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Messaggi Don Orione
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Pubblicato in: Atti e comunicazioni 2013, n.242, p. 221-238.

Conferme, stimoli e novità dallo stile e dal magistero di Papa Francesco. Lettera Circolare del 29 dicembre 2013.

ORIONINI IN CAMMINO

NELLA CHIESA DI PAPA FRANCESCO

 

Sant’Alberto di Butrio, 29 dicembre 2013

Carissimi Confratelli

Deo gratias!

Scrivo questa lettera nel tempo natalizio, durante una sosta di preghiera e riflessione all’Eremo di Sant’Alberto di Butrio.

Si sta per concludere un anno segnato dall’avvicendamento alla guida della Chiesa di Papa Francesco succeduto a Benedetto XVI che ha discretamente rinunciato per motivi di salute ingravescente aetate. Ora Papa Francesco sta dando un nuovo stile e impulso non solo al “servizio petrino” del Vescovo di Roma ma anche alla vita e alla missione della Chiesa.

La stessa nostra Assemblea generale, che aveva obiettivi concreti di verifica delle decisioni del Capitolo del 2010, ha respirato qualcosa del “clima di Papa Francesco”. Nella mia relazione introduttiva ho detto che i suoi esempi e i suoi insegnamenti “devono ispirare la revisione del nostro cammino congregazionale” osservando che “abbiamo un patrimonio di stile e di valori propri che vengono risvegliati dai continui appelli di Papa Francesco”.

Cari Confratelli, in questa lettera circolare intendo condividere qualche riflessione su cosa comporti per noi essere “Orionini in cammino nella Chiesa di Papa Francesco”. Già il titolo dice la prospettiva e anche l’orientamento pratico a cui siamo chiamati. Sia chiaro: la Chiesa è di Gesù Cristo, è suo Corpo (Col 1,24), condotta dallo Spirito Santo. La Chiesa non è né di Paolo né di Apollo, né di Paolo VI, né di Giovanni Paolo II né di chiunque altro. Chiesa di Papa Francesco significa la Chiesa del pontificato di Papa Francesco o, anche, la Chiesa nella “nuova tappa di cammino nei prossimi anni” (Evangelii gaudium 1).    

 

Una conversazione di tre ore con Papa Francesco

Ero uno dei 120 Superiori generali di Ordini e Congregazioni maschili che, il 29 novembre scorso, hanno avuto la grazia di passare un’intera mattinata, dalle 9.30 alle 12.30, con Papa Francesco, nella sala del Sinodo in Vaticano. E’ stato un lungo e cordiale colloquio, fraterno e paterno. Le distanze sono state subito annullate al primo saluto, alle prime battute di inizio. Avevamo davanti il Papa che ci parlava con confidenza, che raccontava le sue esperienze, che dava linee e incoraggiamenti per svolgere il compito di animatori della vita consacrata.

Abbiamo avuto un’esperienza ‘al vivo’ di cosa sia la leadership evangelica di Papa Francesco, che tutti apprezzano e di cui molti parlano e scrivono. È stato un incontro indimenticabile. Ha voluto che non fosse un’udienza ufficiale (inizialmente era programmata mezz’ora nella sala Clementina) ma un incontro fraterno, per questo “a porte chiuse”, senza persone estranee, nemmeno ecclesiastici.

E’ stato con noi per ben tre ore, compresa la pausa per il caffè; ha salutato ciascuno con calma. Lo vedevo lì, a 3-5 metri da tutti noi. Ci abbracciava con uno sguardo. Non ha pronunciato un discorso preparato, ma ha risposto a braccio, in spagnolo, alle domande che avevamo in parte preparato e condiviso durante la nostra Assemblea dell’Unione Superiori Generali. E poi, la sorpresa, al termine dell’incontro, l’annuncio che il 2015 sarà un anno dedicato alla vita consacrata.

 

Appunti dei temi trattati[1]

Il Pontefice ha osservato che la radicalità evangelica è richiesta a tutti i cristiani, ma i religiosi sono chiamati a seguire il Signore in maniera speciale: “Sono uomini e donne che possono svegliare il mondo. La vita consacrata è profezia. E c'è bisogno di questa profezia perché, come ha osservato Benedetto XVI, 'la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”. Però ha avvertito che "bisogna essere profeti e non giocare a fare i profeti".Dio - ha detto ancora - ci chiede di uscire dal nido che ci contiene ed essere inviati nelle frontiere del mondo, evitando la tentazione di addomesticarle. Questo è il modo più concreto di imitare il Signore”.

Interrogato sulla situazione delle vocazioni, il Papa ha sottolineato che ci sono Chiese giovani che stanno dando frutti nuovi. Ciò obbliga naturalmente a ripensare l’inculturazione del carisma.

Il carisma è uno, ma, come diceva sant’Ignazio, bisogna viverlo secondo i luoghi, i tempi e le persone. C’è il rischio di sbagliare, di commettere errori. Ma questo non deve frenarci, perché c’è il rischio di fare errori maggiori (nell’evitare l’inculturazione). Infatti, dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio. Pensiamo, ad esempio, alle intuizioni pionieristiche di Matteo Ricci che ai suoi tempi sono state lasciate cadere”.

Al riguardo, mi è piaciuta un'espressione di Papa Francesco sul carisma: “il carisma non è una bottiglia di acqua distillata”; il carisma, come l’acqua, assume i sapori e gli elementi della terra in cui passa. “L'inculturazione non ha regole fisse, ha lo spirito che la regola, ma va evitato sia il relativismo e sia l'uniformismo", ha affermato, aggiungendo che vengono buoni frutti dall’“introdurre nel governo centrale degli Ordini e delle Congregazioni persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma”.

Papa Francesco si è soffermato molto sulla formazione che, a suo avviso, si basa su quattro pilastri fondamentali: "formazione spirituale, intellettuale, comunitaria e apostolica. Quando uno giunge alla professione perpetua deve avere integrato in unità queste quattro dimensioni". Nella formazione è da evitare ogni forma di ipocrisia e di clericalismo grazie a un dialogo franco e aperto su ogni aspetto della vita: “la formazione – ha avvertito – è un’opera artigianale, non poliziesca; deve avvenire in un dialogo da padri a figli". “L’obiettivo è formare religiosi che abbiano un cuore tenero e non acido come l’aceto. Tutti siamo peccatori, ma non corrotti. Si accettino i peccatori, ma non i corrotti”.

Rispondendo poi ad una domanda sulla vita comunitaria, Papa Francesco ha detto che essa ha una forza di attrazione enorme. Suppone l’accettazione delle differenze e anche dei conflitti. A volte è difficile vivere la vita fraterna, ma se non la si vive non si è fecondi.

Particolarmente commovente è stata la sua testimonianza sui confratelli problematici. La riporto in forma quasi letterale.

“In ogni famiglia ci sono problemi e pensare o sognare una comunità senza fratelli in difficoltà non fa bene, perché la realtà ci dice che in ogni parte, in ogni famiglia, in ogni gruppo umano, ci sono conflitti. Dunque, i conflitti bisogna assumerli.

Occorre fare come nella parabola del buon samaritano: fare come il prete e l'avvocato che vedono il conflitto e girano al largo, lo ignorano? O fare come lo sciocco che va nel conflitto e resta nel conflitto? Oppure, assumi il conflitto, fai quello che puoi, lo superi e continui avanti.

Una volta, un dirigente sindacale mi raccontò che, ai 22 anni, passò per una crisi di alcolismo, una crisi depressiva che lo portò all’alcolismo. Viveva solo con sua madre vedova, molto umile. Lui lavorava ma, quando beveva, al mattino restava addormentato e non andava lavorare alla fabbrica. Sua madre lavorava come lavandaia. In quell’epoca non c’erano lavatrici o erano rare, la roba si lavava a mano, nelle case. Mi diceva che lui, quando al mattino stava ancora con la conseguenza dell’ubriachezza, vedeva che sua mamma si era alzata, passava per la sua stanza prima di uscire e lo guardava di un modo, senza dirle niente, e usciva. Lo guardava con tenerezza. Quest’uomo non riuscì a resistere alla tenerezza di sua madre e cambiò vita. Lo raccontò lui stesso. Oggi è una persona importante, un dirigente operaio importante.

Bisogna arrivare alla tenerezza, a questa maniera di guardare al fratello causa di conflitto. La carità nostra deve arrivare fino a questa dimensione che direi quasi materna della tenerezza.

La fraternità è qualcosa di molto delicato, molto delicato.

Ricordo una frase dell'inno della festa di San Giuseppe, l'inno dell'ufficio delle letture, nel testo argentino, che mi arrivava molto dentro il cuore. Parlava di come trattare, di come San Giuseppe trattava la sua famiglia e diceva che San Giuseppe trattava la sua famiglia con “ternura de eucaristia” (tenerezza eucaristica). È una forma poetica: trattare i propri fratelli con “ternura de eucaristia”, l’umano e il sacro sono uniti. È un'immagine molto forte che ci può aiutare.

Dunque, non avere paura del conflitto, affrontare il conflitto, risolvere il conflitto, accompagnare il conflitto, accarezzare il conflitto… accompagnare”.

 Sono state poste al Papa alcune domande su questioni particolari. Circa l’accesso dei religiosi fratelli nei ruoli di superiori nelle congregazioni clericali, ha risposto che si tratta di un tema canonico che deve essere affrontato a quel livello.

Sulle relazioni tra i religiosi e i Vescovi, le Diocesi nelle quali essi sono inseriti, ha detto che è un punto critico. Ha affermato di conoscere per esperienza i problemi possibili, sia a motivo dei religiosi che dei Vescovi. “I carismi dei vari Istituti vanno rispettati e promossi perché c’è bisogno di essi nelle diocesi. Noi vescovi – ha detto – dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono portatori di carismi che arricchiscono le Diocesi”.

Le ultime domande a Papa Francesco hanno riguardato le frontiere della missione dei consacrati. “Quali frontiere, quali periferie indica ai religiosi, oggi?”. “Ciascun Istituto deve andare alle frontiere cercate sulla base del proprio carisma”, ha risposto. Il carisma dà sensibilità e priorità differenti, ma quel che conta è che tutti andiate alle periferie.

Sono state molto semplici e non convenzionali anche le parole finali di ringraziamento di Papa Francesco. Guardando l’orologio alle 12.35, ha sospirato: “Il mio amore per voi giunge fin qui, perché alle 13 ho un altro appuntamento, con il dentista”. Egli stesso e tutti noi con lui ci siamo sciolti in un sorriso divertito. Poi ha proseguito: “Vi ringrazio per il vostro spirito di fede. Vi ringrazio per avere avuto la possibilità di condividere il mio servizio con voi e per la condivisione. Questo fa molto bene a tutti. Grazie per quello che fate. Grazie per la testimonianza. Grazie per i martiri che donate continuamente alla Chiesa. Grazie anche per le umiliazioni per le quali dovete passare a causa di difetti, di insuccessi, e grazie perché le assumete bene; è un cammino per il quale bisogna passare. Grazie di cuore".

 

Come amare e seguire Papa Francesco?

Mentre ero lì, ascoltando Papa Francesco e vedendo il suo modo di essere, mi è venuto spontaneo pensare: e io cosa devo fare? Come devo cambiare? E poi anche: la Congregazione orionina come può rispondere a Dio che ci ha inviato questo Papa, Francesco, figura profetica e istituzionale per noi importante?

Il Papa è sicuro riferimento del cammino di tutta la Chiesa. Ma da noi Orionini deve essere seguito e amato con una passione e un’adesione speciali, animati dal nostro carisma specifico di “speciale fedeltà al Papa”. Nella preghiera che recitiamo ogni settimana, chiediamo: “Tu ce lo hai dato per nostro pastore e maestro, dà a noi o Signore, la costanza di professargli sempre tutta la nostra docilità come figli e tutto il nostro amore”.[2] Don Orione spiegava che questa docilità e questo amore consistono nel  “seguire sempre, in tutto e per tutto, gli insegnamenti di lui, non solo in materia di fede e di morale, ma in ogni cosa che egli, come Papa, insegna e comanda… anche i suoi avvertimenti, consigli e i suoi desideri”.[3]

America loves the singer, but not the song” (l’America ama il cantante, ma non la canzone), titolò un grande giornale all’indomani del trionfo di Papa Giovanni Paolo II alla Giornata Mondiale della Gioventù di Denver (nel 1993), per indicare la popolarità del Papa e insieme il distacco dal suo insegnamento.[4] Qui scatta l’orioninità che c’è in noi! Noi dobbiamo amare sia il “cantante” e sia la “canzone” intonata da Papa Francesco, “corifeo della Chiesa”.[5]

E se avvenisse che noi Orionini, personalmente e istituzionalmente, continuassimo come prima, senza novità e cambiamento, anche nella Chiesa attuale di Papa Francesco? Saremmo come “quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:  Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto” (Mt 11, 16-17).

Padre Bartolomeo Sorge, con rapide pennellate, ha definito la Chiesa di Paolo VI dialogante, quella di Giovanni Paolo II trionfante, quella di Benedetto penitente e quella di Francesco evangelica, una chiesa libera dalle mondanità, gioiosa del Vangelo, povera e serva, vicina alla gente, testimone della misericordia di Dio.[6] C’è profonda e vitale continuità tra i due pontificati: solo una chiesa penitente, che riconosce i suoi peccati e la sua “mondanità” e vuole purificarsi (Benedetto XVI), può intraprendere un nuovo cammino di radicalità evangelica nel Signore (Francesco).

Papa Francesco ha messo la Chiesa nel cammino della fedeltà evangelica, con il suo esempio, con il suo impegno e anche con tanti messaggi e iniziative. Tutti lo riconoscono: siamo entrati in una situazione in cui la Chiesa è messa in movimento. Papa Francesco non presenta obiettivi particolari o immagini precise di come dovrà essere organizzata la Chiesa domani per essere più evangelica e missionaria nel mondo d’oggi. Convoca a un cammino di conversione a Gesù e al Vangelo “sine glossa”, accogliendo la volontà e le sorprese di Dio.

 

Quale cammino della vita religiosa “al passo” di Papa Francesco? Quale sintonia con il “corifeo della Chiesa” da parte della vita religiosa che “appartiene intrinsecamente alla vita e alla santità della Chiesa” (LG 44)?

A queste domande hanno cercato di rispondere i Superiori generali riuniti in Assemblea nel novembre scorso e su queste domande hanno chiesto indicazioni al Papa stesso. A partire da quegli appunti, tenterò di fissare alcuni orientamenti e tracce di cammino in base al magistero di Papa Francesco, di Evangelii gaudium in particolare.[7]

 

PAPA FRANCESCO E NOI: QUALE CONVERSIONE?

I gesti e il magistero di Papa Francesco ci invitano ad una “conversione” nella nostra sequela di Cristo e nel servizio ai fratelli: una conversione dei nostri atteggiamenti personali, delle nostre relazioni, delle prospettive e dello stile della missione.
Papa Francesco chiama tutta la Chiesa ad accogliere ed ad affrontare le sfide della storia e i problemi dell’umanità con una vivencia più evangelica, con un atteggiamento fiducioso verso il mondo, sapendo vedere nel campo il grano che cresce, pur in mezzo alla zizzania, partecipando all’amore di Dio per il mondo.

 

  1. CONVERSIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI PERSONALI
  1. Religiosi centrati sull’essenziale

L’essenziale per noi è il “Solo Dio”, il seguire Gesù Cristo, la testimonianza del Vangelo secondo il carisma.[8] E’ con questa fedeltà che sosteniamo i nostri fratelli nel camminare verso il Signore.

Qui è il cuore del dinamismo di rinnovamento della Chiesa promosso da Papa Francesco: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (EG 1). Occorre partire e “ripartire da Cristo”,[9] vivere “gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5), fino a sperimentare che “non son più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). È per questo che Papa Francesco scrive: “non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva »” (EG 7).

Papa Francesco, prima degli splendidi 288 numeri della sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, dice semplicemente: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta” (EG 3).[10]

Ci è chiesta una seria conversione al discepolato come condizione essenziale ed indispensabile per svolgere la nostra missione (“pastores que se dejan pastorear”), coscienti di essere “all’incrocio del dono”: tutto ciò che Dio ci ha donato con la fede, la vocazione, il carisma siamo chiamati a donarlo agli altri.

Proprio a noi Orionini Papa Francesco aveva già raccomandato di essere “discepoli missionari” e “pastori che si lasciano pascolare. Non pastori che sono autonomi o che possono essere assimilati a capi di ONG. La immagine di Gesù buon Pastore vi metta in questo tono di vita spirituale, di essere conduttori condotti, dove, in ultima istanza, è il buon Pastore che dà l’impronta. È il buon Pastore che in un certo modo determina il cammino che dovremo seguire” (Al Capitolo).

Il primo nostro compito e servizio è la santità, l'essere di Dio. Consiste nell’identificarci con Gesù, che ha messo al centro la volontà del Padre e le persone, prendendo l’”odore delle pecore”,[11] usando misericordia e tenerezza, contemplando tutti e tutto con il suo sguardo benevolente e rispettoso.

Don Orione ci voleva non solo “centrati" ma “fissati” sull’essenziale: "Già altre volte vi ho detto che per amare veramente il Signore, la Madonna, le cose sante, la Chiesa, bisogna farsene quasi una fissazione... Noi dobbiamo essere fissati unicamente in quello che riguarda l'amore e la gloria di Dio e della Vergine Santissima e la salvezza delle anime...  Qual era lo stato della Madonna verso Gesù? Voi lo sapete: non viveva altro che per Lui! Non parlava che di Lui e per Lui, soffriva e pregava volentieri per Lui; direi, pensava quello che pensava Gesù - se gli fosse stato possibile - tanto il suo amore desiderava essere vicino in sentimenti, pensieri e affetti a quello di Gesù... vivere all'unisono, in tutto, con Gesù".[12]

 

  1. Religiosi che hanno la loro autorevolezza nell’autenticità.

La nostra credibilità è legata alla corrispondenza delle parole e dei gesti con la verità della vita. Dall’autenticità viene l’autorevolezza, dall’autorevolezza viene la parresìa e la gioia dell’evangelizzazione, “non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desidera­bile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma «per attrazione»” (EG 14).

Papa Francesco denuncia spesso e chiama per nome le più comuni espressioni della “mondanità spirituale”, che “consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale”.

Troviamo tutto un elenco di espressioni di mondanità spirituale ai n.93-97 di Evangelii gaudium: “fascino dello gnosticismo della fede rinchiusa nell’immanenza della propria ragione e sentimenti”, “neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico”, “elitarismo narcisista e autoritario”, “cura del prestigio della Chiesa senza reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio”, “fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche”, “funzionalismo manageriale”, “autocompiacimento egocentrico”, ”maestri spirituali ed esperti di pastorale del si dovrebbe fare che danno istruzioni rimanendo all’esterno”.

Ognuno di noi deve stare attento a “non conformarsi alla mentalità di questo secolo” (Rm 12,2) e a custodire la propria trasparenza interiore, scrostandosi di dosso le “mondanità” a cui è più soggetto, per essere se stesso, cioè più di Dio.

Parlando direttamente a noi Orionini, Papa Bergoglio ha indicato in particolare: “La vostra carità è segnata, deve essere segnata, dalla povertà. Vivete giorno per giorno della Provvidenza… Non ingrossate le casse, perché, nel fondo, quando ingrossiamo le casse, mettiamo la nostra speranza lì. E se voi mettete la speranza lì, perdete la cosa più genuina che è la speranza nella Provvidenza di Dio. È la cosa più genuina che vi ha dato il Fondatore”. In questo modo, ha aggiunto, “sono sicuro che la Congregazione rifiorirà di nuove vocazioni e avrete quella gioia che, fin dalla fondazione, vi portava ad esclamare ad ogni momento Deo gratias” (Al Capitolo).

Papa Francesco teme la mondanità religiosa più di ogni altro male della Chiesa: “Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali! Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri”. È quanto sta facendo. È una caratteristica della Chiesa promossa da Papa Francesco.

 

  1. Religiosi che si esprimono con profonda umanità.

Siamo invitati a combattere con decisione la cultura dello scarto che può entrare anche nella nostra vita, riconoscendo e difendendo i beni fondamentali di ogni persona; siamo chiamati  ad avere il coraggio di esprimere tenerezza, soprattutto verso i più deboli e svantaggiati.

Papa Francesco aveva già spiegato a noi Orionini, che stavamo per celebrare il Capitolo del “Solo la carità salverà il mondo”, come reagire alla cultura dello scarto: “Voi sapete che state in questo sistema mondano, paganizzato: ci sono quelli che ci stanno (caben) e quelli che non ci stanno (no caben); quelli che non ci stanno nel sistema… sono di troppo (sobran), e quelli che sono di troppo sono di scarto. Queste sono le frontiere esistenziali. Lì dovete andare voi. Non con i soddisfatti, con le persone ben sistemate, con quelli a cui non manca niente. No, alle frontiere esistenziali. Mi è piaciuto molto che una suora della vostra Congregazione insistesse tanto che le postulanti, prima di entrare al noviziato, passassero un lungo tempo nei Cottolengo. Lì sta la frontiera esistenziale più concreta del vostro carisma. Ciò significa perdere tempo per il ritardato mentale, per l'infermo, ed il terminale; perdere il tempo, consumare il tempo con loro, perché sono la carne di Gesù”.

Anche noi religiosi dobbiamo riconoscere i nostri peccati e limiti umani, senza pretendere di avere sempre le risposte per tutto e per tutti, ma piuttosto ricercare pazientemente la verità e il bene insieme ai fratelli. Papa Francesco parla di “rivoluzione della tenerezza” (EG 88), di “tenerezza combattiva” (EG 85), di “tenerezza eucaristica”.

“Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri... che accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza” (EG 270).

 

  1. CONVERSIONE DELLE RELAZIONI
  1. Religiosi che sanno esprimersi in modo semplice, diretto, comprensibile

Sentiamo l’importanza di usare un linguaggio attuale; di ascoltare molto per imparare le parole che gli altri possono capire. Dobbiamo avere cura della comunicazione e della sua pedagogia, cercando e trovando parole di senso, che toccano il cuore delle persone perché sono vicine alla loro vita.

Papa Francesco è un comunicatore efficace e popolare non perché studia o usa le tecniche comunicative, ma perché ha un cuore e un’esperienza comune con la gente a cui si rivolge oggi “urbi et orbi”. La sua comunicazione è frutto di comunanza di vita,  di simpatia pastorale, del contatto e dell’ascolto vissuti per lunghi anni come sacerdote, Vescovo e ora Papa. È proprio vero: quando “il pastore conosce le sue pecore una per una… le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce” (cfr Gv 10, 1-16).

Al riguardo, mi viene alla mente un ricordo di Don Orione. “Una volta predicavo un quaresimale a Sale, dove c’era un Arciprete che ci teneva ci fossero molte persone. Una sera parecchi buoni Sacerdoti, stavano riuniti attorno un tavolo, con una buona bottiglia davanti (eh! così! poveri Sacerdoti) e stavano discorrendo tra loro. Essi credevano che io dormissi, perché avevo confessato, predicato, ero proprio stanco, e si dicevano: Chissà perché quello lì che non ha studiato, attira la gente più di noi, che abbiamo tanto di laurea in teologia? Io che non dormivo, ho aperto la porta ed ho detto: Ve lo dico io il perché io sono povero, ho patito la fame, il freddo, la fatica; voi invece siete signori. Se anche voi aveste patito questo, trovereste quelle certe parole che fanno del bene: il popolo capisce che sentiamo come lui, che come lui soffriamo, il popolo sente lo spirito di Nostro Signore”.[13]

La comunicazione pastorale è frutto di comunanza di vita.

Il Papa dedica alla comunicazione della Parola di Dio tutto il Capitolo terzo (110-175) della Evangelii gaudium, con particolare attenzione all’omelia (135-144) e alla predicazione (145-159). Dice che “l’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un pastore con il suo popolo” (EG 135) di parrocchia o di scuola o di cottolengo che sia.

È un orientamento di conversione importante per noi Orionini, anche, e direi soprattutto, per quelli che dicono “io non sono fatto predicare”, perché più impegnati nelle attività pratiche, vicini alla gente. La vicinanza alla vita comune della gente è una opportunità e non una difficoltà per la predicazione che deve avere il tono e i contenuti della “conversazione di una madre”, come dice il Papa, espressa nella “vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti. Anche nei casi in cui l’omelia risulti un po’ noiosa, se si percepisce questo spirito materno-ecclesiale, sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli” (EG 140).  

Ad altro tipo di predicatori, Francesco ricorda invece che “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione” (EG 138).

 

  1. Religiosi che camminano con i fratelli

Come Gesù con i discepoli, camminiamo sulla strada con i fratelli, specialmente quelli delle periferie esistenziali, i “desamparados con termine spagnolo divenuto caro anche a Don Orione. È un punto qualificante della Chiesa che Francesco sta promuovendo. È un punto qualificante del carisma orionino cui convertirci decisamente.

 “L'ambito in cui voi dovete lavorare è la strada. Dio vi vuole callejeros, di strada, nella strada”, ha detto proprio a noi questo Papa. “San Pio X inviò Don Orione fuori Porta San Giovanni, nella strada, non nella sacrestia. Per favore, che Dio vi liberi dal… contemplarvi l'ombelico. No, nella strada. Il luogo, l'ambito è la strada, la strada nel senso più simbolico della parola, cioè, dove si giocano le periferie della vita”.[14]
“Nella strada” significa una collocazione ambientale e ancor più interiore.
A noi Orionini risuona il ben noto “fuori di sacrestia”.[15]

Come dobbiamo essere pastori “nella strada”? Ricorrendo all’immagine del buon pastore, Francesco risponde:

  • “A volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo” (EG 31). Papa Francesco osserva che “molti operatori pastorali sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni”. Non si deve avere paura di stare davanti, con audacia e santa intraprendenza; non si deve “soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri” (EG 79).
  • “Altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa” (EG 31). Ciò farà bene alla gente e al pastore. Per non cadere nell’“accidia pastorale”, “egoista” e “paralizzante” (EG 81), bisogna non perdere “il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale che porta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la tabella di marcia che la marcia stessa” (EG 82). Si vivrebbe “una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadro­nisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio» [Georges Bernanos]” (EG 83).
  • “E in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade” (EG 31).

Con Don Orione e con il Papa di oggi, noi Orionini siamo chiamati a “scoprire e trasmettere la mistica di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio” (EG 87).[16]

Tutti ammiriamo in Papa Francesco la sensibilità alla dimensione personale delle relazioni: offre il caffè alle guardie, porta la sedia a un vigile, dona il panettone agli operai, telefona alle persone più diverse, ecc. Le nostre attività sia caritative che pastorali, a volte sono bene strutturate e istituzionalizzate; non dovremmo però perdere i rapporti personali e i gesti di carità personali e diretti.

 

  1. Religiosi che cercano la volontà di Dio insieme ai fratelli

È indispensabile “ascoltare quello che il Signore vuole dirci nella sua Parola, per lasciarci trasformare dal suo Spirito. È ciò che chiamiamo lectio divina(EG 152).

Siamo immersi in un mondo di molteplicità e confusione di idee e di molte chiacchiere. Occorre praticare l’”esercizio del discernimento evangelico, nel quale si cerca di riconoscere – alla luce dello Spirito – quell’”appello, che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica” (EG 154).

“La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi più opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri”.[17]

È un processo che chiede pazienza e tempo, ascolto e dialogo, libertà interiore, spirito di fede e coraggio di assumere decisioni secondo la propria responsabilità.

Papa Francesco lo sta attuando nella vita della Chiesa, promuovendo dinamismi e strutture per la partecipazione e la consultazione,[18] con particolare attenzione alla comunione con i laici, che “sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio” (EG 102), e all’”indispensabile apporto della donna” (EG 103). Per far questo ci sono da superare sentimenti e forme sempre risorgenti di clericalismo e di elitarismo, ricordando che “nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri” (EG 104).[19]

Il religioso è “un contemplativo della Parola e anche un contemplativo del popolo”, “per saper leggere negli avvenimenti il messaggio di Dio”, “ciò che il Signore ha da dire in questa circostanza” (EG 154).

La ricerca della volontà di Dio implica sempre una dimensione comunitaria, collegiale. Noi religiosi abbiamo dinamiche collaudate di discernimento comunitario e di obbedienza,[20] ma abbiamo bisogno di una conversione pratica, ricordando che “nella vita cristiana non si fa mai molto se non quando si fa molto la volontà di Dio[21] e che “Figli della Divina Provvidenza significa figli dell’obbedienza”.[22]

 

  1. CONVERSIONE DELLE PROSPETTIVE E DELLO STILE DELLA MISSIONE
  1. Religiosi “profetici”

Nell’insieme dei nostri atteggiamenti e delle nostre scelte siamo chiamati a cogliere e far cogliere i segni che invitano al cambiamento, ci è chiesto di esprimere profezia, visione di futuro.

Papa Francesco, religioso gesuita, apprezza l’identità e il ruolo profetico della vita religiosa. “Nella Chiesa i religiosi sono chiamati in particolare ad essere profeti che testimoniano come Gesù è vissuto su questa terra, e che annunciano come il Regno di Dio sarà nella sua perfezione. Mai un religioso deve rinunciare alla profezia… Pensiamo a ciò che hanno fatto tanti grandi santi monaci, religiosi e religiose, sin da Sant’Antonio abate. Essere profeti a volte può significare fare ruido, non so come dire… La profezia fa rumore. Ma in realtà il suo carisma è quello di essere lievito: la profezia annuncia lo spirito del Vangelo”.[23]
Nell’incontro con i Superiori generali Papa Francesco ha ripreso questo tema ed ha esortato ad “essere profeti e non giocare a esserlo”.

Tante indicazioni di Papa Francesco sono riassumibili nell’“uscire e far uscire” in un vitale cammino sulle strade aperte del Vangelo, in uno stato permanente di missione, liberandoci da ogni forma di rigidità istituzionale e di autoreferenzialità, “per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” (EG 25).

Ai religiosi è chiesta una specifica profezia: vivere e testimoniare in modo più visibile, con le scelte concrete, il signum fraternitatis che ci unisce gli uni gli altri, superando le tentazioni di introversione individualistica “verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo” (EG 87). La vita fraterna è una “primizia” ed un’eloquente “profezia” del cammino del mondo verso il Regno di Dio di cui la Chiesa ha bisogno.

L’altra importante profezia dei religiosi è quella del servitium caritatis.[24] Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo” (EG 88). Non possono bastare “relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando” (EG 88).

Noi Orionini dobbiamo distinguerci per una intraprendente e fraterna fantasia della carità per andare incontro ai fratelli in necessità e sprovvisti di provvidenze umane, “facendo qualcosa” nel nome della Divina Provvidenza, con opere di carità snelle, duttili e significative, alla testa dei tempi.

 

  1. Religiosi che vivono la carità verso i poveri e diffondono la cultura dell’incontro.

Siamo invitati a promuovere e testimoniare la “cultura dell’incontro” come stile di vita e di missione, con gesti di  prossimità specialmente verso gli ultimi, i deboli, i malati che sono in mezzo a noi la carne di Cristo.[25]   

Rivolgendosi a noi Orionini, nel 2009, il card. Bergoglio ricordò che “la frontiera esistenziale di Dio è il Verbo venuto nella carne, è la carne del Verbo. È  questo che ci salva da ogni eresia, dalla gnosi, dalle ideologie, ecc. Cercate la carne di Cristo lì. Andate alle frontiere esistenziali con coraggio e lì vi perderete. State sicuri che i giornali non vanno a parlare di voi. Quello che voi fate, per esempio nei Cottolengo, non fa notizia; quello che fate con i bambini di strada non fa notizia, non interessa al mondo, perché questo è materiale di scarto. Sono le frontiere esistenziali. Lasciatevi condurre dal buon Pastore verso questa frontiera esistenziale per esprimere l'amore e la carità”.

Per noi Orionini è molto importante sentire ribadito dal Papa a tutta la Chiesa che “toccare la carne del Verbo”, quelli che sono “i rottami della società”, come diceva Don Orione, “lo scarto della società, le periferie esistenziali”, come dice Francesco, è in se stessa azione pastorale ed evangelizzazione.

Don Orione ci ha trasmesso la coscienza che quando compiamo uno dei tanti gesti o uffici nelle opere di carità, noi facciamo opera di evangelizzazione, perché “la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori di amore verso Dio”. Nella comunicazione popolare, mi capita sovente di presentare due immagini del Fondatore - “Dobbiamo essere preti di stola e di lavoro” e “accanto ad un’opera di culto sorga un’opera di carità” – che bene esprimono il dogma orionino dell’unione di evangelizzazione e ministero della carità nella nostra missione.

“Dal cuore del Vangelo – scrive il Papa - riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice” (EG 178). Il servizio della carità è parte integrante della vita della Chiesa. Infatti, «L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro» (Deus caritas est, 25).

Non mi dilungo su questa linea della Chiesa di Papa Francesco perché è quella più “orionina”, quella che ci identifica.[26]

 

  1. Religiosi gioiosi, portatori di speranza.

Tutto il mondo è stupito da questo Papa contento, fiducioso, sereno, sorridente, con una spontaneità gioiosa che viene dal profondo. Tutti avvertono che il suo non è un “sorriso da assistente di volo”.[27] E lui spiega: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono libera­ti dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG 1).

Primo passo per rinnovare la Chiesa e la sua missione nel mondo d’oggi è rinnovare nei cristiani la gioia del Vangelo, l’Evangelii gaudium. Solo così può iniziare “una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (EG 1).

Papa Francesco sta invitando tutti ad andare alle sorgenti della gioia cristiana: “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore”. In particolare, “un evangelizzatore non dovrebbe avere una faccia da funerale”.[28]

E Papa Francesco cita la Evangelii nuntiandi di Paolo VI: “Possa il mondo del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona No­vella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo” (EG 10).

Anche noi Orionini dobbiamo camminare nella Chiesa di Papa Francesco ripartendo da qui, dalla gioia? La gioia nostra, di discepoli missionari della carità di Dio, nasce dall’incontro con Cristo: “Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG 1).

La gioia è un frutto ed è una grazia da chiedere.

Mi ha impressionato un’espressione autobiografica di Don Orione letta ancora in gioventù: “Signore, non son degno, ma ho bisogno della vostra gioia, una gioia casta, una gioia che rapisce, che ci trasporta nella pace, al di sopra di noi stessi e di tutte le cose: immensa gioia! L’anima ha deciso di vincere tutto per ascendere: è la gioia dell’umiltà”. Chissà cosa passava nell’anima di Don Orione! Quante volte nella vita ho fatto anch’io questa preghiera: Signore, ho bisogno della tua gioia più di ogni altra cosa.

La gioia del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà mai togliere (cfr Gv 16,22). Il resto viene. “Le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria!”.

 

Cari Confratelli, il discorso della mia lettera si conclude qui. O meglio, si apre.

Papa Francesco non indica la strada della Chiesa, la sta percorrendo. E noi cosa facciamo? Vogliamo veramente seguire il pastore, anche su strade nuove, o ci accontentiamo dell’applauso che ci lascia dove ci troviamo?

C’è tra noi chi invita alla prudenza: “meglio aspettare”; “l’entusiasmo è grande, ma fino a quando dura?”. C’è il rischio di minimizzare la novità di Francesco; di non vedere che il Vangelo ha incominciato una nuova corsa attraverso il mondo e di rimanere ai margini, in attesa che le cose siano più chiare, che arrivino le riforme promesse, che si vedano i frutti, che si manifestino le prevedibili opposizioni.

Là, nella sala del Sinodo, il 29 novembre scorso, un senso di gioia più che un senso di dovere mi ha portato a chiedermi: “E io cosa devo fare? Come devo cambiare? La Congregazione orionina come può rispondere a Dio che ci ha inviato questo Papa, Francesco?”.

La risposta non è certo in queste pagine che pure ho cercato di scrivere con cura.

Prima ancora di elaborare una risposta ben pensata e organizzata, in preghiera, ho inteso una voce dal Cielo suggerire imperiosamente: «Molto! Devi cambiare molto».
Poi ho visto un volto nel Cielo, con due grandi occhi e il sorriso perenne, che aggiungeva: “Io ho votato per lui, in Cielo, nel giorno del mio dies natalis. Lo sapevo. Conosco bene l’America Latina e sapevo chi vi arrivava da laggiù. Adesso però svegliatevi voi”.

 

 

NOTIZIE DI FAMIGLIA

 

Il quadrimestre settembre – dicembre del 2013 è stato caratterizzato da importanti avvenimenti congregazionali. Primo fra tutti l’Assemblea generale di verifica, tenuta ad Aparecida (Brasile) dal 13 al 20 ottobre 2013. Si è svolta in un buon clima fraterno, con scopo e metodologia precisi: verificare e rilanciare il cammino indicato dal Capitolo generale del 2010. Il Documento prodotto dall’Assemblea è piuttosto semplice e propone alcune nuove indicazioni pratiche per dare continuità al cammino di rinnovamento promosso dal Capitolo. Come sempre, in queste riunioni di Congregazione sono importanti alcuni sentimenti e orientamenti condivisi che poi maturano successivi cammini e decisioni. Al riguardo, abbiamo fatto una risonanza alla fine dell’Assemblea della quale ho annotato alcuni punti.

  • È da curare meglio il vitale collegamento alle fonti della carità dalle quali discende poi tutto il dinamismo di Dio in noi, nelle relazioni fraterne, nei ministeri della carità, nella fecondità vocazionale e nelle nuove frontiere della testimonianza.
  • C’è nostalgia e desiderio di recupero di relazioni più dirette tra religiosi e persone cui siamo destinati, tra religiosi e opere, reagendo all’inflazione istituzionale e virtuale delle relazioni.
  • Il buon clima di famiglia, che generalmente sostiene la vita della Congregazione, deve maturare una più concreta correzione e promozione fraterna.
  • C’è fiducia di fronte alla notevole vitalità di ripartenze carismatiche, con nuove risposte alle nuove sfide e necessità poste dalla società e dalla cultura di oggi; queste hanno per protagonisti soprattutto i laici con l’appoggio e l’animazione dei religiosi.
  • Nei contesti sociali in cui viviamo, caratterizzati da una continua evoluzione, occorre privilegiare opere di carità più snelle, più duttili e significative. Alle istituzioni “fari di fede e di civiltà” occorre sempre più affiancare opere e relazioni “fermento” e “sale” nella massa.
  • Tanti elementi ci dicono che religiosi, comunità e Congregazione vivono una grande fragilità; veramente, portiamo un grande tesoro in vasi di creta. È una fragilità da assumere con compassione spirituale e pratica, come una occasione di nuova evangelizzazione della nostra vita e di aiuto fraterno.
  • Certamente dobbiamo concentrarci nella fedeltà (fare “meglio”) ma occorrerà impegnarci nella creatività (fare “nuovo”) perché il carisma è un investimento (il talento) e una energia rinnovabile (il fuoco). Per questo, la fedeltà al carisma ci chiede di concentrarci più sul discernimento che sull’adempimento, più sul progetto che sulla programmazione.

La Assemblea generale ha avuto un contorno di altri eventi di Famiglia Orionina molto importanti. A Montevideo, dall’8 al 10 ottobre, si è tenuta l’Assemblea generale del Movimento Laicale Orionino, la prima dopo il riconoscimento canonico come Associazione pubblica internazionale di fedeli laici, avuto il 20 novembre 2012. In essa è stato approvato un Regolamento pratico che integra quanto è già presente nello Statuto. L’assemblea era anche elettiva per cui è stato scelto il nuovo Coordinamento generale per il triennio 2013-2016: il signor Javier Rodriguez (Spagna) è stato confermato coordinatore generale; vice-coordinatrice è stata eletta Virginia Zalba (Argentina); Segreteria generale è stata riconfermata Armanda Sano (Italia), coadiuvata da Alejandro Bianco (Argentina), Giovanni Botteri (Italia) e Luigina Collico (Italia).

Il 13 ottobre, mentre ad Aparecida si riuniva l’Assemblea generale, venivano beatificati a Tarragona i due nostri martiri spagnoli Padre Ricardo Gil e Antonio Arrué Peirò, assieme ad un numeroso gruppo di eroici testimoni della fede in Spagna. Era presente una numerosa delegazione della nostra Congregazione, guidati dal postulatore Don Aurelio Fusi e dal superiore provinciale di Spagna e Venezuela, P. José Antonio Ruiz. A ricordo di questo importante evento, possono essere le parole di Papa Francesco che hanno fatto da apertura della cerimonia di beatificazione:  "dobbiamo sempre uscire da noi e aprirci a Cristo, non dobbiamo essere cristiani mediocri ed egoisti, dobbiamo essere battezzati fedeli e chiedere la intercessione dei martiri per essere cristiani concreti di fatti e non di parole".

Il 20 ottobre, ad Aparecida, a conclusione dell’Assemblea generale, c’è stata la celebrazione di inizio dell'Anno Missionario Orionino. Un evento di Famiglia con una eccezionale rappresentatività di categorie (FDP, PSMC, ISO, MLO) e di nazioni: circa 2000 pellegrini orionini provenienti dalle case del Brasile, 120 concelebranti, tra i quali i nostri vescovi Lazzaris, Mykycej, Uriona e Ahoua, tutto il Consiglio generale, i Superiori provinciali e i Delegati delle varie nazioni all’Assemblea generale. Erano presenti la superiora generale Suor Maria Mabel e un buon gruppo di PSMC, la Responsabile ISO del Brasile, il Coordinatore generale del MLO. A significare che il carisma orionino è diffuso nei vari popoli raggiunti dopo la partenza dei primi missionari nel 1913, ho consegnato al Brasile un prezioso reliquiario contenente il Sangue di Don Orione che peregrinerà nelle varie case e parrocchie. Simile reliquiario sarà consegnato alle principali nazioni in cui oggi è presente il carisma di Don Orione mediante i suoi figli e figlie.

Terminate le grandi riunioni, sono andato a visitare le nostre nuove missioni a Buritis e Porto Velho; il Sangue di Don Orione continua a scorrere con tanta vitalità tra quella gente e quei poveri.

Tra gli altri eventi più significativi merita una menzione il Sinodo orionino per l’Africa, che ha visto riuniti dall’8 al 10 settembre, a Bonoua, rappresentanti della Congregazione orionina provenienti da Costa d’Avorio, Togo, Burkina Faso, Kenya, Mozambico e Madagascar; ero presente anch’io, il consigliere generale, Don Eldo Musso,  i superiori provinciali Don Pierangelo Ondei, P. Aparecido Da Silva, P. Malcolm Dyer, P. Basile Aka. Scopo del Sinodo è stato guardare insieme (=sinodo) confrontando esperienze e orientamenti su alcuni temi pratici di inculturazione della vita religiosa e del nostro carisma in Africa, e anche studiare qualche forma di collaborazione stabile per favorire un cammino unitario e identificato della Congregazione in diverse nazioni di Africa  Madagascar”.

A Montebello e Tortona, dal 4 al 14 novembre, si è tenuto il corso di formazione al carisma per formatori orionini, tenuto a Montebello e Tortona dal 4 al 14 novembre. Sono emerse alcune Linee pratiche di formazione al carisma che il consigliere generale Pe. Freitas ha provveduto a diffondere.

Ricordo anche alcune mie visite di questi ultimi mesi che mi hanno dato modo di sperimentare la comunione e la vitalità della Congregazione: in Polonia, in occasione del 90° dell’inizio della Congregazione; in Venezuela, dove ho trovato una sorprendente vivacità orionina, pastorale e caritativa, pur tra tante difficoltà sociali; in Giordania, dove Don Orione parla arabo attraverso quei nostri cari Confratelli e i tanti Laici che hanno fatto proprio lo spirito di Don Orione.

 

            La nostra comunione di preghiera

Come sempre, invito alla preghiera per i nostri cari Defunti.
Il Signore ha chiamato a sé alcuni Confratelli particolarmente significativi nella vita della Congregazione: P. José Oscar Baldussi: per tanti anni formatore e padre spirituale in Argentina; Don Valentino Barbiero: una vocazione di Don Orione, prete umile tra gli umili; P. Luigi Carbonelli, generoso missionario in Argentina; Sac. Marian Kliś: professore, formatore, provinciale in Polonia; Don Ettore Conti, zelante padre e pastore d’anime; e i due giovani confratelli, Don Lorenzo Benzi, di 59 anni, missionario e formatore in Costa d’Avorio; P. Oscar Alcides Pezzarini, di 51 anni, una colonna fisica e pastorale in Argentina.

Preghiamo per altri defunti della nostra Famiglia: le Piccole Suore Missionarie della Carità: Sr. Maria Louiza, Sr. Maria Guidina, Sr. Maria Eletta, Sr. Maria Rosina e Sr. Maria Luisa; il papà di: Don Gaetano Ceravolo, di P. Kokou Fo Edem Paul Assidenou e di Pe. Ricardo Paganini; la mamma di Fratel Bruno Piccini (già morto); il fratello di Don Mario Ghio, di Don Fulvio Ferrari, di Pe. Geraldo Maiela e Pe. José Geraldo Da Silva, di Don Gino e Angelo Pasinato (già morti); la sorella di Don Giuseppe Vallauri, di Fr. Adelmo Masi (già morto).

Auguro buon servizio e invito a pregare per i nuovi superiori di comunità entrati in carica nelle Province di America Latina.

Preghiamo per i nostri Confratelli anziani; io li chiamo i “magnifici”, perché è veramente grande e degno di lode chi persevera nella vocazione e serve la Congregazione giungendo a veneranda età.

Ringraziamo e preghiamo il Signore per il dono di nuove vocazioni e per l’arrivo di nuovi fratelli in Congregazione: sono 45 i novizi sparsi nel mondo orionino. Auguriamo perseveranza nel cammino di Dio ai nuovi 37 professi, ai 23 diaconi e 9 sacerdoti del 2013.

Preghiamo per i nostri malati, per i quali è più difficile fare elenco, e per quanti stanno passando per limiti o momenti di prove spirituali o morali: la nostra comunione di affetto e l’aiuto fraterno possano dare loro aiuto per la salute e conforto al cuore.

Infine, all’inizio del nuovo anno 2014, su tutti voi, cari Confratelli, e su quanti abitano o frequentano le nostre case, le scuole, le parrocchie e le missioni, invoco la bella benedizione della liturgia del 1° gennaio: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).

          In Cristo e in Don Orione,

                                    Don Flavio Peloso FDP
                                      (superiore generale)

 


[1] Non è stato pubblicato il testo di quanto detto da Papa Francesco ai Superiori generali. Non c’erano giornalisti o cineprese, eccetto all’inizio. È stato autorizzato padre Antonio Spadaro, gesuita, a redigere un resoconto, rivisto da Papa Francesco, e pubblicato su La Civiltà Cattolica, Quaderno N°3925 del 4 gennaio 2014, p.3-17. Mi servo di appunti personali.

[2] E’ la famosa preghiera di Ausonio Franchi, ritoccata e voluta da Don Orione come preghiera caratteristica della nostra Congregazione; in “Comunità orionina in preghiera”, p. 37-39.

[3] Sono innumerevoli i passaggi in cui Don Orione ci illustra le esigenze filiali dell’amore al Papa. “Facciamoci un grande e dolce obbligo di praticare anche le minime raccomandazioni del Papa. In una parola, siate sempre e dovunque, o miei cari, siate figli devotissimi del Papa”; Scritti 52, 112. “Noi siamo tutti del Papa, dalla testa ai piedi; siamo del Papa di dentro e di fuori, con una totale adesione di mente e di cuore, di azione, di opere, di vita, a quelli che possono essere i desideri del Papa”; Parola VI, 192.

[4] Giornali e televisioni tempestarono l’opinione pubblica con interviste e statistiche per mostrare i tanti “no” alla morale del Papa e della Chiesa de quegli stessi giovani che lo osannavano.

[5] Corifeo, significa capocoro, guida della sinfonia; è il titolo ecumenico riconosciuto a Pietro anche dalla Chiesa greca.

[6] Da appunti dell’intervento di Bartolomeo Sorge alla Assemblea dell’USG del maggio 2013.

[7] Sarà citata EG. Ha un particolare valore per noi il videomessaggio del card. Jorge Bergoglio indirizzato al Capitolo provinciale tenutosi a Buenos Aires, nel novembre del 2009, in preparazione al Capitolo generale dell’anno seguente; fece alcune riflessioni “Solo la carità salverà il mondo”, anticipando alcuni orientamenti, ora diventati le grandi linee del suo pontificato. Citerò questo documento “Al Capitolo”.

[8] Papa Francesco, gesuita, ha particolare stima dei carismi di vita consacrata. Scrive: “Lo Spirito Santo arricchisce tutta la Chiesa che evangelizza anche con diversi carismi. Essi sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa. Quanto più un carisma volgerà il suo sguardo al cuore del Vangelo, tanto più il suo esercizio sarà ecclesiale” (EG 130).

[9] È il titolo del bel documento sulla vita consacrata nel terzo millennio (2002).

[10] In EG 8, avverte che “c’è un relativismo pratico ancora più pericoloso di quello dottrinale” che “consiste nell’agire come se Dio non esistesse, decidere come se i poveri non esistessero… Solo grazie all’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isola­ta e dall’autoreferenzialità”. Si veda la Circolare “Figli della fede”: Atti e comunicazioni 2012, n.239, p.187-202.

[11] Ascoltai per la prima volta questa espressione nell’omelia di Papa Francesco alla Messa del Crisma del Giovedì Santo del 2013; poi è divenuta ricorrente. Prende l’odore di pecore - spiega in EG 24 - chi “si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così odore di pecore e queste ascoltano la loro voce”.

[12] Sui passi di Don Orione, p.88. Cfr la Circolare La sola cosa necessaria. Identità e ruolo della nostra vita religiosa oggi: Atti e comunicazioni 2007, n.234, p.187-209. In quella Circolare del 28 dicembre 2007, citavo il Card. Bergoglio che contrapponeva il mettere al centro Gesù Cristo alla mondanità spirituale che consiste nel mettere al centro se stessi (p. 190, nota 8).

[13] Da una predica degli esercizi spirituali delle Piccole Suore Missionarie della Carità del 11 settembre 1919; sono appunti presi dal vivo e non ipsissima verba, ma credo che la sostanza sia chiara.

[14] In quel discorso Al Capitolo spiegò: “Una Congregazione che si chiude nelle sue cosette finisce come tutte le cosette chiuse, buttate via, con odore di muffa, inservibile, inferma. La strada più sicura verso l'infermità spirituale è vivere chiusi in cosette piccole. Una Congregazione che esce nella strada corre il pericolo di incidentarsi. Chiedete a Dio mille volte la grazia di essere una Congregazione incidentata e non una Congregazione inferma”.

[15] Lettera di Don Orione riportata in Sui passi, p. 274.

[16] “Oggi si può riscontrare in molti operatori pastorali, comprese persone consacrate, una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione, che porta a vivere i propri compiti come una mera appendice della vita, come se non facessero parte della propria identità”, “come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante” (EG 78).

[17] Così in Intervista a “La civiltà cattolica”.

[18] Papa Francesco, in una sua recente confidenza, ha detto: “Adesso sento molte persone che mi dicono: non si consulti troppo e decida. Credo invece che la consultazione sia molto importante”.

[19] A tale proposito Francesco osserva: “Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale « ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità»” (EG 104).

[20] In questo senso vanno valorizzate le riunioni di comunità (art.221, Norma 29); la meditazione (art.72) e lectio divina (CG 13 dec.3), la “periodica revisione comunitaria di vita” (art.77) che è uno dei contenuti delle riunioni comunitarie (art.29), e della giornata comunitaria (dec.11); la correzione/promozione fraterna “fatta con delicatezza e carità” (art.64), che il Capitolo 12° ha definito “atto di amore reciproco e momento provvidenziale per la crescita della comunione” (Doc.76) e che ha il suo senso ultimo nell’aiutarci reciprocamente a compiere la Volontà di Dio; il progetto comunitario sceglie alcune linee comuni di crescita nella risposta a Dio. Specifiche forme di discernimento sono previste anche per l’esercizio del governo locale, provinciale e generale.

[21] Scritti 55, 13.

[22] Cfr la Circolare “Sia fatta la tua volontà”. Figlio della Divina Provvidenza significa figlio dell’obbedienza : Atti e comunicazioni 2008, n.226, p.107-127.

[23] Così in Intervista a “La civiltà cattolica”.

[24] Confessio trinitatis, signum fraternitatis e servitium caritatis sono le tre dimensioni e compiti della vita consacrata esposte nell’Esortazione postsinodale Vita consecrata (1996).

[25] I numeri 197-201 di EG trattano del  “il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio”. “Questa opzione  – insegnava Benedetto XVI – «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà»” (EG 164). Cfr “Vedere e servire Cristo nell’uomo”: Atti e comunicazioni 2008, n.227, p.251-269.

[26] Si veda la Circolare “Resti ben determinato che la Piccola opera è per i poveri”: Atti e comunicazioni 2010, n.231, p. 3-11.

[27] È un’espressione detta da Francesco di certe suore incontrando le Clarisse di Assisi: “sorridono col sorriso di un’assistente di volo ma non con il sorriso della gioia che viene da dentro”.

[28] Perché tante facce da funerale? “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita”.

 

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