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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione e il Novecento, corso di lezioni, 2019-2020.

Persone, fatti, atteggiamenti e indicazioni. Il ventennio fascista corrispose con l'ultimo ventennio della vita di Don Orione, tempo di grande espansione della Congregazione in Italia e nel mondo.

DON ORIONE NEL VENTENNIO FASCISTA

Persone, fatti, atteggiamenti e indicazioni.

 

            Flavio Peloso

           Il fascismo è stato un movimento politico nato in Italia all'inizio del XX secolo ad opera del politico, giornalista e futuro dittatore Benito Mussolini. Si instaurò in Italia dalla marcia su Roma del 28 ottobre 1922 sino al voto di sfiducia del 25 luglio 1943.

Tutta l’ultima parte della vita di Don Orione – fino alla sua morte, il 12 marzo 1940[1] – fu contrassegnata dalla straordinaria espansione delle sue opere in Italia pur nella non facile convivenza con il regime fascista (1922-1943). I rapporti durante il fascismo, che pervadeva politica, cultura, vita sociale ed economica, furono vissuti tra condivisioni, opposizioni e adattamenti. E' una lezione che merita di essere conosciuta perché è esemplare anche per altri contesti sociopolitici e culturali pesantemente egemonici.[2]

Quasi a tesi del tema prendo l’affermazione di Don Giuseppe Zambarbieri: «Se nella sua prudenza [Don Orione] evitò atteggiamenti esteriori che avrebbero potuto compromettere la causa del bene e dei poveri, non fece mai mistero coi suoi ed ebbe spesso parole forti contro le violenze e le ingiustizie commesse da Mussolini contro la S. Sede e la Chiesa».[3]   

 

Le buone relazioni personali

È indispensabile distinguere le relazioni di Don Orione con il fascismo nella sfera del privato da quelle in ambito pubblico. Don Orione, come tanti altri (vescovi, preti, religiosi, laici cattolici) manteneva nel suo intimo una profonda riserva ideale contro il fascismo, ma al tempo stesso ne accettava il principio di autorità, le manifestazioni di rispetto della Chiesa e il patriottismo per quanto sfruttato dal regime anche a scopi propagandistici. Uno dei quadrunviri del fascismo, Cesare De Vecchi, in buona relazione con Don Orione, riconobbe: «L’ho apprezzato nelle solide virtù italiane e più strettamente piemontesi, nell’ardente amor di Patria, nella totale adesione al Regime fascista, nella devozione alla gloriosa dinastia di Savoia».[4]  

Si deve essere cauti per non valutare univocamente il pensare e l’agire di Don Orione. Egli si muoveva per la sua strada di fede, di carità e di impegno pastorale e dunque vanno evitate etichette del tipo ‘Don Orione antifascista’ o, viceversa ‘Don Orione fascista’.[5] Non fu né l’uno né l’altro o – meglio – fu contemporaneamente entrambe le cose, non per ambiguità ma perché il centro dei suoi interessi era altrove: il ministero sacerdotale, gli interessi della Chiesa, il servizio ai poveri. 

È rivelativa del suo atteggiamento una lettera al suo più stretto collaboratore, Don Carlo Sterpi, del 15 ottobre 1918: “Noi viviamo in tempi incerti, passionali e mutevoli assai: non intendo che le nostre opere di carità si attacchino agli uomini, né alle istituzioni politiche degli uomini e degli Stati, né alla politica dei tempi o degli uomini o ai partiti politici. Io rispetto tutti perché sono un cattolico, figlio della S. Chiesa Cattolica e devotissimo al Papa, e sento anche di molto amare la Patria, ma non voglio che il Governo entri nelle nostre opere di carità, perché le guasterebbe e snaturerebbe; abbiamo uno spirito totalmente diverso. Badate bene: non è affatto che io non voglia obbedire alle leggi del Governo, né mancare al debito ossequio alle Autorità Civili e politiche dello Stato, no, affatto! Voi sapete come tratto con le Autorità e come sempre mi sono prestato ove potei per compiacerle e aiutarle. Solo voglio essere liberissimo nel bene, mentre nulla tralascio per costituire d'amore e d'accordo con le autorità Ecclesiastiche e del Governo le nostre umili opere”.[6]

Anche durante il ventennio fascista Don Orione fu fedele alla sua scelta di coltivare anzitutto i rapporti personali con i singoli protagonisti. Ciò avvenne in particolare con il già citato De Vecchi di Val Cismon, poi con Ferruccio Lantini, Luigi Federzoni, nonché con quegli esponenti cattolici vicini al fascismo come Stefano Cavazzoni, Antonio Boggiano Pico.

Con Cesare De Vecchi di Val Cismon i contatti furono alquanto frequenti, facilitati forse anche dalle comuni origini piemontesi. De Vecchi espresse reiteratamente la sua ammirazione e il suo sostegno alle opere di Don Orione: «Seguo con molto interesse la sua cristiana e amorosa opera patriottica da Lei svolta lontano dalla Patria», gli scriveva il 16 aprile 1936, mentre De Vecchi era ministro dell’Educazione Nazionale e Don Orione si trovava in Argentina.[7]

Con Ferruccio Lantini, ministro delle Corporazioni dal 1936 al 1939 e presidente dell’Istituto nazionale fascista della Previdenza Sociale dal 1939 al 1943, Don Orione scambiò numerose lettere. Dal canto suo Lantini sostenne Don Orione e le sue opere e si appoggiò in vario modo a lui e ai suoi successori anche durante gli anni del secondo conflitto mondiale.[8] Gli orionini e Don Gaetano Piccinini si mossero poi per difendere Lantini al momento del suo arresto e del processo.[9]

Luigi Federzoni fu un’altra figura di spicco del ventennio in cordiale rapporto con Don Orione. Dopo la morte del Santo, parlando parlò di lui come di un «santo amico» e annunciando che avrebbe commentato sulla «Nuova Antologia» alcune pagine inedite di Don Orione.[10]

Il senatore Antonio Boggiano Pico fu per Don Orione amico, consigliere, avvocato, benefattore. Era tanta la fiducia riposta in lui, da essere nominato Presidente della Società Anonima Ligure, per la gestione dei beni immobili della Congregazione, con sede in Genova. Don Orione più volte raccontò che “L’avv. Boggiano Pico fu chiamato a Roma, perché volevano farlo ministro. Egli ha risposto che, se lo volevano, egli sarebbe entrato col suo bagaglio di idee fervidamente cattoliche. Gli venne risposto: ‘No, il bagaglio lo deve deporre’. Allora rispose: ‘Io me ne resto fuori”.[11] 

Il senatore Stefano Cavazzoni fu tra i fondatori del Partito Popolare Italiano. Venne scelto dopo la marcia su Roma, tra i popolari, come Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo Mussolini; rimase senatore per tutto il tempo del governo fascista, sempre su posizioni moderate e cattoliche. Amico, consigliere e benefattore di Don Orione, fondò l’associazione “Amici di Don Orione”.[12] 

Contò su Don Brizio Casciola, «data la sua intimità con Mussolini e l’ascendente che ha su di lui e su alcuni uomini del Governo», per i rapporti con il ministero della Pubblica Istruzione.[13]

Parecchie autorità del regime parteciparono alle manifestazioni e alle cerimonie ufficiali promosse da Don Orione, per feste, inaugurazione di case e di nuove iniziative. Basta sfogliare le annate del Bollettino della Congregazione per rendersi conto del clima amichevole instaurato. Per esempio, quando nel 1938 fu inaugurato a Roma l’istituto S. Filippo Neri erano presenti Lantini, Federzoni, Cavazzoni, Boggiano Pico, Montresor.[14]

Va detto che Don Orione usò questi suoi legami con libertà.  In una sua lettera del 28 marzo 1931, indirizzata al segretario federale del PNF di Alessandria, Natale Cerruti, egli prese le difese e perorò la causa di Ettore Gilardini, ostacolato per il suo passato politico. Don Orione ammise che il Gilardini era stato davvero sostenitore «dei movimenti demagogici di allora», ma ne mise in rilievo le doti e la non adesione formale al partito socialista.

Uno degli atti più sorprendenti e rilevanti di Don Orione durante il fascismo fu la lettera del 26 settembre 1933 diretta al ministro delle Finanze Guido Jung[15] con la quale egli incoraggiò a prendere in considerazione la proposta di politica economica dell’Hallesismo perché, come scrisse, può “offrire una soluzione alla crisi sempre incalzante” e “una parola di conforto e di pace all’umanità, oggi tanto dolorante e sfiduciata”.[16] Era un atto politicamente audace perché proponeva una internazionalizzazione dell’economia, giusta e solidale, e governata né dai potentati economici privati sovranazionali né da politiche nazionalistiche autoreferenziali. Non rispondeva certo all’ideologia del fascismo, ma fu la voce di un prete e di un cittadino che aveva a cuore il bene comune.

 

Le relazioni con Mussolini

Ci sono poche notizie di incontri di Don Orione con Mussolini. La “Gazzetta del Popolo” di Torino, riferì: “6 settembre [1924], notte. In questi giorni l’on. Mussolini si è intrattenuto con Don Luigi Orione, il notissimo filantropo e padre dei poveri e degli orfani, e gli ha affidato di creare, nel più breve tempo possibile, una colonia agricola italiana pro orfani nell’isola di Rodi, donandogli un milione e mezzo di lire per le spese. Il terreno è dato dall’Italica Gens e l’iniziativa ha pure l’appoggio del sovrano militare Ordine di Malta: Il Prof. Don Vittorio Gatti ha subito raggiunto Rodi onde intendersi con quelle autorità civili e militari”.[17]

Quando l’11 settembre 1926 l’anarchico Gino Lucetti lanciò una bomba a Roma contro l’auto che trasportava Mussolini a Palazzo Chigi e ci furono otto feriti, Don Orione intervenne con una dura denuncia in difesa della vita umana, senza peraltro parole di eccessiva esaltazione del Duce, come avvenne su gran parte della stampa. Similmente avvenne per il successivo attentato a Bologna, ad opera del quindicenne Anteo Zamboni. Per Don Orione l’attentato costituiva un «disonore» per l’Italia, «che tutti deploriamo», «fosse anche stato un uomo senza onore» la vittima. Coraggiosamente il prete di Tortona accosta a questo attentato quello contro Matteotti: “Noi, come cristiani, dobbiamo deplorare l’atto criminoso, come deploriamo quelli che hanno assassinato Matteotti, perché la vita è sacra”. E ringraziò la Provvidenza per aver evitato, con la salvezza di Mussolini, una possibile guerra civile in Italia: “Perché, se Mussolini fosse morto, non sapremmo quale potrebbe essere la giornata di domani… forse in stato di guerra civile, perché questo che attraversiamo, è momento di prove! Per cui dobbiamo pregare, perché il Signore voglia salvare il nostro paese da un salto mortale”.[18]

Don Orione scrisse al Duce in diverse circostanze.

Nel 1930, dopo il devastante terremoto dell'Irpinia e del Vulture scrisse un telegramma a Mussolini per dirgli: “Metto disposizione miei Istituti San Severino Marche e Fano pro orfani recente terremoto nulla chiedo che poter far loro da padre educandoli onesto vivere cristiano e civile Ossequi devotamente. Don Orione”.[19]

Altri interventi furono per sollecitare la soluzione di problemi concreti di scuole e istituzioni. Il 16 novembre 1931, gli scrisse per avere “la concessione in enfiteusi del locale ex Convento delle di monache, che è attiguo alla chiesa di S. Marcellino, in via Labicana, angolo via Merulana, fino ad ora adibito a magazzinaggio militare… Vorrei raccogliere raccogliervi quei figli del popolo che, fanciulli giovanetti ancora, sono vengono deferiti al tribunale speciale per un ripetuto furto, molte volte però occasionale poiché poi sovente vivono nell’ozio e nella miseria”.[20]

È noto che Don Orione si pose il problema di come favorire la Conciliazione tra Chiesa e Stato e intervenne con l’ormai nota lettera indirizzata a Mussolini, datata 22 settembre 1926. Dopo i riconoscimenti iniziali, «Iddio le ha messo in mano un potere che, forse, nessuno ebbe l’uguale in Italia, e Vostra Eccellenza ha fatto molto. Il cielo la conservi a compiere la provvidenziale missione che Le ha dato». Seguiva però l’esplicito invito a operare per porre fine all’«amaro e funesto dissidio che è tra la Chiesa e lo Stato», chiedendo al governo di «stendere nobilmente la mano al vinto», sicuro che la Chiesa si sarebbe dichiarata disponibile «ad un componimento».[21]

Quando si giunse alla Conciliazione, l’11 febbraio 1929; Don Orione fu contento, ma non esultò. “Ora si è sciolta la Questione Romana: ma non mi pare una saldatura che tenga. I principi del Fascismo sono gli stessi del Liberalismo; portano un’altra maschera; non è che il pensiero, la dottrina, si sia cambiata”.[22] Le difficoltà emersero ben presto, tanto che dovette intervenire Pio XI. “Voglio sperare che le proteste del Santo Padre abbiano ottenuto il suo scopo, che era di impedire il progetto di chiusura di tutte le istituzioni facenti capo all’Azione Cattolica”.[23]

 

 

Controllo e autocontrollo nella vita sociale

C’è una testimonianza di Mons. Franco Costa significativa del clima sociale e del conseguente atteggiamento di Don Orione in questo periodo: “Nel 1931, dopo lo scioglimento dell'Azione Cattolica, appena sacerdote, mi dedicai a gruppi di universitari cattolici sciolti, riunendo segretamente i giovani. Vi erano state bastona­ture ed arresti. Mia mamma disse a Don Orione di farmi smettere questo lavoro, che era proibito dall'autorità fascista. Egli mi chiamò e mi disse: «Va in giro tranquillamente, fa il tuo lavoro, sta tranquillo che nulla ti capiterà - ed aggiunse -, ma ricordati che Mussolini finirà nel sangue».[24]

Malgrado le buone relazioni personali con membri del fascismo, Don Orione accennò più volte di essere stato oggetto di pedinamenti, discriminazioni, piccole ‘vendette’ (per esempio, il mancato rinnovo di un permesso di viaggio gratuito sui treni), e così via.

La sorveglianza del regime nei confronti di Don Orione faceva parte di quella pratica ordinaria di controllare tutto e tutti, coinvolgendo anche i cittadini a farsi spie.[25] Per di più, era noto il suo non coinvolgimento ideologico e politico che già costituiva motivo di sospetto.

Del resto, anche dopo la Conciliazione e i fatti del 1931, Don Orione ribadì la netta differenza tra l’azione sociale e caritativa e la politica: «La nostra politica, lo ripeto, dev’essere la politica del Pater Noster. Stiamo nel puro campo religioso e non vogliamo, a qualunque costo, sconfinare».[26] In quel momento, ovviamente, il monito assumeva un preciso significato: quello di mantenere le distanze dalle forme più coinvolgenti di identificazione con il regime.

«Noi, nessuna politica: la nostra politica è il Pater Noster. Dicono che a Venezia si diceva: “Della Serenissima non se ne parla, né bene, né male, perché bene non se ne poteva parlare e parlarne male si correva pericolo di dover passare il ponte dei sospiri”. Ascoltate sempre e parlate mai. Prendete parte a quelle dimostrazioni che lo Stato ordina; mettete fuori le bandiere».[27]

Don Orione, a conoscenza del sistema di controllo attuato dal regime fascista, mise in guardia i suoi confratelli, dicendo di avere visto anche di circolari riservate. Invitò alla cautela addirittura con i preti, esistendo alcuni tra di loro che informavano il regime. Accennò persino a microfoni nascosti. Secondo i confratelli Don Orlandi e Don Piccardo, Don Orione stesso fu pedinato dalla questura in seguito alla lettera di protesta scritta a Mussolini dopo il suo discorso sui Patti Lateranensi[28] oppure durante la crisi del 1931.[29] Nel 1938, a chi gli chiedeva perché non possedesse più la tessera gratuita per viaggiare nei treni di terza classe, Don Orione rispose di aver «peccato contro l’Olimpo», alludendo al fatto che si era rifiutato di farsi paladino delle idee fasciste.[30]

 

Comportamento pubblico rispettoso e franco

Il comportamento di Don Orione nei confronti delle autorità fu deferente e corretto. Nell’archivio della Prefettura di Alessandria degli anni Trenta, Don Orione e le sue iniziative non risultano mai citati nelle relazioni sulle attività del clero preparate mensilmente dalle autorità di polizia. Ma il clero era generalmente allineato nel comportamento rispettoso verso il regime. Nell’aprile 1929, il Prefetto di Alessandria comunicava ai superiori di Roma che «In tutta la provincia sotto le direttive delle LL.EE. i Vescovi, tutto il clero ha svolto leale ed efficace opera di propaganda per il Plebiscito del 24 marzo u.s.[31] (…) In tale propaganda si è maggiormente distinto il Vescovo di Tortona che ha pubblicato nel giornale ‘Il Popolo’ una sua lettera pastorale, nonché il clero di quella diocesi che dal pulpito ed individualmente ha svolto opera a favore del Plebiscito e ha ufficialmente fatto parte dei comitati elettorali […]».[32].

In occasione delle leggi razziali del 1938,[33] la Questura locale registrò con moderata soddisfazione che «Nei riguardi del problema razziale, non si sono avute da parte del clero della provincia manifestazioni scritte o verbali né in favore, né contrarie. Anche la stampa cattolica edita nella provincia non ha pubblicato articoli riferentesi a tale problema. Pur tuttavia bisogna riconoscere che l’atteggiamento del clero in merito è molto riservato e prudente».[34]

La stessa Questura ribadì un mese dopo che «Nei riguardi della politica razziale del Governo Fascista non si sono avute manifestazioni ostili o comunque contrarie da parte di personalità ecclesiastiche…  però non si può negare che il comportamento del Clero stesso appaia a questo proposito riservato. Infatti, al problema razziale non risulta essere stato fatto accenno durante prediche e funzioni religiose né consta che il problema stesso sia stato particolarmente trattato in ambienti ecclesiastici».[35]

“Ricordo la gioia di Don Orione – scrive il suo segretario Don Giuseppe Zambarbieri - quando S. Em. il Card. Schuster pronunciò, all’inizio dell’Avvento Ambrosiano del 1938, il famoso discorso in cui condannava apertamente il razzismo definendolo eresia antiromana. Mi fece acquistare un gran numero di copie del giornale che riportava il discorso perché volle darne copia a tutti i suoi Sacerdoti”.[36]

Don Giovanni Venturelli ha testimoniato che “Nel maggio 1938 - alcuni giorni dopo la venu­ta di Hitler in Italia e del brindisi con Mussolini a Palazzo Venezia - al nuovo Istituto San Filippo in via Appia Nuova a Roma, durante il pranzo… alzando il bicchiere e gli occhi esclamò: «Altri hanno brindato a... ; io brindo alla carità di Cristo» e disse parole impressionanti e infuocate con riferimento alle idee hitleriane di sterminio degli infelici”.[37]

Un altro momento in cui si levò la voce libera e franca di Don Orione fu in seguito a un discorso tenuto da Mussolini alla Camera il 14 maggio 1929, nel quale il Duce aveva affermato che se la religione cristiana fosse rimasta in Palestina sarebbe diventata una delle tante sette del tempo e con ogni probabilità si sarebbe spenta da sola. Solo il trasferimento a Roma le aveva consegnato il suo carattere cattolico, universale.[38]

“Don Orione disse di aver mandato lettera di protesta, sì che, in seguito ad essa, fu pedinato”, ha testimoniato Don Giovanni Venturelli.[39]  Poi, in privato con i suoi sacerdoti, criticò gli stessi vescovi che nella circostanza avevano taciuto, dicendo che a leggere il testo del discorso del Duce gli veniva da piangere.

In una riunione del 4 agosto 1934 con i collaboratori, Don Orione invitò a «cercare che le relazioni siano sempre cordiali: non essere di quelli che strisciano. Non fare del fascismo fuori luogo». E raccontò: «La prima volta che mi sono presentato all’onorevole Parini, ho detto franco che io sono papista dalle unghie dei piedi fino alla punta dei capelli, ma che, nello stesso tempo, sentivo di avere il sangue italiano  al cento per cento, e dissi: ‘Son figlio di un padre che fu volontario e che si batté per otto anni nelle guerre dell’Indipendenza e che non sono diventato patriota dopo che Mussolini è al potere, ma che lo ero prima che lui nascesse’».[40]

Delle autorità fasciste certamente ebbe rispetto, non perché fascisti, ma perché autorità. Quando ebbe bisogno di ricorrere alle autorità per i suoi poveri lo fece, come lo avrebbe fatto con qualsiasi altra autorità. Ebbe amici e benefattori fascisti, ma non li ebbe perché fascisti, ma perché amici e benefattori dei poveri e fece loro un gran bene spirituale.

L’espressione “la nostra politica è la carità” indicava la convinzione pratica di Don Orione: la carità viene prima della politica e la politica deve essere finalizzata al bene delle persone. All’inaugurazione della cappella del Piccolo Cottolengo Genovese di Via Bosco, a Genova, confidò: “Un bel giorno ci fu chi mi disse: Lei, martedì potrà essere ricevuto dal Capo del Governo che ha tutte le migliori ed ottime disposizioni per impedire che i poveri del Piccolo Cottolengo vengano via da Quarto.[41] Io ho ringraziato quella persona, che si era interessata perché potessi essere ricevuto da Sua Eccellenza Mussolini e l’ho anche ringraziata dell’interessamento perché i nostri poveri non avessero da essere messi su di una strada; ma mi è parso, in quel giorno,  dopo che ebbi un po’ pregato, che quella non fosse la via del Signore … io non salirò certi scalini e non batterò certe porte se non sentirò proprio che quella è la volontà di Dio”.[42]  

Questo era Don Orione. Eppure un autorevole riconoscimento della sua opera fu fatto proprio dal Capo di Gabinetto del Governo Mussolini che in una relazione di commento delle manifestazioni alla morte del Santo, scrisse: “Si nota come attorno ad un siffatto apostolo siano venute opere solide di bene, mentre i concetti autoritativi, male eseguiti e non controllati o mal controllati, ne danno spettacoli tutt’altro che confortanti”.[43]

In una relazione del 22 marzo successivo “Circa la morte di Don Orione”, si parla Dell’ “imponente massa di popolazione” che accorse attorno alla sua bara e delle “ripetute pubblicazioni laudative”.  E notando che “per contro, l’Osservatore Romano siasi limitato, in morte di Don Orione, ad assai meno vistose pubblicazioni, nonché assai meno numerose”, il funzionario pubblico riferisce “Ciò perché, tale l’idea di parecchi dei detti ceti, Don Orione dava tutto per il beneficio del popolo e nulla o pressoché nulla, alla Chiesa”.

 

            Cinque orientamenti per una fedeltà dinamica

            A conclusione di queste note sull’incarnazione della carità cristiana di Don Orione nel contesto storico e politico del fascismo, trovo utile evidenziare cinque sue indicazioni sul rapporto tra l’amore alla Patria, intesa come entità vitale e non solo sociologica, e l’amore alla Chiesa, intesa come appartenenza cristiana. Tanto Chiesa quanto Patria erano da Don Orione scritte sempre con lettera maiuscola e riverenza, quasi considerandole espressioni della Paternità vivente di Dio. Se considerava anche l’amore alla Patria un “sacro amore”, non era per una retorica sentimentale ma per la visione di fede che mostrava nella Patria la sacralità della vita che viene da Dio ed è trasmessa e coltivata attraverso i Padri: genitori, famiglia, popolo di appartenenza.

            Il primo orientamento riguarda il valore civile e politico della fede cristiana. Don Orione ne era talmente convinto da affermare che “la prima opera di giustizia è dare Cristo al popolo”.

“Con Cristo tutto si eleva, tutto si nobilita: famiglia, amore di patria, ingegno, arti, scienze, industria, progresso, organizzazione sociale: senza Cristo tutto si abbassa, tutto si offusca, tutto si spezza: il lavoro, la civiltà, la libertà, la grandezza, la gloria del passato, tutto va distrutto, tutto muore.  Vogliamo portare Cristo al cuore degli umili e dei piccoli, del popolo e portare il popolo ad amare ognora più Cristo, la famiglia e la patria. Instaurare omnia in Christo: è necessario fare cristiano l'uomo e il popolo, è necessaria una restaurazione cristiana e sociale della umanità”.[44]

            “Quanto più al popolo manca la fede tanto gli si accresce una sete ardente di ricchezze e di piaceri, che talvolta diventa furore selvaggio. Il mondo civile è governato principalmente dal pensiero e dall'amore, e nessuna cosa ha tanta efficacia nel pensiero e nell'amore buono, quanto il Cristianesimo. Se c'è stato di cose che spaventa, più di quello del dominio di un tiranno, è ancora quello di un domani in cui le masse popolari camminassero prive di Dio”.[45]

 

            Il secondo orientamento riguarda il primato dell’universale cittadinanza celeste rispetto a quella particolare terrena, la superiorità dell’appartenenza alla Chiesa rispetto a quella delle Patrie terrene.

          “E' sempre bello e gradito cantare le lodi della propria terra, della bella nostra Italia che tenne per tanti secoli il primato nelle arti e nelle lettere, il primato soprattutto nel diritto, la nostra patria tanto bella, il paese del sole! Però quando voi, cari miei chierici, nelle vostre accademie, nelle feste che si faranno nelle nostre Case, nelle accademie dei nostri Collegi, se vi accadrà di dover parlare - e dovrete parlare perché il sangue non è acqua e l'amor di patria è uno dei più sacri amori degli uomini -, quando vi accadrà di dover parlare delle grandezze, delle glorie della nostra cara patria, fate sempre emergere che la più grande gloria e grandezza della nostra Italia è quella di essere il centro della Fede che ha sparso la civiltà, la vera civiltà, nel mondo. Sempre si deve mettere, prima di tutto, in grande rilievo perché la maggior gloria è quella di essere al centro del Cristianesimo e di accogliere la sede della Cattedra del Vicario di Cristo.

          Solamente per questo si può ancora oggi chiamare l'Italia nostra caput mundi![46] A ragione anche oggi si può chiamare caput mundi perché in Italia sta la Sede di Pietro, il centro della fede cattolica![47]  La più grande e prima potenza è la potenza morale che vale più di ogni altra potenza. E la più grande potenza morale è la Chiesa! E la più grande bellezza è la bellezza dello spirito!”.[48]

 

          Il terzo orientamento concerne la distinzione, reciprocità e primato del servire la Patria, cioè il popolo, rispetto al servire lo Stato e le sue forme politiche. “Altro è lo Stato, altro è la Patria. Alcune volte questa differenza si fa tanto palese, che è necessario contrariare lo Stato appunto perché si ama la Patria”.[49]

          In altra occasione ritorna sul medesimo concetto: “Altro è amare la Patria, e altro è far politica. La Patria è qualche cosa di più alto della politica!”.[50] E commentando con i suoi religiosi un famoso detto evangelico, così argomentava: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio” (Lc 20,25): vuol dire che Gesù Cristo ha insegnato a riconoscere i poteri della società. Date alle autorità di questa terra l’onore, il rispetto, l’ubbidienza, il riconoscimento, il tributo che loro spetta. Il tributo non è solo la moneta, ma tutto ciò a cui il potere civile ha diritto. Ma attenti bene! Non si è sempre obbligati ad obbedire a chi tiene in mano il potere politico. C’è qualche eccezione. Si deve obbedire in tutto fino a che non comanda cose contro coscienza. “Date a Dio quel che è di Dio”. Ciò significa che noi dobbiamo, con piena e razionale adesione di mente, di cuore, di sentimento, di disciplina e vita, riconoscere, ricevere questa autorità religiosa”.[51]

 

          Il quarto orientamento pone la distinzione, reciprocità e il primato del servire la persona, i cittadini, rispetto al servire la collettività, le strutture, l’ideologia. In altre parole, l’educazione e la promozione dell’uomo, in quanto singolo e in quanto società, specialmente se svantaggiato, devono essere l’obiettivo delle politiche di governo, da ritenersi relative e strumentali al bene delle persone e del popolo. “Altro è parlare, lodare, servire la patria educando i giovani e noi stessi all'amor di patria, - perché è la terra dove siamo nati, dove riposano le ossa dei nostri cari morti… - altro è fare politica. Diceva Don Bosco: la mia politica è quella del Pater noster. La nostra più grande politica è dare la vita nostra, fare olocausto di noi stessi, nelle opere di fede e della carità, a vantaggio e salvezza dei più piccoli, poveri, bisognosi, sventurati nostri fratelli”.[52]

 

            Infine, con il quinto orientamento, Don Orione, riferendosi alla missione specifica di religiosi e sacerdoti, dice esplicitamente che essi “non devono fare della politica: la politica non è da religiosi”,[53] nel senso di parteggiare e militare per l’una o l’altra visione o forma di gestione della cosa pubblica. La via di azione politica da privilegiare da parte dei suoi religiosi voleva fosse quella della carità; le opere politiche più consone ed efficaci sono le opere della carità. “Come ameremo noi la patria? Nessuno più di noi amerà la patria perché più grande amore di patria non c'è che abbracciando i poveri, ricoverando i poveri, evangelizzando i poveri, i piccoli! La patria si ama compiendo opere di carità, di misericordia![54]  La nostra politica è la carità grande e divina, che fa del bene a tutti”.[55]

            Queste parole non sono un invito all’intimismo religioso o all’assistenzialismo privo di orizzonte e di progetto sociale. Per rendersi conto di quanto le parole di Don Orione siano piene di verità e di concretezza anche “politica” occorre conoscere la sua vita, le sue tante azioni e relazioni che influirono sulla società, determinarono nuove mentalità, provocarono cambiamenti anche politici in favore del popolo. Tra le iniziative di Don Orione vi fu anche una lettera, diretta al ministro delle Finanze Guido Young, ben argomentata, per sostenere e incoraggiare una politica economica che può “offrire una soluzione alla crisi sempre incalzante” e “una parola di conforto e di pace all’umanità, oggi tanto dolorante e sfiduciata”.[56]

            Don Orione pensava ed agiva da sacerdote, da apostolo. E proprio a motivo della sua grande passione apostolica, egli fu anche assai concreto nell’impegno sociale, nella costruzione della “città”.

 


[1] Tre grandi fasi della vita di Don Orione: I. 1872-1893: tempo della formazione nel contesto sociale postunitario, francescano, salesiano, tortonese; II. 1893-1918: tempo della fondazione nel contesto vivace del movimento sociale cattolico; 1918-1940: tempo dell’espansione di Don Orione e della congregazione nel contesto del fascismo.

[2] Una prima ricostruzione è stata presentata da Giorgio Vecchio, Don Orione e la politica del suo tempo in Aa.Vv., San Luigi Orione: da Tortona al mondo. Atti del Convegno di studi, Tortona, 14-16 marzo 2003, ed. Vita e Pensiero, Milano, p.188-198.

[3] Archivio Don Orione, Roma [citato ADO], cart. Giuseppe Zambarbieri.

[4] Lettera 11 aprile 1940, ADO, cart. De Vecchi.

[5] Teniamo presente che, a distanza di tempo, “fascista” ha preso connotati ideologici e psicologici per cui è diventato sinonimo di prepotente, prevaricatore, illiberale, irrispettoso. Il fascismo è fenomeno complesso da conoscere.

[6] Scritti 13, 99.

[7] ADO, fasc. De Vecchi di Val Cismon. Cfr Flavio Peloso, Tracce del rapporto tra Don Orione e il Ministro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, “Messaggi di Don Orione”, 3/2012, n. 139, p.53-65.

[8] Lantini con un biglietto, datato ‘Santo Stefano 1943’, quindi in piena epoca di caccia nazifascista agli ebrei, affidava a don Piccinini una certa signora Ottolenghi, ebrea: «Soltanto che la cosa è di ora in ora più urgente. Questi sventurati sono cari amici nostri. Ci piange il cuore di vederli in quelle condizioni. Siamo certi che Voi farete tutto il possibile per metterli in condizioni di avere un poco di sollievo»; ADO, fasc. Lantini. Sull’aiuto della congregazione agli ebrei si veda G. Marchi – F. Peloso, Orionini in aiuto degli ebrei negli anni dello sterminio, “Messaggi di Don Orione” 35(2003) n.112, pp.75-106.

[9] ADO, fasc. Lantini. Cfr  L’On. Ferruccio Lantini comprese ed amò Don Orione, “La Piccola Opera della Divina Provvidenza, gennaio-febbraio 1959, 18-20.

[10] Lettera a Don Gaetano Piccinini del 25 febbraio 1943, in ADO, fasc. Federzoni. Alessandro Belano, “Ho incontrato Don Orione”. Luigi Federzoni, “La Madonna della Guardia, dicembre 2010, 28–31.

[11] Riunioni, 165; Parola del 14 ottobre 1931; IV, 471. Boggiano Pico, nel 1918, fu tra i fondatori del Partito Popolare Italiano, amico di Sturzo e De Gasperi. Nel giugno del 1924, Mussolini, che cercava adesioni al suo governo, nel momento critico successivo al delitto Matteotti, gli offrì il portafoglio della Marina mercantile, ma ne ricevette un rifiuto. Cfr Serafino Cavazza, Antonio Boggiano Pico, Edizioni Don Orione, Tortona, 1975; Michele Busi, Il senatore Antonio Boggiano Pico, Messaggi di Don Orione, 42 (2010), n. 133, 45–78.

[12] Franco Gualdoni, Il senatore Stefano Cavazzoni, amico e benefattore, in Volti e cuori della Divina Provvidenza. Don Orione e alcuni benefattori tra Milano e Genova, Tortona, 2010, 81–94; Giuseppe Zambarbieri, Don Orione lo chiamava il «nostro Senatore», “Don Orione”, maggio 1971, 11–14.

[13] Lettera al card. Gasparri, 23 settembre 1923, Scritti 48, 65-66. Cfr Don Brizio Casciola collaboratore del “San Giorgio”, Messaggi di Don Orione 39 (2007), n. 124, 61–80.

[14] Il nostro istituto romano ‘S. Filippo Neri’ inaugurato alla presenza degli eminentissimi cardinali Salotti e Boetto - L’intervento di S. E. Federzoni e del ministro Lantini, in «Piccola Opera della Divina Provvidenza», febbraio 1938.

[15] Guido Jung è stato un imprenditore e politico italiano, fondatore dell'IRI e ministro delle finanze nei governi Mussolini e Badoglio.

[17] “Gazzetta del Popolo”, di Torino, 7 settembre 1924, p.3. Di fatto, quell’istituzione a Rodi fu avviata nel 1925 e si chiuse nel 1949 in seguito alle mutate condizioni politiche; Luca Pignataro, La presenza orionina a Rodi, “Messaggi di Don Orione42 (2010), n. 133, 79-93.

[18] Discorso dell’11 settembre 1926; Parola III, 110.

[19] Telegramma del 31.10.1930; Archivio Centrale dello Stato, Archivi Fascisti, Ministero dell’Interno, Ufficio cifra, Telegramma 56032. Fu un terremoto di magnitudo 6,7 (X grado della Scala Mercalli) e si verificò il 23 luglio 1930. Colpì la Basilicata, la Campania e la Puglia, causò la morte di 1404 persone prevalentemente nelle province di Avellino e Potenza, interessando oltre 50 comuni di 7 province.

[20] Scritti 50, 43.

[21] Lettera del 22 settembre 1926, Scritti 50, 65. Il contesto di questa lettera è ricostruito da F. Peloso, Don Orione e la Conciliazione del 1929, Fedeltà alla Chiesa e alla Patria alla prova, “Messaggi di Don Orione”, 34/2002, n. 107, p.27-45; Idem, Don Orione & la Conciliazione, “Studi Cattolici”, Giugno 2001, p. 426-431. P. Minozzi, Padre Genocchi e la Conciliazione nel trentennio dei Patti Lateranensi, in «La Sveglia», agosto 1959. F. Margiotta Broglio, Italia e S. Sede dalla Grande Guerra alla Conciliazione. Aspetti politici e giuridici, Laterza, Bari 1966, pp. 107-110.

[22] Parola del 27 Ottobre 1930, a Roma - Sette Sale, IV, 378.

[23] Riunioni, p. 108.

[24] Positio, p. 635.

[25] Si veda il quadro – per certi versi - impressionante tracciato da M. Franzinelli, Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista, Mondadori, Milano 2001.

[26] Alla riunione dei sacerdoti del 27.8.1931, Riunioni 108.

[27] Riunione con i sacerdoti del 27 agosto 1931; Riunioni, p.107.

[28] Di questa lettera, ricordata più volte dai collaboratori di don Orione, non è stata al momento trovata traccia.

[29] Testimonianza di Luigi Piccardo in Positio, 564.

[30] Discorso del 18 aprile 1938, Parola VIII, 249. Cfr testimonianza di Don Luigi Piccardo in Positio, p. 564. C’è anche la testimonianza di don Luigi Orlandi, con una versione parzialmente diversa: don Orione sarebbe stato punito per essersi rifiutato di fare un giuramento di adesione al fascismo. In seguito a un primo sondaggio effettuato presso l’Archivio Centrale dello Stato, sono state reperite alcune lettere di don Orione al Ministro degli Interni, con cui si chiedeva il rinnovo della tessera ferroviaria (12 marzo 1928; 14 gennaio 1931). Esiste anche un appunto datato 19 gennaio 1930, favorevole alla concessione (ACS, SPD, Carteggio ordinario, b. 521913/1). Esiste poi una richiesta del Capo di Gabinetto del Ministero delle Comunicazioni, in data 8 agosto 1937, che chiede direttive riguardo a un’ulteriore richiesta di don Orione. In tal documento si precisa che il prete tortonese ebbe la tessera gratuita per gli anni dal 1928 al 1931 e che in seguito egli non fece più alcuna richiesta (ACS, Polizia politica, Fascicoli personali, b. 921, fasc. Orione don Luigi).

[31] I 400 deputati furono selezionati dal Gran consiglio del fascismo tra i designati da enti e da associazioni; la lista definitiva fu sottoposta ad approvazione tramite plebiscito. Gli elettori potevano votare o NO, per approvare o respingere in toto la lista dei deputati.

[32] Relazione del 5 aprile 1929, in Archivio di Stato di Alessandria, Fondo Gabinetto di Prefettura (II versamento), b. 349, fasc. Relazioni sull’atteggiamento tenuto dagli ecclesiastici in occasione del plebiscito del 1929. Ringrazio il dott. Andrea Villa per tutte le segnalazioni dell’archivio alessandrino.

[34] Relazione del 7 gennaio 1939, ibid. Su questi temi cfr ora G. Vecchio, Antisemitismo e coscienza cristiana, in Chiesa, cultura ed educazione in Italia tra le due guerre, a cura di L. Pazzaglia, La Scuola, Brescia, 2003, pp. 435-470.

[35] Relazione sul mese di gennaio 1939, 6 febbraio 1939, in Archivio di Stato di Alessandria, Fondo Questura, b. 1, fasc.:  Attività del clero. Relazioni mensili.

[36] ADO, cart. Giuseppe Zambarbieri.

[37] Sacra Congregatio Pro Causis Sanctorum, Beatificationis et canonizationis servi Dei Aloisii Orione, Positio super virtutibus, Postulazione della Piccola Opera del-la Divina Provvidenza, vol. I–III, Guerra, Roma, 1976, [citato Positio] p.1022.

[38] In Scritti e Discorsi di Benito Mussolini. Edizione definitiva. VII. Dal 1929 al 1931, Hoepli, Milano 1934, p. 34.

[39] Positio, p. 973. Don Orione si meravigliò con alcuni confratelli che tale discorso non avesse sollevato proteste pubbliche: «I 280 Vescovi d’Italia e il Papa hanno visto negare la divinità della Chiesa e sono stati zitti… In che terribile decadenza ci troviamo»; cart. Luigi Orlandi, ADO.

[40] Riunioni 148, 4 agosto 1934. Nel medesimo verbale di riunione si legge: “Per quello che riguarda i Segretari politici ed il contatto con le Autorità, Don Bosco diceva: ‘Dobbiamo entrare con la loro, per uscire con la nostra’. Cercare che le relazioni siano sempre cordiali: non essere di quelli che strisciano”.

[41] Era un altro Istituto che ospitava povere persone abbandonate.

[42] Parola del 29 gennaio 1929; III, 167.

[43] Relazione del Capo di Gabinetto (Mitrale), da Milano 14 marzo 1940; Archivio Centrale dello Stato, Archivi Fascisti, Ministero dell’Interno.

[44] Nel nome della Divina Provvidenza, p.101-102.

[45] Sui passi di Don Orione, p.237-238.

[46] Ben diverso era il significato dato nell’enfasi della propaganda fascista.

[47] Parola XI, p.6-7. Si tratta di un discorso tenuto da Don Orione il 4 luglio 1939, a due mesi dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Don Orione parla a cuore aperto ai suoi chierici e sacerdoti del “Paterno”, a Tortona. In un momento storico inquieto, animato da passioni politiche e nazionaliste che stavano per esplodere in violenza devastante.

[48] Parola XI, p.6-7. Si tratta di un discorso tenuto da Don Orione il 4 luglio 1939, a due mesi dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Don Orione parla a cuore aperto ai suoi chierici e sacerdoti del “Paterno”, a Tortona. In un momento storico inquieto, animato da passioni politiche e nazionaliste che stavano per esplodere in violenza devastante.

[49] Parola V, 354.

[50] A Tortona, il 5 marzo 1939 in Parola X, 111. Per illustrare come si possa amare la Patria autenticamente, senza necessariamente entrare nella politica dello Stato, esortava i suoi religiosi: “Noi non dobbiamo imbarazzarci e buttarci nella politica; dobbiamo lasciarla a chi tocca e stare nel puro campo religioso. Con ciò non vuol dire che non ci siano dei punti di contatto tra i due campi. Ma in genere tutti i preti politicanti finiscono col rompersi la testa e abbassare il loro alto, divino ministero; finiscono per darsi a passioni di partito, abbassarsi al livello comune e più in giù. La politica, i partiti, cambiano spesso: ora è su uno, ora un altro; sta su 10, 20, 50 anni e poi la ruota gira e chi era sopra sta sotto e chi era sotto sta sopra. La politica troppo spesso fa in modo che quello che 10, 20 anni fa era no, ora diventa si. La carità è superiore a qualsiasi partito e non è di nessun colore”.

[51] Parola X, 110.

[52] Parola XI, 6.

[53]Vedete questi capelli bianchi? In tanti anni vidi tanti cambiamenti, di cose e di uomini, anche tra i membri dell'ele­mento ecclesiastico, e capii che questo non è il mezzo migliore per attirare le anime!”; Parola XI.6.

[54] Parola di Don Orione XI, p.6-7. Don Orione aggiunge: “Leggete Silvio Pellico! Egli dice veramente quale è il vero amor di patria. E si trova nei doveri degli uomini. Sembra che quelle parole siano state scritte per i nostri tempi! Egli dice che bisogna guardarsi da chi grida: "Patria! Patria!" e poi non la onora la Patria con la vita cristiana e onesta e, domani, sarebbe magari pronto a darla in mano a gente disonesta!”.

[55] Sui passi, p.266.

[56] Lettera del 26 settembre 1933 al ministro delle finanze Guido Jung, in Scritti 50, 70.

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