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Messaggi Don Orione
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Autore: Enrico Medi

A Boston, Napoli ed Avezzano, il Prof. Enrico Medi tenne tre discorsi memorabili su Don Orione che egli conobbe personalmente.

ENRICO MEDI,

scienziato, servo di Dio e amico di Don Orione

 

Flavio Peloso

Nato il 26 Aprile 1911, a Recanati, Enrico Medi, nel 1920 si trasferì a Roma, dove nel 1932 si laureò in Fisica Pura con Enrico Fermi. A 26 anni, nel 1937, era libero docente in Fisica Terrestre; a 31, vinse la cattedra di Fisica sperimentale a Palermo; deputato alla Costituente nel 1946; Presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica nel 1949; Vice-presidente dell'Euratom a Bruxelles nel 1958, consigliere comunale a Roma nel 1971.

Il nome di Enrico Medi divenne popolare soprattutto per i suoi interventi alla televisione. Con chiarezza e semplicità di espressione svolse un ruolo importante nel campo della divulgazione scientifica e con grande successo personale, nel luglio 1969, commentò a tutti gli Italiani lo sbarco sulla Luna dell'astronauta Amstrong. Morì a Roma il 26 maggio 1974. Il 26 maggio 1996, si aprì la sua causa di beatificazione.

Linea costante del suo insegnamento è stato il dimostrare come tra Scienza e Fede non solo non vi è antitesi, ma che l'una non può prescindere dall'altra. In lui il credente e lo scienziato si conciliavano nell’unico sentire la vita. Le sue conferenze, scientificamente rigorose e religiosamente contemplative, riconducevano sempre a quell'ordine di grandezza voluto dal Creatore: l'uomo al centro dell'universo, padrone responsabile delle leggi della natura creata per lui, arbitro della sua salvezza o della sua perdizione, valore comunque infinito rispetto al finito del cosmo.

Enrico Medi fu molto legato a Don Orione e ai sacerdoti orionini della Parrocchia di Ognissanti, in Roma. Il perché lo spiega lui stesso.

“La mia mamma, così la definiva Don Orione, era la vice parroca di Ognissanti, aveva un po’ tutto nelle mani in quella parrocchia di Roma, fuori la porta da dove si andavano a fare le passeggiate, le lumacare alla vigilia di San Giovanni e lei era una confidente di Don Orione di quella  nascente parrocchia, e ricordo che Don Risi, il primo Sacerdote della Casa fondata dal giovanissimo Don Orione a Tortona, il primo parroco a Roma, il primo parroco d’Ognissanti, quel giorno doveva salire da mia madre; e mamma lo aspettava: lui arrivò mezz’ora dopo e mamma era in Paradiso. Tanto che contravvenendo alle regole del Diritto Canonico, mentre la mia mamma è morta alla Parrocchia della Natività, i funerali furono fatti a Ognissanti.

La Parrocchia di Ognissanti l’ha voluta là, dove lei aveva lavorato, vissuto, soccorso malati, poveri, durante la guerra, prima della guerra, dopo la guerra, come una mamma, accanto e dentro all’Opera grande di Don Orione.

Ecco perché sono venuto qui”, concludeva il Prof. Enrico Medi in un discorso agli Amici di Don Orione, a Napoli, “se no, non avrei avuto il coraggio di parlare di un santo come Don Orione”.

Enrico Medi aveva ricordi bellissimi e dolcissimi di Don Orione e, invitato a parlare di lui, li comunicò in varie occasioni. “Ricordo quando arrivai a Roma dal paese nativo, dopo la mia Prima Comunione: era il 30 ottobre 1920. Il 1° novembre del 1920, mi trovavo ad Ognissanti alla consacrazione di quella chiesa. Era la prima parrocchia che nasceva nell’area della grande parrocchia di S. Giovanni in Laterano che allora arrivava lontano; ed era stata affidata ai Figli di Don Orione. La mia cara mamma abitava proprio di fronte alla chiesa”.

L’ordine cosmico indagato da Enrico Medi e l’ordine salvifico promosso da Don Orione si ricapitolavano in quell’Instaurare omnia in Christo che ha per principio e fine la Divina Provvidenza.

 

 

TRE DISCORSI DI ENRICO MEDI SU DON ORIONE

COMMEMORAZIONE DI DON ORIONE A BOSTON

 

Boston, Massachusset. Testo del radiomessaggio del Prof. Enrico Medi in commemorazione di Don Orione nel 1959, 19° anniversario della morte, riportato dal giornale americano “Il progresso”.

Qualche giorno fa, in una stanza di albergo a Washington, di mattino, ho sentito al telefono una voce amica, una bella voce italiana. Non avrei mai pensato che i Figli di Don Orione fossero capaci di trovarmi là, in un albergo di Washington, in questa bella e amata terra d’America. Ma voi li conoscete i Figli di Don Orione: sono sacerdoti alle cui mani Iddio ha dato una potenza straordinaria di costruire ed alla voce una forza indomabile di persuadere: “Enrico, tu devi parlare di Don Orione, qui, in terra d’America,” mi hanno detto.

            E va bene. Parlerò di Don Orione in terra d’America, con tanta gioia. “Ecco, ti mandiamo un libro, così puoi rivedere quelle cose che già sai di Don Orione.” Arriva il libro, e di questo libro io ho davanti a me due pagine. E in questo momento ve le voglio leggere, cari amici, e le leggiamo insieme, per la gioia dei nostri cuori. Ma su queste pagine non c’è scritta molta roba. Queste due pagine sono due fotografie: nella prima c’è l’immagine di Don Orione. Me lo ricordo Don Orione.

            Era l’otto maggio 1938; nella Parrocchia di Ognissanti, a Roma, dove la mia mamma era considerata un po’ come la vice-parroca perché assisteva tutti i poveri della parrocchia. Don Orione, quel giorno,  io credo, recitò a Roma, per l’ultima volta nella sua vita, la supplica alla Madonna di Pompei. Ero là con la mia mamma e con colei che, un mese dopo, doveva diventare la mia sposa. E Don Orione scese, quel giorno, sempre col suo sorriso per salutarci.

            Caro e santo Don Orione! Ecco le tue parole, e io le leggo in questa fotografia: “Fare del bene sempre, fare del bene a tutti, del male a nessuno.”

            Leggiamo insieme fotografia e parole: “Fare del bene sempre”! Guardate quel sorriso di Don Orione. E’ vero che è impossibile che quel sorriso cessi di essere un sorriso?  Ha qualche cosa che ricorda un  “sempre”. Mai, mai, mai la tristezza sarà su quel volto, su quella bocca, anche quando il dolore dovesse afferrare l’intimo profondo dell’animo umano e far piangere il cuore con tante lacrime. Ma il sorriso rimarrà sempre nello splendente scintillio dell’anima, nel fervente anelito verso l’alto dei cieli. Il sorriso di Don Orione! E’ con questo sorriso che egli è andato incontro ai peccatori, agli abbandonati, ai poveri. Ha raccolto gli sperduti della strada, i derelitti della vita. Ha costruito un tempio con le anime immortali del Signore e con i corpi sofferenti. Ecco il tuo sorriso, Don Orione!  Sempre, sempre, sempre! Senza stancarsi mai.

            Da quando eri giovane chierico là a Tortona, da quando andavi pellegrinando e chiedendo una piccola stanza, fino a quando costruivi e gettavi le fondamenta delle tue immense Case, delle tue meravigliose opere. Sempre sorridente, di un sorriso vero .

e profondo. Io credo che questa America, così benedetta terra di Dio, così anelante di questo sorriso di vita, raccolga dal tuo compiacente e amabile colloquio ogni forza per camminare nelle vie del Signore.

            Poi,  non basta il “sempre”. Noi in fisica diciamo: dopo il tempo c’è lo spazio. Don Orione cita: “Del bene a tutti”, senza distinzione. E allora io leggo questo “Del bene a tutti” negli occhi di Don Orione. Quegli occhi profondi, neri, vivaci, gli occhi proprio all’italiana. Con quelle folte ciglia, che sembrano quasi arcate a proteggere la troppa luce del cielo sopra la verde terra. E Don Orione, quello sguardo, lo ha per tutti. Non c’è dinanzi a lui né il troppo ricco né il troppo povero. Né il troppo santo né il troppo peccatore. Siamo tutti umili, povere creature di Dio, e camminiamo su questa terra ognuno con il nostro fardello…

            E Don Orione vuol far “del bene a tutti!” Non domanda: “Tu, chi sei? Italiano o inglese, americano o africano, sei peccatore o sei giusto? No, no, no, sei creatura di Dio e per questo io ti amo.” E poiché amore vuole dire volere  bene, e volere bene vuole dire fare il bene, ecco che Don Orione fa bene a tutti. Ma quale  “fare il bene”? C’è un bene particolare che si fa, che si fabbrica. Qual è il bene di cui parla Don Orione?” Il Signore!

            Quindi fare il bene, permettetemi questa immagine, cari amici, fare del bene vuol dire quasi creare Dio dentro alle anime. E, siccome noi non possiamo creare Dio, costruire Dio significa aprire nei cuori la strada del Signore.

            Questo è il più grande bene!

            Il più grande bene che un sacerdote può fare, e che fa. Il più grande bene  che un povero laico, poveri peccatori come noi, possiamo cercar di compiere: spalancare le finestre dei cuori, perché vi entri la luce del Signore.

            “A tutti”, dice Don Orione. A tutti!

            Odiare nessuno, e far del bene a tutti. E Don Orione questo lo ha dimostrato con le sue opere. Le sue opere hanno una caratteristica speciale, singolare. Hanno un titolo. Si chiama Divina Provvidenza.

            Ma questa Opera è piccola, perché è piccolo colui che la fa. Ma è grande Colui che realmente la compie: la Sapienza, la Bontà, la Misericordia, in una parola: la Provvidenza di Dio.

            Ecco perché Don Orione può dire: “Del bene a tutti” se no, sarebbe presuntuoso. Come si fa a far del bene a tutti? Siamo così limitati, così ristretti… A tutti! E’ una parola che non sta sulla bocca di un uomo, ma sta sulla bocca del Figlio di Dio. Perché non è l’uomo che questo bene, è la Divina Provvidenza che lo fa.

            E allora il programma di Don Orione è molto semplice… è tutto diverso dal programma degli uomini di oggi e dalla economia moderna.

            Noi adoperiamo le calcolatrici elettroniche, le grandi organizzazioni, gli aerei a reazione: tutto un complesso di uffici, di carte, di giri, di calcoli, di previsioni, fino a prevedere, direi, la data della nostra morte e fare l’assicurazione più conveniente.

            Don Orione ha tolto di mezzo tutto questo: ha aperto le braccia e lo sguardo su tutti, senza calcoli.

            Lui sa che la matematica del Figlio di Dio è la più sapiente e sicura matematica che mai possa esistere. Le calcolatrici elettroniche degli Angeli funzionano per tutta l’eternità. Ecco perché Don Orione può dire: Fare del bene a tutti” e “Divina Provvidenza”.

            E infine noi ci aspetteremmo una parola grande, profonda. E’ invece una parola che a leggerla sembra quasi negativa: “Del male a nessuno” Del male? Sì, siamo creature, tanto povere. Tutti siamo deboli… e potremmo fare del male, anche con la nostra generosità e col desiderio di operare.

            Guardate la fronte di Don Orione: dopo il sorriso, lo sguardo: è aperto e grande: c’è solo qualche piccola ruga. Io mi ricordo le rughe della fronte di Don Orione.

Una sola preoccupazione: far del male a qualcuno, far soffrire qualcuno, non comprenderlo o non intenderlo. No, Don Orione non ha mai maledetto a nessuno. La benedizione di Dio si poteva leggere risplendente sulla sua fronte con quella luce che viene dal Paradiso.

Amici miei, anche in questo campo il mondo d’oggi è troppo impastato di desiderio di lotta. Gli uomini sono soddisfatti quando fanno un affare, quando vincono una guerra, quando dominano un nemico: e fanno del male. E chi può riparare il male fatto ad una creatura?

Facciamo del bene a tutti che siano innocenti o colpevoli; perché tutti siamo colpevoli e nessuno, su questa terra, è angelo, come nessuno è demonio. E perciò né venerare gli uomini sulle vie della terra, né maledire alcuna di queste creature di Dio. Ma considerarci poveri, semplici, lieti fratelli nel comune cammino. Ecco il Programma di Don Orione.

E adesso apro l’altra pagina, la pagina aperta da lui: E’ una stupenda immagine di Maria, la Regina della terra e dei Cieli. Questa Regina che veglia su Roma, dall’alto di Monte Mario della mia Roma! Oh come la conosco bene!..

La mia casa è dalla parte opposta, a Torre Gaia, a venti chilometri di distanza, ma da là si può scorgere la statua di Maria sull’alto di Monte Mario, con le braccia aperte, benedicenti, grande, celeste Signora di bellezza e di amore.

E Tu, o Regina del Cielo, per opera di Don Orione, sei venuta in terra d’America. In Boston, città sapiente, città eletta, città cattolica, città di fede, avanguardia e avamposto di terra d’America. E Tu dalla collina di Boston, come dalla collina di Roma, guardi il mare e la terra, le speranze umane e i dolori e unisci la nostra Italia, gli Stati Uniti d’America, la nostra Europa e questo nuovo mondo in un unico amplesso, Regina e Signora, Madre e Maestra, Guida e Speranza.

Grazie, Don Orione, grazie di averci dato, così, questi ideali di vita e queste nostre àncore  per il futuro cammino.

Vedo ancora, in queste pagine, bianche nuvole che circondano il volto della Madonna. Andate per le vie dei cieli: la scienza moderna fa tanti sforzi per conquistare l’Universo. Stiamo lanciando con i nostri reattori – per ora alimentati a reazioni chimiche, un giorno saranno alimentati da energia nucleare -  stiamo, ripeto, mandando dei missili, stiamo lanciando dei satelliti, stiamo cercando di esplorare gli abissi dell’infinito.

Un giorno l’uomo manderà la sua bandiera sulla luna; un giorno pianterà il suo comando, così, diciamo, il suo piccolo dominio, in qualche angolo della nostra  Galassia. Io non lo so. Tutto questo sarà vero, o non sarà vero, io non lo so. Una cosa io so: che quando Don Orione accarezzava un bambino, conquistava un mondo più grande delle stelle, che quando il sorriso di una creatura si rivolge verso di noi e le sue mani si congiungono con le nostre per innalzare una preghiera alla Regina dei Cieli, questo domina ogni progresso, ogni tecnica; è il vero fine dell’uomo: salire dalle lacrime di questa nostra valle verso il sogno di un incantato Paradiso.

Per questo, o Don Orione, quest’umile tuo figlio della terra di Roma ti dice ancora una volta: grazie! Grazie: per sé, per i suoi cari, per tutte le persone care, per questa dolce, amata terra d’America: che trovi tutta la tua fede, la fede di Maria e il canto di Cristo!

Arrivederci, carissimi amici

 

Discorso agli Amici di Don Orione a Napoli

           Come si fa a parlare di un Santo quando santi non si è. Come si fa a far sentire agli altri una realtà di perfezione come un’opera d’arte senza poterla mostrare direttamente. Come si fa a descrivere la Cappella Sistina, la Pietà o la Madonna della Seggiola  o le pitture di Tiziano senza mostrarle. Con le parole si può soltanto dare un cenno ma non si fa un’opera d’arte.

            Carissimo Padre, voi mi avete invitato a parlare di Don Orione ma non a parlare di Don Orione perché si legge un libro, si fa la testimonianza, non volevo accettare, dato il po’ di impegni, dato quello che mi è successo in questo mese, però l’ho fatto per due persone: per la mia mamma e per Don Orione.

            La mia mamma, così la definiva Don Orione, era la vice parroca di Ognissanti, aveva un po’ tutto nelle mani in quella parrocchia di Roma, fuori la porta da dove si andavano a fare le passeggiate, le lumacare alla vigilia di San Giovanni e lei era una confidente di Don Orione di quella  nascente parrocchia, e ricordo che Don Risi, il primo Sacerdote della Casa fondata dal giovanissimo Don Orione a Tortona, il primo parroco a Roma, il primo parroco d’Ognissanti, quel giorno doveva salire da mia madre; e mamma lo aspettava: lui arrivò mezz’ora dopo e mamma era in Paradiso. Tanto che contravvenendo alle regole del Diritto Canonico, mentre la mia mamma è morta alla Parrocchia della Natività, i funerali furono fatti a Ognissanti.

La Parrocchia di Ognissanti l’ha voluta là, dove lei aveva lavorato, vissuto, soccorso malati, poveri, durante la guerra, prima della guerra, dopo la guerra, come una mamma, accanto e dentro all’Opera grande di Don Orione. Ecco perché, Padre, sono venuto qui, se no non avrei avuto il coraggio di parlare di un Santo in realtà i Santi sono talmente semplici che la loro semplicità è così assoluta che  noi diventiamo complicatissimi  e allora, per il rovescio delle cose, diciamo che noi siamo semplici e loro sono complicati. Per cui diciamo che i Santi sono complicati, tanto complicati che per parlare di loro facciamo discorsi difficili  (?)

 

            Ebbene, di Don Orione io non voglio farne la descrizione della  vita perché  veramente la conosco troppo bene per averla letta, ma voglio cogliere qualche insegnamento per noi, meditare  qualche aspetto della sua esistenza, in modo che voi, carissimi amici di Napoli, io con voi, possiamo farne  un nutrimento per la nostra vita spirituale, in alcuni punti, che oggi mi sembrano tanto essenziali e il primo è l’abbandono in Dio….la carità non ha mai sosta.

Non abbiate paura, tutto quello che date come carità il Signore ve lo considera, tutto ciò che date con umiltà il Signore ve lo moltiplica, tutto quello che date con amore il Signore lo riempie di gaudio. Ci avviciniamo alle feste di Natale, sarebbe inutile aver celebrato la festa di Don Orione senza averla realizzata dentro di noi e dentro il nostro cuore.

Io vi dico, fratelli di Napoli, facciamo un buon Natale!

Ora tornerò nella mia casa, mi metterò come creatura davanti al Signore, prendo il libro del Genesi: mi metterò a fabbricare le montagne con la carta incollata. Farò fiumi grandi grandi come il Colorado e il Missisipi, costruirò delle vette come quelle del Cervino e del monte Bianco, farò cadere la neve fatta di farina e riempirò il tuo presepe di piccole mucche, di piccole pecore bianche da cinque lire. Signore creo il mondo con Te, come Don Orione quando faceva il presepio che con infinita  grazia di santo componeva l’opera di Dio sulla terra perché Cristo venisse.

Signore, vi sono tante pecore, tante pecorelle sperdute, mi fai la grazia con Don Orione, per  questo Natale, di portartene una: quell’amico che è lontano, quell’amica… io l’ho abbandonato, l’ho condannato perché lui  era di destra ed io di sinistra, e viceversa…chi lo sa perdono tutto, o Signore, è Natale!  Grazie che mi hanno offeso!

Sii benedetto, o Signore, che cosa potrei offrirti, nemmanco  questo; sono tanto misero… fammi offrire almeno le offese dei miei fratelli. Gli perdono e vengo con lui, due pecorelle che vengono davanti al presepio. Signore c’è qualche pastorella che non ha pane, anche se apparentemente sembra che lo abbia… c’è qualche papà di famiglia che deve mantenere il decoro della propria casa e dei propri figli ; ma non  ha  di che le tasse, per la scuola e per i collegi in cui li manda, forse sta al piano di sopra o al piano di sotto. Signore, fagli passare un buon Natale. Mia moglie mi dirà, o mio marito mi dirà, i miei figli mi diranno: Papà, non ce la facciamo a chiudere il bilancio… , ma io so, Signore, con Don Orione, che tu hai parecchi fondi nelle casse del Paradiso e che non hai mai fallito quando un cuore generoso  ha bussato alla tua porta.

Signore, io do, la mia porta è aperta per donare e per far entrare Te. Se la mia porta è chiusa per donare, Tu non entri perché il catenaccio è messo dal di dentro. Signore, con Don Orione andrò per le vie di Napoli, senza sapere dove, come, quando; incontrerò anime e corpi: uno  ne raccolgo, uno  ne benefico per fargli fare Natale con me. Quanto sarà grande la mia gioia, Signore!

In un mondo attaccato al calcolo, al danaro, alla carriera, alla lotta, io Signore ti domando umiliazione, ti domando serenità, non mi dare troppa ricchezza, dammi quella che mi è utile per me, per i miei figli, che è decorosa; il di più, Signore, lo do ai poveri… non mi serve, mi pesa.

Le troppe glorie, il troppo potere, la troppa potenza, il troppo successo, Signore, te ne prego, toglilo, daglielo agli altri.. che hanno tante umiliazioni, tanta miseria,  tanta sofferenza.

Signore, fammi la grazia più grande che ti possa chiedere una creatura, fa che non senta più me stesso; quando le cose mi vanno bene, che fò una bella conferenza, un bel discorso, un bel successo, che la gente batte le mani e che io pensi alla gente quando soffre, quando piange che quel pianto diventino mie lacrime, che la sua umiliazione diventi il mio successo, che io sia con Te, la gioia della vita degli altri, Signore.

Fa che vada per il mondo, vedendo senza guardare, guardando senza vedere, accarezzando senza sentire, sentendo senza accarezzare, abbracciando e stringendo tutti al mio cuore come i tuoi santi.

O Maria, dolce mia Madre e Signora, fa che la tua carezza mi accompagni nel cammino della mia vita e accompagnandomi accompagni anche gli altri.

Signore, fa che io non sia solo nel cammino del mio dolore e nell’esultanza della mia gioia; che io abbia altri fratelli e sorelle da portare con me; non disprezzerò nessuno: né la prostituta che cammina lungo il rettifilo o nella notte, fino lungo i cammini di Santa Lucia; non disprezzerò il ladro che viene condannato, o colui che non crede o il comunista ateo. Signore, amo tutti. Son tutte creature tue e ogni volta che passo loro accanto il mio Angelo custode inserisce la comunicazione telefonica con il suo angelo, affinché nel mistero della comunione dei Santi, che è la realtà più grande noi ci incontriamo, anche con te, Don Orione dalla  fronte alta e luminosa.

Oh Don Orione, dammi i tuoi occhi profondi e penetranti, dammi il tuo sorriso innamorante ed edificante e  sarò santo con te, e la tua tunica, la sottana non misurata per la mia piccolezza mi starà bene perché le mani di Maria la sorreggono come una madre; e la tua povertà passata nell’anima mia ti riempirà di gioia e le perle delle mie lacrime trasformate dalle mani della Mamma. Amici di Napoli, io vi dovevo raccontare la vita di Don Orione, ma

Avrei dovuto fare discorsi sulla santità, l’ascetica e la mistica ma io non le conosco. Vi dico solo che la santità è una cosa tanto bella, ma tanto bella e tanto grande che nessuno se ne accorge quando le passa accanto. La semplicità della vita è quella di cui abbiamo bisogno, ma la vera semplicità è quella che non si accorge di essere  viva perché se sene accorge non è più viva, e la bontà è qualche cosa che dona, che dona tanto e quando ha tutto donato non ha neppure la forza di accorgersi che ha donato tutto.

Ed è in questa serena sinfonia che io vi auguro Buon Natale.

Stamattina quando sono andato a confessarmi, un sacerdote che non conosco mi ha aperto il cuore e mi ha detto: chissà perché… questo sarà il Natale più bello della tua vita… non so il perché… Forse pensava che Don Orione, col suo aiuto, mi farà una grazia grande e forse per la prima volta nella mia vita, mi sono sentito dare la penitenza: recitare la preghiera, 3 Pater Ave e Gloria, a Pio XII. E’ il Papa a cui Don Orione ha mandato l'ultimo messaggio della sua vita; Don Orione è morto il 12 marzo, da qualche giorno primo anniversario della coronazione di Pio XII. Li conoscevo tutti e due. Ero come un figlio devoto di Pacelli:  mi ha stretto al cuore sette giorni prima che morisse; tre quarti d’ora sono stato solo con lui a Castelgandolfo. Mi hanno detto: professore allora giovedì ritorna da Pacelli, l’aspetta.   Sono tornato: era morto. E, allora, la Radio Vaticana dall’alto della colonna di santa Veronica, al microfono, sono stato l’unico, l’ultimo al mondo che gli ho dato l’ultimo saluto

Queste due figure sono qui nel mio cuore, città di Napoli, in questo momento. Don Orione ha lasciato la fiaccola a Pio XII: il Papa della carità, il Papa della Roma bombardata, il Papa degli orfani, il Papa del sangue, il Papa della pace, il Papa dell’umiltà, il Papa del sacrificio, il Papa del dogma , il Papa di Maria. Erano innamorati ambedue della Regina degli Angeli. 

Io, povera creatura, ve ne porto il messaggio infinito di amore: Buon natale, fratelli di Napoli! Natale luccicante di tante stelle, un Natale pieno di pace.

Farete il presepe, vero? Fateli belli, dolci come i  vostri stupendi presepi napoletani. Vi dico un segreto del mio cuore: un giorno, una notte, a Parigi ho incontrato una povera creatura disperata; le ho dato del denaro perché si comprasse un presepe. Non l’ho più rivista. Ma mi ha detto: “E’ la prima volta in vita mia che piango. Chi è lei che mi da un dono così? Diecimila franchi per un presepio. Sarà il presepe più bello della mia vita, io, che ho mai conosciuto una carezza”.

In nome di Don Orione, date un presepe a qualche cuore che lo cerca; non importa se lo darete materiale o spirituale: date la culla  a chi cerca pace, date la luce a chi cerca verità, date un conforto a chi cerca consolazione.

Buon Natale, nel nome di Maria! Buon Natale, amici di Napoli!

 

CAMMINATORI DI DIO

                       

Avezzano, 13 giugno 1972. Commemorazione pronunciata all’Istituto Don Orione, presenti numerose autorità religiose e civili e grande concorso di gente.

Poco fa, proprio negli istanti in cui è cominciata questa celebrazione, un raggio di sole copriva, illuminava, irradiava il volto di Don Orione. E ora questo sole della Marsica sta tramontando, ma il volto di Don Orione che qui voi vedete, sorride della stessa luce: è la luce dei santi che non conoscono tramonto.

Ricordo quando arrivai a Roma dal paese nativo, dopo la mia Prima Comunione: era il 30 ottobre 1920. Il 1° novembre del 1920 mi trovavo ad Ognissanti alla consacrazione di quella chiesa. Era la prima parrocchia che nasceva nell’area della grande parrocchia di S. Giovanni in Laterano che allora arrivava lontano; ed era stata affidata ai Figli di Don Orione.

La mia cara mamma abitava proprio di fronte alla chiesa: la mia cara mamma… la chiamavano la “vice-parroco” di Ognissanti.

           Lacrime sante

            Ricordo gli occhi di Don Orione, la fronte di Don Orione, il sorriso di Don Orione, le mani di Don Orione, la figura di Don Orione: proprio come l’avete fatta qui… Non so quale artista abbia fatto questo disegno, ma è tanto bello! Don Orione sta con le mani così, come a dire: “Allegri, ragazzi! In alto i cuori! Abbiate speranza! Non piangete, o mia gente, perché con noi è il Signore e con il Signore è la gioia dello spirito”.

            Per questo, io penso che gli amici dei santi non debbono piangere, perché i santi non piangono e noi dobbiamo con loro gioire di quella gioia che hanno in paradiso, di quel paradiso, Eccellenze e Sacerdoti, che è qui, che è qui! Pensando al paradiso vien voglia di fare così, no?, di guardare verso il cielo; ma a me viene voglia di fare così, di guardare in basso. Sono i nostri poveri occhi che non possono vedere la splendente luce di coloro che contemplano la gloria di Dio; nella gloria di Dio i santi godono la partecipazione reale alla vita della SS. Trinità.

            E quindi i santi passeggiano per questa terra. Non vi parla un poeta, non vi parla un uomo di fantascienza, di romanzi, vi parla un professore di fisica, di quelli che fanno i reattori atomici, di quelli che hanno visto nascere il mondo moderno con Enrico Fermi ed il lancio dei satelliti verso la luna. Quindi, così come potrei parlarvi di atomi e di elettroni, di calcolatrici elettroniche e di computers, con la stessa concretezza e con la stessa povertà io vi parlo di queste cose, perché sono ugualmente vere. Anzi, sono le più vere. Il mondo degli spiriti è il mondo della realtà. Il mondo dei corpi è reale: è la realtà che impressiona i nostri occhi, le nostre mani, i nostri sensi; ma noi con i nostri occhi e i nostri telescopi e i nostri radars vediamo soltanto le cose esterne, non penetriamo nella profondità e nell’essenza delle cose.

            Cari amici, noi parliamo tanto di fisica, di progresso… Ma, se mi domandate di questi cirri che stanno lassù, perché si formano, nessuno lo sa; nessuno di noi sa esattamente perché si forma una goccia d’acqua: cioè, non sappiamo perché piove. Se mi domandate perché questo oggetto cade, io non lo so e nessuno lo sa, perché nessuno di noi sa che cosa è la gravità. Ne parliamo, sappiamo che esiste; se cade una pila di piatti per terra si rompe per la gravità, però non sappiamo che cosa è la gravità. Andiamo intorno alla luna, calcoliamo le orbite e non sappiamo che cosa è l’inerzia. Cioè, non arriviamo a cogliere il profondo mistero delle cose pur soltanto materiali.

            Immaginate poi voi, quando si tratta dell’essenza delle cose spirituali, le più alte, le più profonde, le più vere…

            Guardate cosa sta succedendo su questa piazza in questo momento. Se venisse in questa piazza un abitante di lontani pianeti o dalle galassie e non conosce l’uomo, rimarrebbe stupito, non capirebbe niente: come qua c’è un essere che parlando produce delle vibrazioni, ed è l’aria che vibra, là ci sono altri esseri su cui arrivano le rifrazioni; ebbene, succede una cosa strana e misteriosa: lui sorride e gli altri sorridono, dice la parola “amore” e i cuori battono, dice la parola “lacrime” e gli occhi le versano, innalza le mani al cielo e una preghiera si eleva… E’ la rispondenza fra gli spiriti e gli spiriti, attraverso il parlare della materia. E’ il più grande mistero della vita.

            Allora, in questo ordine di cose reali, ecco la santità.

           Luce sulla disperazione

            Don Orione, che stai facendo in questo momento? Sei qui ad Avezzano, sorridente, suggerendo al mio orecchio le parole che io non so ripetere… Stai guardando queste case, il santuario della Madonna del Suffragio, i vescovi, i deputati, le eccellenze, i prefetti…

            Dove eravate voi in quel tragico giorno del 1915, quando Avezzano fu distrutta? Giorno 13, come oggi, il 13 gennaio. Chi poteva prevedere la rinascita di una cittadina, oggi fiorente, oggi speranza delle generazioni future? Qualcuno di voi forse ha assistito a quel terremoto da bambino. E tu, Don Piccinini – allora Gaetano Piccinini – piangevi appoggiato al muro della tua casa divenuta cumulo di polvere. La coltre di polvere rimase sulla vostra città, sulla piana del Fucino per diversi giorni: non si vedeva quasi nulla dei paesi circostanti. Qui era la morte, fra Avezzano e i paesi dintorno: più di 30 mila morti, in una zona così poco densamente popolata.

            La disperazione! E la maggior parte di coloro che rimasero sotto le macerie furono gli anziani, i papà, le mamme. Avezzano era diventata la città degli orfani, dei bambini, e tra questi orfani – undicenne -  un certo Gaetanino.

            Ed ecco che Don Orione, dopo il terremoto di Messina del 1908, si trovava di fronte alla tragedia di Avezzano.

            Io me lo ricordo, il nostro Don Orione caro, l’ho conosciuto: con quelle sue orecchione che volavan come le ali degli angeli, con quella bocca aperta ad un sorriso maestoso, con quegli occhi, come quelli di Padre Pio, che ti bruciavano l’anima e ti entravano dentro, che ti parlavano e scoprivano e scrutavano e comandavano e pregavano e santificavano, come la luce che esce dagli angeli!

           Fede e cultura

            Quando io guardo queste nubi del cielo e quell’azzurro, quando io vedo volare questa rondine che segue con una perfezione mirabile le leggi dell’aerodinamica e che ha il radar nel suo cervello – volteggia intorno all’ostacolo a 80 chilometri orari non sbagliando di due decimi di millimetro – e, tutto racchiuso in pochi millimetri cubi, il ricordo del nido lontano che dall’Africa ritrova tornando nelle nostre terre; quando io rifletto a queste cose e quando, questa sera, vedrò con voi comparire le stelle e guarderò la piccola terra, più piccola di un granello di polvere rispetto ai miliardi di galassie che popolano l’universo… allora io penso e dico: “Mio Dio e Signore mio, quanto sei grande e quanto piccoli noi siamo!”

            Perché dico questo? Perché erano i discorsi che facevamo con Don Piccinini, uomo di grande cultura. Mi ricordo, ne parlavamo a New York, una volta. Mi diceva: “Caro Enrico, se il mondo potesse comprendere il palpito di Dio nella natura, se potesse sentire quale sinfonia d’amore Dio ha gettato negli abissi e nelle stelle e nel librarsi delle rondini, nel profumo dei fiori, nell’ondeggiar delle verdi piante sul far della primavera e nei campi biondeggianti delle speranze della vita e nel sorriso dell’occhio di un bimbo, oh!, il mondo non potrebbe più peccare”. Vedere il volto di Dio in ogni cosa, in ogni creatura, in ogni sguardo, in ogni sospiro, in ogni lacrima, in ogni battere di cuore, in ogni segno di bellezza d’amore, in ogni respiro di poesia che non conosce i confini dell’universo, questa era l’anima di Don Piccinini. Oh, caro Don Gaetano!

            Io che parlo qui sono un povero laico, papà di famiglia, e non avrei diritto di parlare così. Ma a voi, Pastori della Chiesa, a voi Sacerdoti, a nome di tutti i papà e le mamme del mondo, rivolgo un grido in questa sera meravigliosa: - Parlateci di Dio; fortificate la nostra fede! Oggi non abbiamo bisogno di parole difficili, di discorsi complicati, di esasperazione di problemi sociali e psicologici… Noi siamo gente semplice! Vogliamo Dio, la Madonna, la fede, la speranza: la realtà delle cose, basta. Questo vogliamo.

           Maria rifarà l’Italia

            Ricordo un giorno d’inverno pauroso. Eravamo nel febbraio del ’44, nelle Marche, mia terra; c’era la neve alta più di un metro; con Don Risi e Don Piccinini abbiamo percorso quelle strade tra la neve e i solchi dei carri armati. Stava avanzando l’esercito alleato: Polacchi, Americani, Inglesi, venivano da tutte le parti del mondo per sfondare la linea gotica…

Andavo con Don Piccinini per vedere una mia casetta che mio papà e mia mamma volevano dare a voi di Don Orione… ma le Marche erano distrutte. Sul mio piccolo paese – 350 abitanti -  diecimila granate! Non c’era più niente… Eppure in mezzo a quella desolazione Don Piccinini mi diceva: “Caro Enrico, ricostruiremo tutto, quella Madonna che altre volte ha protetto l’Italia, la salverà ancora”.

            Dall’Italia agli Stati Uniti, all’Inghilterra, all’America Meridionale… Don Piccinini era un… reattore atomico, sempre carico di energie, pieno di vita, sorridente, fattivo, eroico! Quanti batticuori a voi di Don Orione ha fatto passare! Tam!, lanciava un’idea ed era fatta. Appena lanciata, la seguiva, la realizzava, la concludeva, la inaugurava e… camminava, con quella volontà che è la forza dei santi che non conoscono ostacoli, ancorati nella volontà di Dio…”In la tua voluntate è nostra pace!”

            I santi sono fatti così. E il bello è che non sappiano che sono santi: mica lo portano scritto!… Ad ogni modo, la santità non consiste nelle opere grandi. Teresa del Bambin Gesù non ha fatto niente, di eccezionale, di fuori dell’ordinario nella vita, eppure è una delle sante di cui il Signore è più innamorato, solo perché ha amato Dio con l’abbandono e la gioia e lo sconfinato desiderio di amarlo di più. E’ l’amore che fa la santità.

         Questa è la santità

            Poi, il Signore, se vuole, fa realizzare anche le opere dai suoi santi: Don Orione, Don Bosco, Don Guanella, Don Piccinini, San benedetto da Norcia, San Francesco d’Assisi…

            L’essenza della santità comunque è nell’intimo del cuore dell’uomo, che viene rapito e assorbito nel cuore di Dio. E’ lì la santità. Quindi nessuno di noi si deve preoccupare se ha avuto o no l’occasione di creare una basilica o una pittura o una “Pietà”, che rimanga di gloria nei secoli, o di fondare un ordine monastico o avviare una congregazione. La santità è nella gioia che il nostro cuore può dare al cuore di Dio.

            E allora, quando il Signore dà ordini, come a Don Orione nell’alto di quella stamberga a Tortona con i primi ragazzini che andava chiamando e il Vescovo non ci credeva e i canonici rimproveravano, allora il titolo che il mondo dà è questo: “E’ un pazzo!”

            Nel quadro del mondo posto per la santità non c’è. Non sa dove metterla. “Don Orione: un povero prete figlio di un selciatore di strada, che ne capisce? Non ha studiato; parla così sciattone…; con quella veste tutta buchi e rattoppi che pare uno scolabrodo!…” La gente lo prende per pazzo.

            Eppure, quando il Signore dà un ordine, chi lo ferma?

           Ed ecco la preghiera

            D’altra parte, avere la certezza che Dio voglia una cosa piuttosto che un’altra, non è facile. E’ la tragedia dei santi! Perché il Signore fa sentire una spinta interiore, forte, irresistibile, ma non è che mandi un angelo a dirtelo chiaro: “Fai la chiesa del Suffragio, vai ad Avezzano, pianta una casa, vai a Boston…”. Anzi, ti arriva magari il contrario, e proprio l’autorità interviene, incomincia a fare difficoltà: “La Chiesa è prudente. Bisogna andar piano. Attenti al danaro, perché il danaro rovina tutto”. E questo poveretto sa che non  ce n’ha di denaro e non può mettere le cambiali a Domeneddio…perché né Domeneddio, né San Giuseppe firmano cambiali (le pagano, ma non le firmano!)… Per i santi è un vero dramma interiore!

E allora, a fare luce, ecco la preghiera.

            Ricordo quando tornavo a casa molte volte dall’Università: alle due, alle tre di notte vedevo una lampada attraverso le vetrate d’Ognissanti ancora accesa… Don Orione pregava…; è vero, Padri? Lo trovavate poi addormentato accanto alla predella dell’altare. La preghiera non basta mai.

            Che bisogno c’è di respirare sempre, venti volte al minuto? E così per la preghiera. La preghiera, questo nostro Rosario, è catena dolce che ci rannoda a Dio, che lega la terra al cielo. O Maria, fa che i tuoi sacerdoti non dimentichino di insegnarcelo. Sacerdoti, voi siete l’ancora della nostra speranza: se v’allontanate dal Tabernacolo noi siamo perduti…

Pregate, soffrite, state per noi accanto al Signore…

            Don Orione ce l’aveva sempre tra le mani questo rosario, Don Piccinini ce l’aveva sempre, voi Padre, ce l’avete sempre… Diremo a te, o Maria: “Prega per noi adesso, adesso”… perché ogni secondo che passa è un nuovo adesso, è un nuovo momento. O Maria, di te ho bisogno per guardare il cielo, per godere le stelle, cantar la musica di una giovinezza che non conosce il passare degli anni. Ave Maria, Ave Maria…! Questa e l’altra, magari nei corridoi del Parlamento, o là dove tutta la scienza si raccoglie in supreme meditazioni.

           Cercare le anime

            Un’altra cosa, fratelli, e poi vi lascio. Lo sapete che ognuno di noi può costruire un santuario più grande della Madonna del Suffragio? Se il Signore gli fa la grazia di aiutarlo a portare un’anima in cielo, quella è una basilica che vale di più di S. Pietro e di S. Paolo, di tutte le costruzioni più celebri.

            Un giorno la cattedrale di Amiens o quella di Milano saranno polvere, ma l’anima di un mio fratello, di una mia sorella ed il suo corpo risorto saranno un tempio di gloria che canterà alla maestà di Dio. Anche tu potrai fare una grande cosa: portare un’anima al Signore. “Portare un’anima” non è solo “portarla”, è curarla, guidarla, innalzarla, lottare con lei, soffrire con lei, darle la carezza, raccoglierla quando è caduta, perdonarla quando tradisce, consolarla quando si abbandona, cercarla come la pecora smarrita.

            Cercatele, o gente di Avezzano, queste anime. Quanti maledicono Dio perché non lo trovano! E il loro grido contro Dio testimonia che Dio c’è. E’ Dio che li chiama e gridano a Lui senza saperlo, per poterlo trovare. A te, o fratello, l’impegno di accendere la lampada della fede e della speranza in quei cuori. Questa è la missione che io, povero laico, posso raccogliere dalle mani di Don Orione. Eccellenze, non posso dirvi: fondate tutti una congregazione. Ma vi dico: cercate le anime, l’affetto per queste anime e per questi cuori!

            E ora, cari Amici, vi saluto. Le rondini vanno raccogliendo le ultime briciole di cibo per i loro piccoli, il sole sta illuminando con gli ultimi raggi queste nubi e le nuvole cantano al Signore la Sua gloria.

            O Don Orione, tu che pregavi la Mamma  di Gesù e nostra, allargando le braccia in questo cielo di Avezzano risorta e bella, in questa terra della Marsica, in questo Abruzzo, cuore palpitante della nostra Patria, alza ora le tue mani benedicenti, per la gloria delle nostre bandiere, la speranza dei nostri figli, la serenità del nostro domani, l’alleluia del nostro Paradiso.

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