium, p. 1009.

[25] Cfr. Parola V, 45; anche il 14 maggio, il 1° giorno dell’ostensione della copia della S. Sindone, continua a invitare delle persone a venire a fare una visita alla copia della Sindone (Scritti  23 p. 207).

[26] Cfr. Parola V, 46.

[27] Don Giovanni Venturelli afferma che: la copia della S. Sindone ottenuta da Don Orione era “fatta da una pia pittrice torinese, che, ricordo, si diceva l'aveva fatta lavorando in ginocchio”: cfr. Summarium, p. 1009.

[28] Il 25 settembre scrive in una lettera espresso a Don Carlo Sterpi, con il quale ha sempre condiviso tutte le croci, le gioie e le sofferenze: “sabato dirò Messa alla Sindone alle 8, ora già combinata col Card. Fossati” (Scritti 17, p. 211). Poi a Don Callegari, direttore dell'Istituto Artigianelli: “sabato alle 8 dirò la Messa davanti alla Santa Sindone, per benigna concessione del card. Fossati. Pregherò per te, per tutti voi: dirai alla sig.ra Ernesta Larrea Castelli che la ricorderò tanto.” (Scritti 36, p. 139). Il 26 settembre scrive a Sig.ra La Baronessa Anna Maria Guidobono Cavalchini: “Per la benignità di sua eminenza rev.ma il sig. Cardinale Fossati, il 30 corr. alle ore 8, avrò la grande consolazione di poter celebrare davanti alla Santa Sindone” (Scritti 44, p. 76). Lo stesso giorno scrive a Don Zannoni: “Devo, in questi giorni, venire in alta Italia perché sabato, 30 corr., per la bontà di Sua Emin.za il Card. Fossati, avrò la consolazione di dire la Messa davanti alla S. Sindone'. - facilmente riceverò anche i voti religiosi di alcuni chierici che hanno finito il loro noviziato a Bra. Farò un memento per voi tutti: coraggio!” (Scritti 33, p. 202).

[29] Cfr. Diario di Villa Moffa, 29 settembre 1933.

[30] Ne parla anche Don Giovani Venturelli nel Summarium, p. 940; cfr. Summarium, p. 1009.

[31] Cfr. Diario di Villa Moffa, 30 settembre 1933.

[32] A Sig. Sergio Gentili scrive: “Ho pregato particolarmente per lei e sua mamma stamattina nella Messa, davanti alla S. Sindone” (Scritti 63, p. 194c); a Suor Maria Stanislaa: “A voi, a tutte le suore e ricoverati del Piccolo Cottolengo Genovese assicurazione che vi ho ricordati tutti come ho pregato davanti alla S. Sindone pei nostri benefattori” (Scritti 27, p. 112); alle Sorelle Marchese: “Le ho particolarmente ricordate nella Messa detta davanti alla S. Sindone” (Scritti 40, p. 150); alla Sig.ra Clotilde Altobelli'- “La ho particolarmente ricordata nella Messa davanti alla santa Sindone” (Scritti 41, p. 131); al Vescovo Paolo Albera scrive: “ho particolarmente ricordato v. Eccellenza Rev.ma nella Messa di stamattina davanti alla S. Sindone” (Scritti 49, p. 67); alla vedova Angela Solari: “Davanti alla Santa Sindone oggi ho detto la Messa, ed ho pregato in modo tutto particolare per Lei e per tutti i suoi cari, vivi e defunti” (Scritti 9, p. 65); al giovane studente Giuseppe Zambarbieri scrive a Piacenza - Bobbio: “Carissimo, ho particolarmente pregato per te e tuoi cari nella Messa di stamattina davanti alla S. Sindone” (Scritti 32, p. 250); all'avvocato Arcangelo Furina: “La ricordo sempre, ma la ho particolarmente ricordata oggi nella Messa davanti alla S. Sindone” (Scritti 37, p. 30); allo studente Zambarbieri scrive di nuovo, questa volta su una cartolina con l'immagine della S. Sindone: “Carissimo, ho particolarmente pregato per te nella S. Messa di stamattina davanti alla S. Sindone.” (Scritti 108, p. 19a); a Dott. Riccardo Moretti e Famiglia: “Ogni Benedizione” (Scritti 103, p. 219).

[33] Anche Don Giuseppe Callegari che ha accompagnato Don Orione durante questa visita alla S. Sindone a Tortino riferisce gli stessi fatti nella sua lettera del 4 ottobre 1941 indirizzata a Don Orlandi (fonte inedita).

[34] Cfr. Parola V, 227s.

[35] Cfr. Parola V, 227s.

[36] Si è conservato perfino un appunto in cui Don Orione ha preso nota per ricordarsi di portare con sé da Torino anche dei ricordini: “ricordi sindone” (Scritti 114, 227). Erano sicuramente delle medagliette dell'Anno Giubilare, di cui alcune si sono conservate  a Genova in Via Bosco.

[37] Il fatto che troviamo la stessa indicazione di Don Orione scritta con date diverse in atre almeno due sue minute ci fa pensare l’aveva rivolta a più persone: cfr. Scritti  96, 93 e Scritti  96, 57c.

[38] Cfr. ivi.

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