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Messaggi Don Orione
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Parole di fede per cercare di comprendere l'incomprensibile.

Palermo 2 marzo 2011

Don Franco Galizia , forse travolto da una repentina e incontenibile crisi, è morto a Palermo cadendo dal 10° piano, pare con un grave gesto autolesivo.
Francesco Galizia era nato a Spezzano Albanese (Cosenza) il 29 novembre 1967. È entrato in Congregazione all’Incoronata di Foggia (1980). Terminato l’anno di noviziato, a Velletri, ha emesso la prima professione l’8 settembre 1987. Dopo il biennio di Filosofia a Tortona (1987-1989) ha trascorso il biennio di Tirocinio all’Incoronata di Foggia (1989-1991). Fece gli studi di Teologia all’Istituto Teologico Don Orione di Roma, emettendo la professione perpetua il 1° novembre 1993 e divenendo sacerdote l’8 luglio 1995. Partì missionario in Albania, ad Elbasan, ove rimase fino al 2005. Passò poi alla comunità di Palermo, divenendone prima economo e poi direttore dal 2008. La sera del 28 febbraio, la sua giornata terrena si è conclusa poco dopo le ore 20. Aveva 43 anni, 27 di anni di professione religiosa e 15 di sacerdozio.
I Funerali sono stati presieduti dal cardinale arcivescovo Paolo Romeo, il 2 marzo, alle ore 11, nella chiesa parrocchiale "Madre della Divina Provvidenza" di Palermo. Era presente il vescovo ausiliare, Carmelo Buttitta, il fratello del defunto Don Cosimo Galizia, il superiore generale Don Flavio Peloso, e una settantina di sacerdoti confratelli e diocesani, molte suore e una grande folla di persone commosse, soprattutto giovani. Al momento del Commiato finale, Don Flavio Peloso, ha improvvisato le seguenti parole.


Sento fin pudore nel prendere la parola, dopo le parole tanto paterne, illuminanti, di fede, di sua Eminenza, il nostro vescovo. Però, devo compiere il dovere di riunire in unico abbraccio tanti cuori qui presenti e tanti cuori qui assenti ma presenti nello spirito: la famiglia di Don Orione; l’amore di quanti l’hanno conosciuto e di quanti hanno vissuto con lui; l’abbraccio della famiglia palermitana, della parrocchia e di tanti altri che da don Franco, in questa casa, hanno ricevuto del bene; e l’abbraccio, l’unione della sua famiglia, dei suoi fratelli qui presenti, di don Cosimo in particolare, della mamma che non ha potuto essere presente.

Mi sento, e sono, a mani nude, e a cuore nudo, nel commentare. Ma mi attacco ancora alla parola che, da quando ho saputo di questo evento, mi ha martellato nell’anima: “talis vita, finis vita” , proverbio popolare “come la vita, così la fine” . No, no. Nel caso di don Franco, non è vero che talis vita finis ita! Questa fine non è in continuità con la vita di don Franco. Ed è per questo che siamo qui. E credo che anche lui sarà in piedi, davanti al Signore, sì, un po’ umiliato, credo, ma di quell’umiltà di un figlio che dice al Padre: “guarda cosa mi è capitato”. Ma sarà in piedi, per la sua vita bella, donata al Signore, sacrificata e spesa nel bene, disinteressata; con le sue miseriole, che anche lui ha seminato, come tutti noi, nei confessionali della misericordia. Ma in piedi, perché la sua è stata una vita bella.

Il mistero. In fondo, tutti noi ci sentiamo un po’ più deboli dopo questo fatto. Anche noi preti. Perché se fosse un caso di quelli tipici… ma questo non è proprio un caso tipico. Questo è un buon prete, un buon prete, che ha voluto essere un buon prete. E gli è successo. E questo ci rende molto più incerti e diciamo - questo sia il frutto e il dono di questo evento - più umili. La salvezza nessuno se la può dare. La forza nessuno se la può dare.

Cosa è successo? Non trovo parole. Se glielo chiedessimo, se potesse parlare, ce lo direbbe. Punterebbe il dito, ma non per accusare, ma per dire: mi ha ingannato. Un fatto, delle situazioni, dei sentimenti… e il maligno li ha ingigantiti, li ha stravolti, e non ho più capito niente. E rinnoverebbe il suo amore al Signore. Io credo che davanti al Signore, più o meno, sia successo questo dialogo, dell’Adamo dell’inizio e dell’Adamo di oggi. Ma questa fine - vorrei gridarlo per confortare la nostra fede, per trovare argomenti nuovi della nostra fede, soprattutto ai giovani - questa fine non è una smentita di quello che vi ha insegnato; non è una smentita della vita buona alla quale vi ha educato; non è una smentita o un tradimento alla vita buona che lui ha fatto. Non lo è, non lo è. Anzi è una conferma, è un invito alla prudenza: guardate quanto poco basta per essere ingannati!
Don Franco, ne sono certo, nel suo animo è stato ingannato da qualche desiderio, da qualche paura, da qualche timore, da qualche negatività ingigantita che gli ha fatto perdere la luce. Tutti noi ce lo siamo confidato. E devo dire che ho un segreto desiderio di capire qualche cosa dell’elemento concreto. C’è un prima e un dopo. Ci sono gli ultimi otto giorno in cui è entrato nell’inganno. Otto giorni in cui è entrato in questo inganno, in cui si è consumato questo dramma. Sono certo, don Franco sarà lì, a mani vuote, davanti al Signore, che è misericordia, che comprende i suoi figli, a dire: Sono qui, però tu sai che io ti amo, tu sai che ti ho amato.

E allora son qui, a mia volta - con la pretesa di interpretare il cuore del Padre, anche io mi sento un poco padre - a dire: Caro figlio, sono fiero di te. (Tutti si alzano in piedi, lungo applauso) Sono fiero di te, per la sincerità, per la genuinità, per il sacrificio con cui Mi hai amato. Sono fiero di te per il tanto bene che hai ricevuto e che hai donato a tanta gente non badando a spese... mi è stato detto che qualche volta era un po’ larghetto con i soldi, ma per generosità e sempre nella trasparenza. Sono fiero di te, perché sei stato religioso-figlio, un religioso che, come don Orione, ha cercato di fare il bene sempre, il bene a tutti, il male mai a nessuno.
Vi invito a dire a ripetere con me - ma lo ha già detto il vostro applauso – che tutti noi ricordiamo con fierezza questo sacerdote buono che è stato travolto, che ha avuto il suo inganno - chiamiamolo pure “il suo peccato”, perché è un peccato e dobbiamo avere nell’animo il rifiuto, il no: la morte non fa parte della vita - ma questo fatto è dentro di un cuore buono e il Signore vede questo.

Cari parrocchiani, cari confratelli, siamo fieri di don Franco. Quando lo ricorderemo non ricorderemo colui che si è gettato dal decimo piano, ma ricorderemo il confratello buono, il confratello generoso, il confratello tutto di Dio, il confratello che soffriva quando non riusciva a tenere l’unità nella comunità, il confratello che ci teneva tanto alla comunione nella parrocchia, tra le opere. Ecco questo è il confratello che ricorderemo nel nostro necrologio. Questo è il confratello che, sono sicuro, io personalmente e credo tutti voi invocheremo in cielo. Sia lodato Gesù Cristo.

(trascrizione da registrazione delle parole di commiato al termine del funerale di Don Franco Galizia)

 

 

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