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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Il Piccolo Cottolengo e la Lanterna di Genova
Autore: Flavio Peloso

Come è nata e si è diffusa la popolare definizione delle opere di carità?

“FARI DI FEDE E DI CIVILTÀ”

Espressione orionina ma non di Don Orione

 

Don Flavio Peloso

Nel mondo orionino è diventato usuale definire le opere di carità come “fari di fede e di civiltà”. L’espressione, come tale, non mi risulta sia di Don Orione. Senz’altro è nella sua visione e nella sua concezione delle opere di carità. Pertanto, definirei questa espressione “orionina ma non di Don Orione”.

Una fonte, anche se non diretta, è riconoscibile nella lettera di Don Orione a Don Adaglio, del 4 gennaio 1926, quando si stava avviando il Piccolo Cottolengo di Genova: “Altro che la lanterna, che sta sullo scoglio! Il Piccolo Cottolengo sarà un faro gigantesco, che spanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale e corporale anche oltre Genova e oltre l'Italia” (1).

C’è anche un altro passaggio in cui Don Orione ricorre alla simbologia del faro, quando scrive che “Nel grigiore della vita materiale, i Santuari sono dei fari che fanno strada alle anime in pericolo” (2)).

Sebbene non sia di Don Orione, la definizione “fari di fede e di civiltà” ha avuto una larga diffusione per il suo efficace valore iconico che ben rappresenta il carisma e il genio di Don Orione. Da dove viene?

Devo dire che senz’altro ho contribuito a diffonderla. Ho fatto una ricerca nel mio archivio personale e ho scoperto di averla usata già in una intervista in occasione del Convegno per il Progetto educativo-assistenziale del 2-5 giugno 1994, a Tortona. Dicevo che il Progetto educativo-assistenziale “favorirà sia un miglior servizio e sia il conseguimento del fine apostolico di tali opere, da Don Orione considerate fari di fede e di civiltà". E' attribuita come concetto e visione a Don Orione, ma non verbalmente.

La definizione delle opere di carità come “fari di fede e di civiltà” è una mia mia creazione? Probabilmente sì, in quanto espressione così connessa. Non saprei se qualcuno l’abbia usata prima; credo di no.

Comunque, non era ancora di comune dominio quando, nel 1996, fu edito il libro di formazione al carisma orionino Sui passi di Don Orione perché non vi appare. Non appare nemmeno nei vari studi e documenti elaborati in Congregazione nell’ultima decade del ‘900.

È presente nel testo di una mia conferenza di formazione permanente a laici e religiosi, tenuta a Genova - Camaldoli l’11 maggio 1996, sul tema del “Valore pedagogico ed apostolico del dolore”: “(Don Orione) ritiene le sue case di carità fari di fede e di carità... altro che la lanterna di Genova!" (3). Ricorre ancora nell’articolo Don Orione e l’ecumenismo, pubblicato su “Messaggi di Don Orione” (n.94, 1997, p.112), e nel successivo libro Don Orione, "un vero spirito ecumenico" (Dehoniane, Roma, 1997, p. 145). (4)

L’espressione “fari di fede e di civiltà” fu inclusa nel testo della Peroratio che preparai per il rito della canonizzazione e per il libretto della cerimonia in Piazza San Pietro del 16 maggio 2004; vi si legge: “Tra le opere più tipiche, fece sorgere i Piccoli Cottolengo, per i più sofferenti e abbandonati, che intese come nuovi pulpiti e fari di fede e di civiltà”. Il medesimo testo entrò poi nell'articolo del card. Saraiva Martins dal titolo Don Orione, lo stratega della carità (“L’Osservatore Romano” del 13 maggio 2004. p.6). La canonizzazione del 2004 certamente contribuì a universalizzare l’epiteto.

Nelle mie Circolari, tra il 2004 e il 2016, l’espressione ricorre più volte a partire dalla lettera “Quali opere di carità?” del 29 agosto 2005. Trattando della necessaria evoluzione nella gestione delle opere di carità, scrivevo: “E’ un cambiamento da realizzare affinché le opere siano fari, pulpiti, predica della carità anche nelle nuove situazioni e condizioni attuali”. E poi, parlando dell’esperienza di Don Orione: “Era la carità che trasformava i rapporti con i poveri e con quanti s’occupavano dei poveri e le sue case diventavano per questo fari di fede e di civiltà”.

Infine, la frase fu largamente divulgata con il Convegno internazionale di studi orionini del 20-22 giugno 2008, tenuto a Genova, la città della lanterna, del faro, del Piccolo Cottolengo; il titolo del Convegno fu “Fari di fede e di civiltà” con sottotitolo “Il servizio alla vita debole come educazione alla civiltà dell’amore”. Nella relazione in questo Convegno illustrai la dinamica insita nell’espressione “fari di fede e di civiltà”. (5)

Nel 2010, l’espressione apparve anche nel documento del XIII Capitolo generale, al numero 54: “Quali scelte operare affinché le nostre istituzioni crescano di qualità apostolica e carismatica, perché siano pulpiti e fari di fede e di civiltà? (Rm 12, 3-13; Cost. 116, 117; Norma 93)”; e al n.55: “Nel particolare momento storico si avverte la necessità che le nostre opere siano fari di fede e pulpiti di civiltà”.

Oggi, “fari di fede e di civiltà” è una delle più felici e ricorrenti qualifiche delle opere, soprattutto caritative, della Congregazione.

 

N O T E __________________________________________

1. Scritti 5, 241.

2. Parola del 15 aprile 1928; III, 141.

3. “Don Orione - e questo gli è caratteristico - valorizza e promuove anche il protagonismo spirituale e apostolico di chi soffre, dei poveri, di chi è in difficoltà e di quanti operano in loro favore. Essi rivelano verità profonde ed educano lo spirito. Ritiene le sue case di carità "fari di fede e di carità... altro che la lanterna di Genova!". La "luminosità" si sprigiona dalla relazione tra dolore e carità. Chiama queste istituzioni i "nuovi pulpiti" da cui parlare di Cristo e della Chiesa; "nuove cattedre di civiltà". I "maestri" sono i poveri, innanzitutto!”.

4. “A livello istituzionale la sua creazione ecumenica più importante sono i Piccoli Cottolengo e simili opere assistenziali sorte presso le grandi città. Intuendo le potenzialità evangelizzatrici ed unificatrici del dolore e della carità, li volle quali segno evangelico e culturale di nuovi rapporti religiosi e sociali, “fari di fede e di civiltà”.

5. Un passaggio della relazione: “La cultura della vita, nella prospettiva orionina radicata nella concretezza della carità cristiana, nasce non da considerazioni ideologiche ma dal quotidiano incontro con le varie espressioni dell’esistenza umana, soprattutto nelle sue condizioni di fragilità, constatando come queste stimolino la creatività e il consolidamento di valori veramente primi e di risposte pratiche sempre più umanizzanti. È per questo che, come ricorda il titolo del convegno, le istituzioni e attività di aiuto e promozione della vita debole sono “fari di fede e di civiltà”. Mentre raggiungono l’obiettivo primo di aiuto alla vita debole, esse costituiscono anche una risorsa e un aiuto alla società debole. E poi ancora riflettevo: “Ma c’è una sfida da vincere. Don Orione la riassumeva così: “Dobbiamo passare dalle opere di carità alla carità delle opere”. Il discorso è immediatamente chiaro, qui è il punto: la qualità di “charitas” (comunione di Dio) – che equivale alla qualità di “humanitas” - che riusciamo a immettere nelle istituzioni caritative. Solo a questa condizione le nostre opere di aiuto alla vita – personale, familiare e istituzionale – possono essere “fari di fede e di civiltà”.

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