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Messaggi Don Orione
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Relazione di Don Flavio Peloso FDP al Congresso missionario della Piccola Opera della Divina Provvidenza ad Ariccia (Roma).

TUTTI IN MISSIONE

La Famiglia Orionina tra nuova evangelizzazione e missio ad gentes


 

Ariccia, 21 novembre 2011

 Siamo giunti a questa importante riunione di Famiglia Orionina dedicata al progetto missionario per il sessennio. Vi partecipano i consiglieri generali, i superiori provinciali, i rappresentanti delle missioni e dell’animazione missionaria, FDP, PSMC e Laici. E’ un momento qualificante e determinante la vita della nostra Piccola Opera.

E’ un convegno che FDP e PSMC abbiamo organizzato e viviamo insieme, vedendo nella comunione dei cuori e nella collaborazione pratica un sostegno per raggiungere gli obiettivi specifici che ciascuna congregazione si propone. La relazione tra le due congregazioni religiose è aperta al coinvolgimento, per quanto possibile, anche di ISO e MLO nel campo missionario.

Nella vita delle due congregazioni questo convegno ha un obiettivo eminentemente pratico: informare, fare discernimento e dare indicazioni per attuare le decisioni dei rispettivi Capitoli generali.

Scopo di questa relazione introduttiva è dare un quadro di notizie, valori e prospettive entro cui collocare lo studio delle linee e proposte per il progetto missionario del prossimo sessennio 2011-2017.

I Capitoli generali 10° e 11° avevano canonizzato come nota caratteristica del sessennio il “nuovo slancio” missionario; il Capitolo 12° ha puntato l’attenzione sul “consolidamento” delle nuove realtà missionarie. Il Capitolo 13° ha dato come parola d’ordine la “corresponsabilità” nei nuovi sviluppi della Congregazione (CG12 143-144).[1]

Slancio, consolidamento, corresponsabilità: evidentemente sono dinamismi diversi e convergenti dell’impegno missionario della Congregazione. La corresponsabilità è ancor più indispensabile oggi, in un tempo di riduzione numerica di religiosi onde evitare di ridurre al minimo sia lo slancio e sia il consolidamento missionario.

 

 IL MANDATO DI GESÙ

 Il mandato missionario di Gesù è stato preso come luce evangelica per illuminare il Convegno.

“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi»” (Gv 20,19-23).

Tutti gli evangelisti, quando narrano l’incontro di Gesù Risorto con gli apostoli, concludono riportando il mandato missionario.[2] Nel convegno missionario del 2005 si era preso come slogan il mandato di Gesù come riportato in Atti 1, 8 “Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.

Ogni discorso ecclesiale sulla missione parte dal “mandato” di Gesù. In esso troviamo le motivazioni,[3] i contenuti e le modalità della missione.

 “L’impulso missionario appartiene all’intima natura della vita cristiana” e  “rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale” (Redemptoris missio [RM] 3).

 

IL MANDATO DELLA CHIESA

            La voce del Papa e dei Pastori della Chiesa prolunga e attualizza il mandato del divin Maestro "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" e ci ricorda che siamo debitori del Vangelo verso tutti: "predicate il vangelo a ogni creatura" (Mt 16,15).

            Detto questo, si deve constatare che "dagli anni del Concilio ad oggi, il numero di coloro che non conosco­no il Vangelo e Gesù Cristo è raddoppiato” (RM 3). Basta questo dato a far emergere l'appello alla missio ad gentes, reso oggi urgente e necessario e tanto rilanciato dal Papa e dai Pastori della Chiesa.

Situazioni e statistiche sono note. Ma non ci si deve fermare al dato sociologico. "Gli uomini che attendono Cristo sono ancora in numero immenso: gli spazi umani e culturali, non ancora raggiunti dall'annunzio evangelico o nei quali la Chiesa è scarsamente presente, sono tanto ampi, da richiedere l'unità di tutte le sue forze. Dobbiamo nutrire in noi l'ansia apostolica di trasmettere ad altri la luce e la gioia della fede, e a questo ideale dobbiamo educare tutto il popolo di Dio" (RM 86).

            Tale impegno missionario ha visto particolarmente impegnati in prima linea, da secoli, gli Istituti di vita consacrata.[4] Si può dire che, nel passato, lo sviluppo missionario della Chiesa in nuove frontiere è avvenuto per opera quasi esclusiva dei religiosi.

 

IL MANDATO DI DON ORIONE

Il mandato apostolico di Don Orione, come ci ha giustamente ricordato  Giovanni Paolo II, si presenta a voi come l'attuazione del grido accorato del vostro Padre: «Anime! Anime!». Grido che prolunga il «sitio» di Gesù in croce. Grido che andrà sempre ripetuto da ciascuno e da tutti insieme. Non ci può essere vera evangelizzazione senza fervore apostolico”.[5]

Anche Don Orione potrebbe dirci, riprendendo le parole di Gesù: “Come il Signore ha mandato me, anch'io mando voi”.

Il mandato missionario ricevuto e partecipato ai seguaci è stato da Don Orione riassunto nel sogno-visione della “Madonna dal manto azzurro”. Egli vide il grande manto azzurro che “s’allargava, così che non si distinguevano più i confini”, “che copriva tutto e tutti fino all’orizzonte lontano”, “ragazzi di molti diversi colori, il cui numero si andava straordinariamente moltiplicando… la Madonna si volse a me indicandomeli”. Scrivendo al vescovo Bandi, aggiunse: “ricordando che di cinta non ce n’era, e che erano di vari colori, ho capito che sono le missioni”.[6]

Don Orione andò in missione ad gentes con i viaggi in America Latina del 1921-1922 e 1934-1937 e sappiamo con quale dinamismo e slancio apostolico.

Don Orione mandò in missione ad gentes, a partire dalla prima spedizione del dicembre 1913 in Brasile,[7] molti suoi Figli della Divina Provvidenza e di Piccole Suore Missionarie della Carità.

L’impegno missionario di Don Orione e della congregazione si realizzò sempre nella sofferta e salutare tensione tra “consolidamento dell’esistenteenuove aperture. Tale tensione fu impersonata paradigmaticamente nei due santi fratelli e padri della Congregazione: Don Orione e  Don Sterpi.  Ebbe accenti anche drammatici nelle parole dell’uno e dell’altro.

Don Sterpi scrive da Tortona: “Pensate a ritornare al più presto. Ricordate che se le cose qui non vanno bene, sarà un male anche per l’America… E poi lasciate perdere l’Argentina e tutti i bei progetti, altrimenti vengo giù anch’io”[8].

Don Orione scrive dal Chaco informando di aver accettato una nuova missione: “Ho accettato sub condicione perché mi sentivo l’anima lacerata, e ricordavo le parole del S. Padre: «non fermatevi nelle città, ma andate nell’interiore, dove pochi o nessuno va, perché non c’è guadagno». Qui il Chaco è ritenuto peggio che la Patagonia, c’è tutto tutto tutto da fare, c’è tutto da soffrire, c’è tutto da sacrificarsi per il Signore, per le anime, per la S. chiesa. Ci sono i protestanti, gli ebrei, i mercanti che arricchiscono di beni terreni e che per il cotone e la ricchezza stanno là, e non ci sarà il sacerdote per le anime? per i poveri?”.[9]

Anche oggi, la tensione tra slancio e consolidamento non va risolta ma mantenuta viva e alta e ciò è possibile solo nell’equilibrio che si raggiunge mediante la comunione fraterna e il condiviso zelo apostolico. Essa, nei tempi di Don Orione e successivamente, produsse la diffusione del Vangelo e del carisma, nuove opere, nuove vocazioni. Sono i due passi di chi cammina nella storia: uno che poggia sul solido ma già pronto al distacco e l’altro slanciato in avanti ma già misurando il punto d’appoggio. I religiosi e le opere saranno sempre  troppo fragili per poter parlare di consolidamento. Ma saranno anche sempre sufficienti per dare ragione alla speranza missionaria.

 

IL MANDATO DELLA CONGREGAZIONE

Le Congregazioni orionine furono mandate in missione dal Fondatore e mandarono in missione molti dei loro religiosi e suore.

L’America Latina fu la direzione missionaria di gran lunga più sviluppata da Don Orione (Brasile, Argentina, Uruguay e Cile), ma egli lanciò i Figli della Divina Provvidenza in una irradiazione geografica missionaria che ha del sorprendente pensando all’esiguità numerica (e non solo) dei religiosi: Palestina (1921), Polonia (1923), Rodi (1925), Stati Uniti (1934), Inghilterra (1935), Albania (1936). Le Piccole Suore Missionarie della Carità, pur fondate 25 anni dopo, furono inviate da Don Orione stesso in Argentina, Brasile, Uruguay, Polonia.

Dopo il grande slancio fondazionale e missionario di Don Orione, nel 1940 restò a Don Carlo Sterpi (1940-1946) il compito del consolidamento della Congregazione. Ma la Provvidenza volle diversamente: la seconda guerra mondiale per 6 anni (1939-1945) tolse religiosi, disperse giovani negli scenari di guerra, rese difficile la vita dei seminari e impedì la comunicazione tra l’Italia e gli altri Paesi di presenza orionina. Altro che consolidamento!

Poi Don Sterpi si ammalò e lasciò il passo a Don Carlo Pensa (1946-1962). La forma organizzativa e istituzionale della congregazione prese consistenza e stabilità con il governo di Don Pensa. Don Pensa può dirsi il Generale del primo vero consolidamento. Ma non venne meno neanche con lui lo slancio missionario: infatti, Don Pensa accettò da Pio XII l’impegnativa missione del Goiàs (1952), inviò in America Latina varie spedizioni missionarie negli anni ’50  e aprì le prime comunità  in Cile, Spagna, Francia e Australia.

Sostanzialmente prevalse la visione del consolidamento e dello sviluppo interno anche durante i due sessenni di Don Giuseppe Zambarbieri (1963-1975); unico Paese nuovo raggiunto è la Costa d’Avorio (1970).

 Negli ultimi decenni, rispondendo agli appelli del Papa in favore della missio ad gentes, c’è stato un grande impegno missionario della Congregazione con molte nuove aperture in Paesi.

E’ con Don Ignazio Terzi (1975-1987) che si può parlare di una vera e consistente ripresa della spinta missionaria ad gentes della congregazione espressa con aperture a nuovi popoli: Paraguay (1976), Madagascar (1977), Togo (1981), Giordania (1985), Venezuela (1986). Fu continuata con Don Giuseppe Masiero (1987-1991): Cabo Verde (1988), Filippine (1991), Romania (1991) e con Don Roberto Simionato (1992-2004): Albania (1992) Bielorussia (1993), Messico (1993), Kenya (1996), Burkina Faso (1999), India (2001), Ucraina (2001), Mozambico (2003).

L’ultimo sessennio 2004-2010 può essere considerato di consolidamento delle molte missioni nuove e isolate e, questo, in un contesto di Congregazione in notevole calo numerico.

La constatazione storica d’insieme è che consolidamento e slancio missionario hanno sempre camminato di pari passo in congregazione, fin dai tempi di Don Orione.

Anche lo sviluppo missionario delle Piccole Suore Missionarie della Carità, avviato da Don Orione con aperture a ritmo battente e anche ben consolidate, perdurò all’incirca fino al 1949, qualche anno dopo la morte di don Orione, con lo sviluppo in ben sei nazioni: Italia, Polonia, Argentina, Brasile, Uruguay e Cile.

Poi ci furono 30 anni senza sviluppi missionari in nuove nazioni. Ripresero solo nel 1978 con le aperture in Africa, in Capo Verde, Kenya e Madagascar.

Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) e gli inviti della Santa Sede, le PSMC raggiunsero la Russia, l’Albania (per breve periodo), l’Ucraina e la Romania con presenze tutt’ora molto esigue. Ultime aperture sono state in Perù, in Costa d’Avorio e nelle Filippine.

 

PROSPETTIVE PER IL PROGETTO MISSIONARIO

1.      Tutti missionari: missio ad gentes e nuova evangelizzazione

            Il nostro convegno missionario è dedicato soprattutto a formulare il progetto di missione ad gentes, ma è indispensabile ricordare che siamo tutti missionari e c’è una corresponsabilità che coinvolge tutti i soggetti della Famiglia Orionina, sia come componenti (FDP, PSMC, ISO Laici) e sia come modalità di azione missionaria.

            Ci riferiamo al riguardo alla classica descrizione di Redemptor missio 33:

            "Le differenze nell'attività, all'interno dell'unica missione della Chiesa, nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse situazioni in cui si svolge, per cui essa si presenta come:

* missio ad gentes: rivolta a popoli tra i quali Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti;

* cura pastorale della Chiesa: presso le comunità cristiane già formate e ferventi di fede e di vita;

* nuova evangelizzazione: abbraccia la situazione intermedia di interi gruppi e popoli che, pur battez­zati, hanno perduto il senso vivo della fede".

Siamo chiamati a elaborare il nostro progetto missionario immersi in una Chiesa cui Papa Benedetto XVI sta dando una forte impronta missionaria, come risulta dalle due iniziative più rilevanti: ha istituito un Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione[10] e ha convocato il prossimo Sinodo dei Vescovi (7-28 ottobre 2012) sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.

Nella Prefazione dei Lineamenta per il Sinodo si distingue tra “l’evangelizzazione come orizzonte ordinario dell’attività della Chiesa”,  “l’azione di annuncio del Vangelo ad gentes nei Paesi missionari di prima evangelizzazione” e “la nuova evangelizzazione indirizzata a quanti si sono allontanati dalla Chiesa nei Paesi di antica cristianità”.

Queste tre linee di azione spesso convivono nello stesso territorio per cui, nelle Chiese locali, devono essere praticate contemporaneamente, soprattutto a causa del fenomeno della globalizzazione e dello spostamento della popolazione tramite la migrazione e l’immigrazione. Già Giovanni Paolo II ricordava che «i confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti-stagno” (Lineamenta 10).

Concretamente, il titolo del nostro convegno “Tutti in missione” significa che noi Orionini non possiamo pensare al nostro progetto missionario ad gentes separatamente, ma incluso nel contesto globale e differenziato promozione della evangelizzazione. “Nuova evangelizzazione è sinonimo di missione”, afferma chiaramente Benedetto XVI.

  2.      La santità come condizione ed energia della missione

            “Nuova evangelizzazione e domanda di spiritualità” è il titolo del n.8 dei Lineamenta del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione.

            La missione "si radica e si vive innanzitutto nell'essere personalmente uniti a Cristo: solo se si è uniti a lui come il tralcio alla vite (cf. Gv 15,5), si possono produrre buoni frutti. La santità di vita permette a ogni cristiano di essere fecondo nella missione della Chiesa” (RM 77, Ad Gentes 36).

            A noi religiosi viene ricordato che “il contributo specifico di consacrati e consacrate alla evangelizzazione sta innanzitutto nella testimonianza di una vita totalmente donata a Dio e ai fratelli, a imitazione del Salvatore che, per amore dell'uomo, si è fatto servo” (VC 76).

            “La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo 'ardore di santità' fra i missionari e in tutta la comunità cristiana" (RM 90).

            Sono parole chiare che vanno al cuore della missionarietà e che ci avvertono di non confonderla con protagonismo umano e attivismo.[11] Il nostro progetto missionario deve proporsi anche di “suscitare un nuovo 'ardore di santità' fra i missionari e in tutta la comunità cristiana".

            Benedetto XVI parlando della nuova evangelizzazione ha detto che necessita di “persone che tengano prima di tutto esse stesse lo sguardo fisso su Gesù, il Figlio di Dio: la parola dell’annuncio deve essere sempre immersa in un rapporto intenso con Lui, in un’intensa vita di preghiera. Il mondo di oggi ha bisogno di persone che parlino a Dio, per poter parlare di Dio. E dobbiamo anche ricordare sempre che Gesù non ha redento il mondo con belle parole o mezzi vistosi, ma con la sua sofferenza e la sua morte. La legge del chicco di grano che muore nella terra vale anche oggi; non possiamo dare vita ad altri, senza dare la nostra vita".[12]   

            Benedetto XVI non perde occasione per affermare l’origine mistica (la Grazia – la Charitas - l’azione provvidente di Dio) di ogni impegno e azione pastorale della Chiesa per cui non esita ad  avvertire che “La mancanza di zelo missionario è mancanza di zelo per la fede. Al contrario, la fede si irrobustisce trasmettendola”.[13]

            Giovanni Paolo II ha esortato noi Orionini a “Fare di Cristo il centro delle vostre esistenze, il cuore dell'apostolato: questo è l'impegno missionario che vi anima; questo è il programma apostolico che ha guidato Don Orione e che conserva ancor oggi la sua piena attualità”.[14] Bella e sintetica anche l’altra espressione: “Don Orione volle fare di Cristo il cuore del mondo dopo averne fatto il cuore del suo cuore”.[15]

3.      La vita fraterna in comunità come contenuto e metodo della missione

            Giovanni Paolo II, in Vita consecrata 45, afferma esplicitamente che “per presentare all'umanità di oggi il suo vero volto, la Chiesa ha urgente bisogno di comunità fraterne, le quali con la loro stessa esistenza costituiscono un contributo alla nuova evangelizzazione, poiché mostrano in modo concreto i frutti del «comandamento nuovo»”.

E’ la caratteristica che deve ispirare il nostro impegno missionario di religiosi. Sulla vita comunitaria ha insistito tanto anche il nostro ultimo Capitolo generale.[16]

E’ in Vita fraterna in comunità [VFC] che il tema è trattato con molta aderenza a situazioni e valori della missione dei religiosi.

            “Accanto alla missione di predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mt 28, 19-20) il Signore ha inviato i suoi discepoli a vivere uniti, "perché il mondo creda" che Gesù è l'inviato del Padre al quale si deve dare il pieno assenso di fede (cfr. Gv 17,21). Il segno della fraternità è quindi di grandissima importanza, perché è il segno che mostra l'origine divina del messaggio cristiano e possiede la forza di aprire i cuori alla fede. Per questo "tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune” (n.54).

“Più intenso è l'amore fraterno, maggiore è la credibilità del messaggio annunciato, maggiormente percepibile è il cuore del mistero della Chiesa”, leggiamo in VFC 55. “La vita fraterna è altrettanto importante quanto l'azione apostolica. Non si possono invocare le necessità del servizio apostolico per ammettere o giustificare una carente vita comunitaria”.

            Sono pensieri chiari e incisivi.

            Nella missione della Chiesa ai religiosi è chiesto qualcosa di specifico: “La vita fraterna in comune ha un valore speciale nei territori di missione ad gentes, perché dimostra al mondo, soprattutto non cristiano, la "novità" del cristianesimo, ossia la carità che è capace di superare le divisioni create da razza, colore, tribù… Ma non raramente è proprio nei territori di missione ove si incontrano notevoli difficoltà pratiche nel costruire comunità religiose stabili e consistenti” (VFC 66).

            Elencati altri  motivi che possono ostacolare la vita comunitaria, conclude: “L'importante è che i membri degli istituti siano consapevoli della straordinarietà di tali situazioni… e appena possibile, costituiscano comunità religiose fraterne dal forte significato missionario, perché si possa innalzare il segno missionario per eccellenza: "siano (...) una cosa sola, perché il mondo creda" (Gv 17,21).

  4.      La corresponsabilità ad gentes anima la missionarietà congregazionale

            Lo slancio missionario sviluppa e arricchisce la cattolicità della Chiesa e della Congregazione. "La partecipazione alla missione universale è il segno della maturità di fede e di una vita cristiana che porta frutti. Così il credente allarga i confini della sua carità, manifestando la sollecitudine per coloro che sono lontani, come per quelli che sono vicini: prega per le missioni e per le vocazioni missiona­rie, aiuta i missionari, ne segue l'attività con interesse e, quando ritornano li accoglie con quella gioia con cui le prime comunità cristiane ascoltavano dagli apostoli le meraviglie che Dio aveva operato mediante la loro predica­zione (At 14,27)" (RM 77c).

            Senza passione missionaria – di cui i missionari ad gentes sono il segno più chiaro – è facile cadere nell’introversione apostolica, vera asfissia della comunità cristiana e religiosa. Lo dice con la solita immediatezza Benedetto XVI: “La nuova evangelizzazione è il contrario dell’autosufficienza e del ripiegamento su se stessi, della mentalità dello status quo e di una concezione pastorale che ritiene sufficiente continuare a fare come si è sempre fatto. È tempo che la Chiesa chiami le proprie comunità cristiane ad una conversione pastorale in senso missionario della loro azione e delle loro strutture”.[17]

            Questa indicazione è stata attualizzata per noi Orionini da Giovanni Paolo II: “La vostra Famiglia religiosa troverà, ne sono certo, se saprà aprirsi ad un'autentica consapevolezza missionaria, ragioni ideali e stimoli concreti per una costante crescita ed un vivo rinnovamento evangelico. Fedeli, in tal modo, all'eredità spirituale lasciatavi da Don Orione, voi sarete in questo tempo i prolungatori del suo servizio alla causa di Cristo e del messaggio salvifico”.[18]

            Certamente, compito specifico di questo Convegno missionario è quello di stimolare e dare orientamenti pratici per attuare al massimo la corresponsabilità missionaria di tutti, in diverso modo. Ciò è tanto più necessario perché la Congregazione sta passando una fase di diminuzione numerica di religiosi e di vocazioni.

            Per  animare la corresponsabilità sarà necessario ridare dinamismo ai Segretariati missionari che sono andati quasi scomparendo nelle Province.

Si tratterà anche di stimolare e favorire, come governo provinciale, la disponibilità di confratelli per le missioni, di curare bene il rapporto della Provincia con le missioni affidatele:  invio/cambio dei religiosi nella missione, relazione dei religiosi in missione con la Provincia e le sue strutture di animazione (segretariati, formazione permanente, ecc.), sostegno economico, e altri aspetti.

            Infine, all’interno della Provincia, ci sono tante possibilità di coinvolgimento missionario da valorizzare: associazioni, gruppi, missioni popolari, la preghiera di confratelli anziani, malati, nei Piccolo Cottolengo.

5.      Corresponsabilità e coinvolgimento dei laici

            Il punto di partenza della corresponsabilità dei laici nella missione è dato dal fatto che «I fedeli laici, in forza della loro partecipazione all’ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa" (Christifideles laici, 34) e, di fatto, “l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale” (RM 2) e questo rappresenta un grande segno di speranza per la Chiesa.

"I settori di presenza e di azione missionaria dei laici sono molto ampi” (RM 72) in tutta la Chiesa e anche nella missione orionina, nella quale le opere caritative e sociali per i poveri non solo accompagnano l’azione missionaria, ma sono in se stesse missionarie, dal momento che "la nostra predica è la carità" e "le opere di carità sono la migliore apologia della fede cattolica". In una missione orionina c'è molto posto per i laici: per catechisti e per muratori; per chi fa scuola, per chi fa da mangiare, per chi è infermiere; per chi sa guidare un gruppo e per chi sa guidare l'automobile; per chi - uomo o donna - sa curare la casa, sa dare accoglienza e offrire un aiuto nelle piccole necessità quotidiane della missione.

Con questo spirito è stato lanciato uno speciale appello missionario ai laici.[19] Non pochi laici sono già protagonisti anche nella missio ad gentes: laici del luogo, innanzitutto, ma anche laici che vanno in missione.[20] Sono da formare, da coordinare. Sono poco più che una primizia, per ora, ma ci sono grandi possibilità. Il CG 13 chiede di favorire esperienze missionarie di volontariato laicale” (n.118).[21]

          Dobbiamo chiedere e valorizzare quello che è loro specifico nel senso dell’indicazione data da Giovanni Paolo II nella lettera al Movimento Laicale Orionino: “Invito i laici che hanno scelto di condividere il carisma orionino vivendo nel mondo ad essere zelanti e generosi per offrire alla Piccola Opera della Divina Provvidenza «il prezioso contributo» della loro secolarità e del loro specifico servizio. Il Movimento Laicale Orionino favorirà cosi l'irradiazione spirituale della vostra Famiglia religiosa… per una sempre più efficace attuazione della sua specifica missione nella Chiesa e nel mondo”.[22]

6.      Il cammino delle nuove missioni tra consolidamento e ripiegamento

La decisione n.7 del Capitolo generale del 2004, e il successivo Progetto missionario del sessennio sottolinearono la necessità del consolidamento delle missioni: “consolidando anzitutto le nuove realtà missionarie, costituendo comunità consistenti, con maggiore stabilità di religiosi idonei, compreso il formatore delle vocazioni locali”.

Il consolidamento nello sviluppo missionario nel sessennio trascorso non è stato meno esigente di persone, di impegno e di sacrificio da parte della Congregazione. Ed è ben lungi da considerarsi sufficientemente raggiunto.

C’è bisogno ancora di sforzo, forse meno appariscente, ma indispensabile per arrivare a missioni consolidate o fondate che, secondo la descrizione del “Progetto missionario orionino” del 1993,[23] si ha quando una missione comprende almeno tre comunità che uniscano all’attività della evangelizzazione, le opere caritative assistenziali e la promozione delle vocazioni del luogo. È questo il nucleo germinativo della “pianta orionina” sufficiente per svilupparsi e crescere. Poi, la fioritura, i frutti, la robustezza della pianta dipenderanno dalla Divina Provvidenza, dalle condizioni concrete storiche e sociali dell’ambiente e dall’impegno dei Confratelli.[24]

Ebbene, sono ancora molti i Paesi in cui la presenza della Congregazione non è ancora consolidata e le missioni che non si possono ancora dire “fondate” compiutamente per  numero di religiosi, di comunità e di attività-opere. Il progetto missionario che elaboreremo insieme dovrà ancora tenere conto di questo impegno a consolidare le nostre nuove missioni.

L’esperienza mostra come il numero ridotto di religiosi, sempre gli stessi, per tanto tempo nello stesso luogo e nelle stesse opere, con poche possibilità di animazione intercomunitaria, senza vocazioni del luogo, porta a una  involuzione negativa sia dei religiosi e sia delle opere, con sempre meno possibilità di vocazioni. Un ritiro per questi motivi è avvenuto finora solo da Cabo Verde.

In una nuova nazione noi andiamo per donare il carisma e per impiantare la congregazione e non solo a svolgervi delle attività. Se la nostra presenza dopo molto tempo non si sviluppa verso l’autonomia vitale, occorre prenderne atto. Il bene fatto è sempre ben fatto e il lasciare quel Paese non è una sconfitta.

7.      Un orizzonte da tenere aperto: l’Asia

La Congregazione, con il Convegno missionario per l’Asia del 7-11 maggio 2001, ha promosso il Progetto per l’Asia. Da allora la novità più notevole è costituita dal promettente sviluppo in India. Nelle Filippine si è aperta la terza comunità a Lucena e c’è un buon numero di giovani nel pre-noviziato. In Corea, come era in programma, c’è stato un tentativo di apertura ma sono venuti meno i presupposti per continuare.[25]

Ma l’orizzonte dell’Asia deve continuare a restare aperto per la Famiglia Orionina.

L’Asia non è una nazione, non è una cultura, non è una frontiera. L’Asia è la metà della popolazione della terra. Lo era anche prima, ma ora con le nuove aperture commerciali e le comunicazioni sta diventandolo effettivamente. L’Asia è il futuro. L’Asia poco conosce Cristo e la sua salvezza.

Nel 1995, Giovanni Paolo II ha invitato i Vescovi dell'Asia riuniti a Manila a «spalancare in Asia le porte a Cristo».[26] “Confidando nel mistero della comunione con gli innumerevoli e spesso sconosciuti martiri della fede in Asia e confermati nella speranza dalla costante presenza dello Spirito Santo, i Padri sinodali hanno coraggiosamente chiamato i discepoli di Cristo in Asia a un nuovo impegno nella missione” (Ecclesia in Asia 4).

Un poco enfaticamente, ma con verità, nel Progetto per l’Asia leggiamo: “E’ l’ora dell’Asia! Prendiamo il treno della storia”. Come il mondo emergente al tempo di Don Orione fu l’America Latina e Don Orione stabilì un rapporto privilegiato con quei popoli, così oggi il mondo emergente è l’Asia.

Non è in questione solo avere una presenza in più in Asia, si tratta di far sì che la Congregazione sia impiantata e si sviluppi anche in Asia.

La Provvidenza ci sta stendendo la mano. Come rappresentante dei superiori generali presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide) ho ascoltato un tema ricorrente: prepariamoci per la Cina, avviciniamoci alla Cina. Molte Congregazioni, anche della nostra dimensione, stanno facendo i primi approcci di conoscenza, avvalendosi anche di iniziative di laici. Tra poco, la Cina sarà aperta come si aprì l’Europa dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino. Saremo preparati per andare a portare il Vangelo e il carisma Orionino? Era anche nel desiderio di Don Orione.[27]

 

CONCLUSIONE

A conclusione di questo quadro attuale e progettuale della dimensione missionaria delle nostre Congregazioni, riandiamo ancora una volta al sogno profetico di Don Orione quando, “in spe e contra spem”, aveva chiuso l’oratorio ponendo le chiavi nelle mani della Madonna. Vide sotto il grande manto azzurro gente d’ogni razza e colore “ricordando che di cinta non ce n’era, e che erano di varî colori, ho capito che sono le missioni”.[28]

La nostra Congregazione, dai tempi di Don Orione, non ha messo “cinta” e ancora oggi è chiamata a curare quanti sono sotto il manto e a tenere aperto il suo orizzonte.

Maria, Madre della Divina Provvidenza, protegga la nostra Famiglia Orionina “che è opera sua fin dall’inizio” e benedica questo convegno missionario.

Deo gratias!

 


[1] Il CG 13 chiede di favorire la “corresponsabilità” non solo mediante il progetto missionario ad gentes ma anche mediante “progetti regionali per l’Asia, per l’America Latina, per l’Europa e per l’Africa” (n.143).

[2] Mt 28,16-20; cf Mc 16, 15-18; Lc 24, 46-49; Gv 20, 21-23.

[3] L’importante documento Redemptoris missio approfondisce le motivazioni teologiche, spirituali e pastorali dell’impegno missionario e risponde ad alcuni dubbi che possono attenuare la carica missionaria della Chiesa. “A causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione?  Perché quindi la missione?” (RM 4).

[4] "Gli Istituti di vita consacrata, dal momento che si dedicano al servizio della Chiesa, in forza della loro stessa consacra­zione sono tenuti all'obbligo di prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missiona­ria, con lo stile proprio dell'I­stituto" (RM 69, AdG 40).

[5] Udienza al X Capitolo Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza. 16 Maggio 1992.

[6] Scritti 45, 60.

[7] Dal 20 ottobre 2013 all’8 dicembre 2014 celebreremo l’Anno missionario orionino nel ricordo del centenario della partenza dei primi missionari.

[8] Lettera di Don Sterpi in data 21 novembre 1921; IV, 218.

[9] Lettera all’Abate Caronti del 17 Marzo 1937; Sui passi di Don Orione, 216.

[10] Fu eretto il 21 settembre 2010 con il Motu proprio Ubiqumque et semper. In esso viene detto che compito del Pontificio Consiglio è “far conoscere e sostenere iniziative legate alla nuova evangelizzazione già in atto nelle diverse Chiese particolari e promuoverne la realizzazione di nuove, coinvolgendo attivamente anche le risorse presenti negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica, come pure nelle aggregazioni di fedeli e nelle nuove comunità”.

[11] C’è il rischio di "dare un'immagine riduttiva dell'attività missionaria, come se fosse principalmente aiuto ai poveri, contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa dei diritti umani... I poveri hanno fame di Dio, e non solo di pane e di libertà, e l'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le Chiese locali che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi”; RM 83.

[12] Discorso del 15 ottobre 2011 ai partecipanti al Convegno per la nuova evangelizzazione.

[13] Ibidem.

[14] Omelia nella Parrocchia di Ognissanti, Roma, 3.3.1991.

[15] Lettera nel 50° della morte di Don Orione, 12.3.1990.

[16] Alle relazioni comunitarie è dedicato il nucleo 3 del documento del CG 13.

[17]Discorso del 15 ottobre 2011 ai partecipanti al Convegno per la nuova evangelizzazione. Anche nel CG13 è stato rilevato che “emergono nella nostra vita di religiosi, alcune situazioni caratterizzate da poca capacità a convertire le nostre opere istituzionali, da una certa chiusura verso esperienze nuove e da una marcata assenza di pionierismo missionario” (n.114).

[18] Lettera nel 50° della morte di Don Orione.

[19] Il primo Appello missionario ai laici orioniniè datato 15 ottobre 2005; ed è stato rinnovato il 13 marzo 2011: “Venite a predicare la carità”.

[20] IL CG13 rileva che “anche da noi sono già state attuate esperienze missionarie da parte di laici” (n.114)

[21] La decisione 30 del CG 13 stabilisce che “Il consigliere generale per le missioni, in collaborazione con i rispettivi consiglieri provinciali, prepara un piano concreto per quei laici che vogliono fare una esperienza nelle nostre missioni, attua un serio discernimento e individua le comunità più adatte per l’accoglienza” (n.121).

[22] Messaggio in occasione del Convegno Internazionale del Movimento Laicale Orionino, 1210.1997.

[23] Ricordiamo che il Progetto missionario del 1993, oltre al “programma” missionario, determinò un quadro di valori, una identità, una dinamica della missio ad gentes orionina.

[24] Senza averlo teorizzato, Don Orione attuò questo principio vitale di sviluppo in Argentina, Brasile, Uruguay, Polonia. Cercò invece di superare la situazione di religiosi e comunità che non voleva a lungo isolati, come in Albania, Palestina, USA, Rodi. Per l’Uruguay diede direttive al superiore Don Montagna per lo sviluppo della missione: “Non abbiate timore pel personale, poiché intendo intensificare e consolidare il nostro stabilimento all'Uruguay; tanto che sono deciso di accettare anche a Minas”; ma è interessante il criterio posto da Don Orione: “Tre o quattro Case sono una necessità di vita, di bene meglio organizzato, di aiuto anche reciproco materiale e morale: «frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma», dice la S. Scrittura”; a Don Montagna, 26.12.1929, Scritti 21, 152. Similmente, caldeggiò una possibile nuova apertura a Rodi: “Quanto a Tantur, è nelle consuetudini di questa Congregazione di aprire, in paesi lontani, possibilmente due case, perché se qualche soggetto non va in una casa, possa essere facilmente trasferito nell’altra…”; Scritti 89, 201.

[25] Si veda l’appendice Cronistoria dell’incontro con la Corea nell’Instrumentum laboris.

[26] Discorso alla VI Assemblea plenaria delle Conferenze Episcopali dell'Asia, Manila, 15.1.1995.

[27] Era in contatto con Propaganda Fide e di fronte alle difficoltà pratiche per aprire in Albania, scrive a Don Sterpi (2 ottobre 1935, da Buenos Aires): “meglio, allora, diversamente, chiedere una missione in Cina” (18, 156). Chiedere! Di fatto era arrivata una proposta concreta già nel 1927: “Sua Eccell. Mg.r Celso Costantini, Delegato apost. in Cina, voleva affidarci colà un Seminario” (42, 87), ma dovette rinunciare per mancanza di personale. Sapendo di queste possibilità di missioni in Asia, informa che “l’Istituto del Divin Salvatore pro Missioni all’Estero, che è qui di Roma, a via Sette Sale, 22, dove cresce per Dio e per la Chiesa una promettente e giovane schiera di nostri chierici e di probandi…  Sopra tutto si preparano per la Cina e per l’Oriente” (59, 59). Annunciando la prima partenza di missionari da Voghera, annuncia: “E abbiamo chiamate per due nuove case in Cina, da un Vescovo e dallo stesso Monsignor Celso Costantini Delegato Apostolico per la Cina” (73, 156). Parlando ancora delle missioni: “La Cina era inaccessibile - ora la muraglia dell’impero celeste è caduta: il Giappone era chiuso allo straniero: ora non più. I popoli si sono avvicinati: l’umanità non solo cammina ma corre, ma viaggia, vola” (56, 167)

[28] Scritti 45, 60.

 

 

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