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Messaggi Don Orione
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Autore: Michele Busi
Pubblicato in: MESSAGGI DI DON ORIONE, n. 100, 2000, p. 5-44.

Don Orione entrò in relazione con Sorella Maria e con la comunità dell'Eremo di Campello sul Clitunno intuendo il valore ecumenico dell'esperienza e cercando di favorirne la comunione ecclesiastica.

IL BEATO LUIGI ORIONE
E SORELLA MARIA DELL'EREMO DI CAMPELLO

Michele Busi

PARTE II  seguito della PARTE I

 

L'incontro con Don Orione: "Avanti, tranquilla, in Domino"

Passò l'estate e finalmente, nel mese di ottobre, precisamente il giorno 22, avvenne il tan­to sospirato incontro con don Orione a Tortona.

Maria gli parlò a lungo, elencandogli le difficoltà che incontrava, soprattutto quelle 'pratiche' come quella di scendere dall'eremo tutte le domeniche per andare a messa (per i sacerdoti vigeva ancora divieto di salire all'eremo).

Don Orione la rincuorò dicendo:

“Gli antichi eremiti non andavano alla messa, non ricevevano i sacramenti se non forse una o due volte all'anno. È vero che forse allora non vi era precetto, ma la chiesa è madre, è madre, è madre. Non vuole mai il nostro disagio. Si fa come si può”[1].

Interrogato su Buonaiuti, consigliò a Maria di tenere riservata l'amicizia. L'amico sco­mu­nicato va accolto, anche se dichiarato vitando, perché il fratello “si accoglie sempre, sempre”, “ma s'intende, figliuole, ciò tenete fra voi, nascosto, perché non ve ne venga danno”[2].

Tuttavia, don Orione confortò Maria con queste parole: “Vada avanti tranquilla e ferma nel suo cammino”.

Maria, trascorsi solo due giorni dall'incontro, sentì il bisogno di ringraziare il sacerdote per l'aiuto che aveva ricevuto.

In viaggio

il 24 ottobre 1927

Venerato D.Orione,

mi scusi queste righe.

Ieri sera, fin dopo l'Avemaria, ero presso quest'umile tomba e pregavo per Lei.

Io non saprei mai esprimere con le parole il bene che ho ricevuto avvicinandola. Ho visto attraverso Lei trasparente la bontà del Signore.

Che il Signore mi conceda di conservare nel cuore!

La mia mamma e la mia piccola compagna Immacolatella erano tutte commosse al mio ritorno da Tortona.

Oso ricordarle umilmente una parola di appoggio per il mio povero fratello, da mandarsi alla mamma. E spero che D. Brizio avrà scritto alla Sarfatti[3]...

Con fiducia illimitata nella bontà del Signore attraverso Lei, e in attesa di poterle scrivere dall'Eremo, Le chiedo benedizione, e un pensiero del suo cuore in Domino.

Dev.ma riconoscentissima

Sorella Maria[4]

 

Lo stesso giorno scrisse a sorella Amata una lettera in cui trapela la gioia per l'incontro con il sacerdote.

In viaggio nel giorno dell'Angelo Raffaele

24-10-27

Amata cara! Spero che Tu ti senta meglio, rinfrancata, disposta a moderazione in Domino, e ti trasmetto subito la benedizione del Santo[5]. Oh quanto sono commossa, quanto toccata nelle più intime fibre! Ho avvicinato il Santo!

Un telegr. Mi avvertiva di trovarmi a Tortona sabato 22; perciò abbiamo posposto la partenza da Pavia a stamani.

Andai a Tortona contenta che il Signore avesse disposto così come voglio essere contenta di tutto sempre, ma con l'animo nell'indifferenza, e più col desiderio di far piacere a Veva[6], di rivederla un momento, che col desiderio di conoscere Don Orione. Ma appena l'ho visto la mia anima è stata toccata, e ho chiesto subito a Veva di lasciarmi sola con Lui.

Oh Amata, il Santo riflette Dio! È trasparente! È assolutamente semplice e pacifico!

Ho potuto parlargli con libertà tranquilla, e ho ricevuto le sue risposte chiare, lucenti, piene di amore e di libertà sconfinata nell'ordine.

Di ritorno all'Eremo detterò per le sorelle, per Ginepro, per Te, tutto ciò che abbiamo detto, ch'Egli mi ha detto, e che religiosamente conservo nel cuore, e mi sarà sempre lampada e nutrimento.

Ma ti trasmetto subito la risposta sua riguardo al cambiamento dei proprietari:

"La cosa è del tutto indifferente. Però se quell'Anima profondamente cristiana e delicata[7] lo desidera, Lei fa bene a cedere. E dica a quell'Anima e a B.[8] che benedizione viene a loro".

Altro non mi resta a dire!

Dall'Eremo tutto. Ho dovuto stancare gli occhi a Pavia e me ne risento assai, ma spero rimediare.

Saremo a Firenze stasera, domani sera al luogo della pace.

Comprendo che tu rimanga presso Ernestina. Ma quanto sento la privazione! E ancora spero in qualche inattesa disposizione! In Domino tutto, e la benedizione del Santo ci aiuti a vedere Dio.

tua tapina Maria

Un saluto da Immacolatella[9]

 

Oltre alle difficoltà con l'ambiente circostante, vi era in più la fatica quotidiana di vivere in un luogo aspro e che d'inverno era al limite dell'abitabilità. Il biografo racconta che d'inverno la temperatura all'eremo non superava mai i 4 gradi.

Don Orione si offrì di far avere una persona che aiutasse Maria e le sorelle nel disbrigo dei lavori più pesanti. La Minore ringraziò entusiasta.

Eremo francescano

Campello sul Clitunno (Umbria)

nel giorno dei nostri Morti

Venerato Don Orione,

considero un aiuto dei nostri Cari Trapassati il ricevere oggi, trasmessemi dalla mia figlioccia, queste parole di D.Brizio: "D.O. manderà a Maria un uomo come custode e famiglio all'Eremo".

Dico grazie con tutta l'anima ai cari che vegliano su noi e ci alleggeriscono il fardello troppo grave, e grazie al Suo cuore, D.Orione.

Da che ho avuto il beneficio di avvicinarmi a Lei, mi sento più assistita, con maggiore forza e maggiore pace. E il pensiero che lei pensa alle nostre difficoltà, che ci custodisce con la Sua benedizione, mi alleggerisce davvero il fardello.

La necessità di avere presso di noi un uomo fidato si è fatta più crudamente sentire in questi giorni. Dal muro smantellato sono entrati nel recinto individui; per cacciare, o per segare i cari alberi del bosco. Mi spiace non solo per il danno agli uccelli e agli alberi, ma per il rischio del trovarci ad un tratto di fronte a uomini sco­no­sciuti.

Immagini dunque se il sapere oggi che lei pensa a provvederci d'un fratello fidato mi rassicura! Aspettiamo con ansietà di desiderio e insieme con pace. Naturalmente, appena avvertite, manderemo l'importo del viaggio e le indicazioni che faciliteranno.

Il biglietto della Sarfatti, per ottenermi l'udienza del Duce, non mi è giunto; forse D. Brizio ha creduto bene non muovere quella pedina? Mi rimetto semplicemente[10].

La scadenza della cambiale è il 17 prossimo, non il 13 come dissi erroneamente. E sorella Iacopa, la mia compagna cieca, ha ottenuto con l'intervento di un suo amico avvocato, di poter pagare per il 17 soltanto £ 640 d'interessi. È già una grande facilitazione per noi. La Provvidenza non ci lascia mancare la goccia d'olio!

 

Maria invita con forza don Orione.

Don Orione io debbo osare chiederle una carità grande grande. Non potrei ricevere pane senza dividerlo con le sorelle; non potrei contemplare un bene senza volere farne partecipi queste mie care. Ho avuto bene avvicinando lei; ne ho ricevuto viatico. Non posso non desiderare con tutte le forze del cuore che anche le mie care abbiano questa sorte. Perciò prego Gesù d'ispirare a lei, e di darle modo, di venire all'Eremo, a nostro conforto e monito; e di aiutare noi a tenere pronto il cuore.

Intanto ci voglia benedire, Venerato Fratello, e ci faccia posto nel Suo cuore, ove tanti agnelli di Cristo trovano rifugio e aiuto.

Devotissima

riconoscentissima

Maria[11]

 

L'ultima lettera del 1927 è indirizzata da Iacopa a don Casciola. Quasi tracciando il bilancio di un anno importante, lo ringrazia, a nome di tutte le sorelle, dell'aiuto e della mediazione nei confronti di don Orione.

Eremo Francescano[12]

27 dicembre '27

Venerato amico (don Brizio),

il nostro riverente saluto Le giunge con ritardo e brevità, perché siamo state alquanto tribolate nella novena di Natale.

Maria ha avuto, prima in conseguenza di due notizie dolorose giunte durante la mensa, e poi, alla distanza di tre giorni, in causa del freddo, due disturbi circolatori dei quali ci siamo veramente allarmate. Per fortuna il medico (della vicina san Giacomo, uomo che ispira fiducia) ci è stato cortese di indicazioni. Ora Maria si va riprendendo ma lentamente. Nella veglia sacra ha potuto essere con noi. E forse perché la buona sofferenza prepara le vie del Signore, nella nostra nudità e povertà e privazione, così atta a ricondurre il pensiero alla nudità della Grotta, la presenza di Dio si è fatta sentire al nostro spirito in modo che ciascuna di noi vorrebbe serbarne ricordo.

I Cari Assenti furono così presenti quella notte! E Maria viene spesso col suo cuore, con interesse vivo a Sant'Alberto. Segue cotesta Opera che a preferenza di qualunque altra, conferma come il Cristo è la luce del mondo, e si preoccupa con animo fraterno di lei, del freddo che deve essere stato tremendo a cotesta altezza, in una casa ove forse non avete difese. Aneliamo notizie, e speriamo tanto che lei, scendendo in queste feste a vedere la Mamma, passi a nutrire il piccolo gruppo che da ogni Sua visita, oltre l'inestimabile bene del pane, riceve grande gioia.

Maria ha trepidato tanto anche per Veva[13] e non si sente ancora rassicurata pienamente. Ma abbiamo tanta volontà di speranza.

Le nostre notizie, in complesso, al solito: il groviglio delle difficoltà sempre più intricato e stringente. Stiamo cercando di fare un prestito che ci dia respiro e ci permetta di seguire un filo che la Provvidenza ci ha offerto per poterci rifugiare nei mesi freddi in un luogo più accessibile e riparato, giacché vediamo che proprio Maria non regge a questa inclemenza di clima e col ricordo di quanto abbiamo sofferto l'anno scorso ci sembra dovere non lasciarsi cogliere nuovamente da probabili malanni in questa solitudine, e in questa casa che per essere abitata nell'inverno senza che l'impresa sia temerità, ha bisogno di alcuni completamenti necessari.

 

A Don Orione Maria scrisse poco dopo il suo ritorno per esprimergli ancora la sua gratitudine. Essa considera di aver ricevuto tale bene nel suo incontro con lui che non vorrebbe mai dargli aggravio con alcuna richiesta, Se a Lei capita di poterlo intrattenere un momento di noi, gli dica, la preghiamo, la nostra gratitudine immensa per il conforto, la conferma, la gioia del pieno consenso che da Lui è venuta alla nostra Maria, tanto sola e tanto gravata di responsabilità. Seguire sem­plicemente la nostra via, accettando con riconoscenza ciò che abbiamo e benedicendo il Signore per ciò che non abbiamo, è diventato più naturale, più sicuro dopo che Maria ha ricevuto approvazione. E accrescere il senso della fiducia e della sicurezza nel proprio cammino non è il beneficio massimo che si possa rendere sulla terra? Ce ne sentiamo debitrici a lei, don Brizio. E quanto, quanto ci è venuto traverso Lei! Di quanti incontri che ci sono luce, aiuto lungo la via, Lei è stato tramite per Maria, quindi per noi! Sofia fedelissima che appunto ieri ci ha commosso con un suo pacco di indumenti veramente generoso[14]. Una delle notizie giunte a Maria il giorno in cui si sentì male fu il telegramma annunziante la morte della povera Gaetana. Ci ha annunziato che dedica il giorno di domani a commemorarla fra noi. Ci leggerà le sue parole, veramente luminose, che Sofia le ha fatto trasmettere, e impareremo da lei, per cui già in questi giorni penosi abbiamo chiesto accrescimento di luce e di pace. Anche da san Gersolè ci giungono cari segni di affetto.

Desidero anche dirle che nella notte di Natale ci è stata di prezioso viatico una lettera di Ginepro che avremmo voluto ascoltare in ginocchio tale era il riflesso luminoso di quell'anima traverso le terse parole. Ha frequentato nascostamente una chiesa durante la novena di Natale e ne dà notizia col grido doloroso e gioioso dell'esule che è riuscito a intravedere la sua terra. E dice:

"Il mio fervore, grazie a Dio, è intatto!".

Ci benedica, venerato don Brizio, e accolga il saluto riverente e cordiale, l'augurio del cuore e il desiderio di vederla e di saperla bene in salute, che ognuna per mio mezzo Le offre. Ognuna di noi con la sua particolare comprensione Le vuol bene e riceve da Lei bene.

Io mando uno particolare saluto di fraterna simpatia ai compagni di cecità che insieme con Lei e mediante il Suo aiuto, si avvalorano a sempre meglio vedere. Come siamo ansiose tutte che Lei, venendo, ci racconti tanto della Loro vita! Se possiamo conservare questa speranza, voglia darcene conferma con una Sua parola!

E ancora: affetto e gratitudine a Lei!

Per tutte devotissima

Iacopa.

 

All'inizio del 1928 c'è un appunto scritto di don Brizio per don Orione.

Mio caro,

Ti mando un romanzo religioso di eccezionale potenza e verità. Io l'ho letto d'un fiato. Son certo che anche tu lo leggerai con interesse, e non senza profitto per la migliore conoscenza di uomini, di gruppi e di problemi[15].

Passerò da Tortona fra una dozzina di giorni, recandomi in Lombardia.

Prega per me

Aff.mo Brizio Casciola

Unisco una lettera di sorella Maria. Mi recherò a M.falco fra poco e sono un poco perplesso circa l'andare all'Eremo.[16]

Ultimi tentativi

Il 1928 è l'anno in cui Maria cerca, forse per una delle ultime volte con convinzione, di ottenere quei permessi dal vescovo che da anni andava chiedendo.

Essa impiegherà alcuni anni per accogliere il consiglio di don Orione e rassegnarsi a tempi più propizi[17].

 

Il mese di ottobre è importante: nel giro di pochi giorni si vanno intrecciando diverse lettere.

Tutta la questione di questi giorni è ripercorsa fedelmente nel volume più volte citato di Ferdinando Aronica, Sorella Maria e il suo eremo.

Ci fu l'intermediazione di un altro sacerdote, don Stiattesi[18], che scrisse direttamente al vescovo, ma non ci fu nulla da fare.

A fine mese appariva l'Avviso del Bollettino Diocesano di Spoleto:

“Si fa noto che nell'ex convento francescano sopra a Pissignano in questa archidiocesi, è vietato a tutti i sacerdoti di celebrare la santa Messa e di compiere qualsiasi altra funzione sotto pena di sospensione a divinis. Sono pregati poi tutti i buoni fedeli cattolici di astenersi di accedere al medesimo luogo.

f.to il vicario generale Capobianco”.

 

Questo spense in modo drastico, e per diversi anni, le speranze di Maria e delle sue compagne. Non si sa se Don Orione in quei giorni sia direttamente intervenuto o abbia seguito le vicende tramite don Brizio. Senz'altro per lui rimaneva valido l'invito a pazientare. Egli sapeva che i tempi non erano ancora maturi e che anche madre Chiesa procedeva con tempi spesso lunghi.

Nell'aprile del '29 Maria scriveva di nuovo a don Orione.

Domenica 21 aprile 1929

Roma, Stella viae

Venerato Don Orione,

Mi perdoni queste righe a matita e la carta, non posso altrimenti.

Stamattina sono andata a S.Pietro, e dopo Confessione e Comunione ho chiesto benedizione al primo pastore e Vescovo per la lettera di cui Le accludo copia[19], affinché porti un frutto celeste anche se invisibile ed ignoto.

Ho ringraziato il Signore e ancora ringrazio Lei con tutta l'anima per la pace e bene della Sua visita di ieri.

"La Madonna vi paghi!" dicono in Umbria.

Io sento come le piccole eremite hanno trovato un po' di posto nel Suo cuore che sconfina[20], e ciò mi fa ritornare al mio compito duro ed amato con più tranquilla fermezza.

Appena riceverò fotografie ed indicazioni sull'Eremo sopra Narni, glie Le trasmetterò a Tortona.

Per favore ci mandi la circolare, che faremo conoscere con amore.

Ed in qualunque occasione Lei credesse che posso servirla in qualcosa, si ricordi di darmi questa gioia.

Anche la formicuzza una volta rese servigio alla colomba, dice la favola!

Il pensiero che Lei veglia su quel temperamento di fanciullo e quella profonda anima complessa che è Ginepro, mi riposa il cuore[21].

Oh! Gesù l'aiuti ad essere pastore e a guidare e correggere col suo bastone per salvare dai lupi rapaci!.

Voglia ancora benedire la pellegrina Maria[22]

 

Di tre giorni dopo sono degli appunti scritti di Sorella Maria, conservati nell'Archivio dell'Eremo, in cui si intravede un misto di amarezza e di rassegnazione.

 

24 aprile '29, Roma

Dopo ripetuti incontri con D. Orione, dopo ricevuto stamani il Pane dalle sue mani, cerco di fissare qualcosa, a mio ricordo e per dividere sempre con voi.

In D. Orione venero una nota di bontà semplice e di libertà cristiana.

Non mi sembra avere penetrato l'animo suo, né di poter dire ch'io conterei sull'appoggio del suo cuore[23].

Né egli ha penetrato l'animo mio. Ma è stato caramente fraterno e aperto, e mi ha concesso di parlargli con libertà in Domino, e io gli sarò sempre grata e fedele.

Riguardo alla questione ecclesiastica gli dicevo: “il vescovo avendo proibito ufficialmente a preti e fedeli di avvicinare noi, ho chiesto al nostro parroco se io son tenuta in coscienza ad avvertire i nostri ospiti. Il parroco mi ha risposto: lasci cadere! Né in diocesi né fuori, si fa caso! E Lei, Don Orione, come mi consiglia?

“Così, risponde don Orione. Lasciar cadere”

Riguardo a Ginepro abbiamo parlato a lungo, anzi è stato il tema abituale dei nostri discorsi. Si rende intieramente conto del legame di affetto che è fra noi, e del dovere scambievole ch'esso ci crea. Non potrei mai avere il pensiero di chiedere a don Orione o a chicchessia consiglio su questo punto, tanto la mia coscienza parla chiaro e fermo in Domino. Ma stamani dopo la Comunione, dicendo ancora di Ginepro, e avendolo pregato di leggere un appunto scritto in questi giorni, gli ho chiesto: “Don Orione, Lei sa che ho venerazione per Lei, e che Le ho parlato con sincerità piena. O avuto (sic!)da Lei poco fa il Viatico; mi dia ora ammonimento, e ne profitterò per la grazia di Dio”.

Ripeto ciò che le dissi a Pavia: “vada avanti tranquilla e ferma per il suo cammino”[24].

Un tardivo riconoscimento

Alla morte dell'arcivescovo, nel 1934, qualche speranza si aprì. Successore di Pacifici divenne mons. Pietro Tagliapietra. Tuttavia anch'egli, nonostante il clima mutato, non approvò mai ufficialmente la comunità di Cam­pel­lo[25]. Le incomprensioni con la curia non mancarono, se ancora nell'ottobre del 1938 don Brizio scriveva a don Orione.

Montefalco (Perugia)

 

Venerabile frate,

Sorella Maria mi incarica di farti pervenire direttamente la lettera qui scritta.

Ti raccomando come so e posso questa poveretta.

Una porzione del clero circostante la osteggia in tutti i modi, denigra l'opera sua, calunniandola presso la popolazione ignara o crudele.

L'arcivescovo di Spoleto non si sentì l'animo di abolire le misure prese dal Suo predecessore.

Iddio ti ispiri onde il tuo intervento possa recare un sollievo e un conforto alle tensioni così per­se­gui­tate, mentre s'ingegnano di fare del bene a tutti.

Con l'ottobre inizierò la mia modestissima attività al San Filippo, senza dimenticare del tutto il San Giorgio[26]. Ora pro me.

Ti abbraccio

Aff.mo D. Brizio[27]

 

Come finì la questione del riconoscimento?

Mons. Tagliapietra rimase vescovo di Spoleto fino al 1948: in quell'anno gli successe mons. Raffaele Radossi, che, due anni dopo concedette, finalmente, il permesso di celebrare la mes­sa all'eremo.

Il 2 agosto 1952 giunse, inoltre, inaspettata e perciò ancora più gradita, la benedizione da parte di Pio XII, trasmessa dal sostituto alla segreteria di stato mons. Giambattista Montini.

In essa si impartiva la benedizione “sull'Eremo francescano di sorella Maria e compagne e sulla loro accoglienza e servizio al povero e al pellegrino”.

Ormai sorella Maria poteva ottenere dalla Chiesa quel riconoscimento di fedeltà che per tutta l'esistenza aveva cercato di testimoniare.

Ella tuttavia morì il 5 settembre 1961 e non poté purtroppo vedere, otto anni dopo, il 21 maggio 1969, il nuovo arcivescovo di Spoleto, Ugo Poletti, divenuto più tardi vicario di Roma, salire fino all'eremo a celebrare la messa e concedere di conservare il Sa­cramento presso la chiesina.

Il futuro cardinale così scrisse in quello stesso anno:

“Benedico il Signore che ha fatto fiorire nella mia Diocesi un'oasi di preghiera e di carità, che abbraccia con la sua umiltà e con il suo nascosto apostolato, tutto il mondo”[28].

Un valido sostegno

I contatti con don Orione e con l'Opera continuarono anche dopo gli anni difficili.

Significativa la testimonianza del prof. Giovanni Marchi, presidente nazionale degli ex allievi di don Orione, che proprio grazie a Maria venne ospitato in un istituto di don Orione[29].

Nel 1940, a pochi giorni dalla sua morte, don Orione riceve l'ennesimo attestato di stima da parte di una che era stata compagna di Maria, sorella Paola, la quale ricorre al sacerdote perché accolga nelle sue case una persona bisognosa.

Reverendissimo don Orione,

Oh anima d'apostolo, che conosco e venero con le mie sorelle di fede, per la parola schietta di Sorella Maria, essendo vissuta 6 anni all'Eremo di Campello, col nome di sorella Paola.

Conosco il Vostro don Brizio, sempre a noi fedele; ed ora ricorro a Voi Reverendo – a Voi che (unico) soccorrete i doloranti di ogni genere e provenienza, con la illimitata carità del Cristo!

Mi si allarga il cuore dopo tanti e vani tentativi, per aver letta finalmente la parola Vostra in un Calendario che mi si offre (il Vostro!).

[…]

Aspetto la vostra parola con sicura fede. Benedite intanto la "poverella" e benedite Sorella Maria con le sue poverelle, fra cui l'umilissima

Sorella Paola[30]

Maria testimoniò della vicinanza di don Orione in una lettera che scrisse nel giugno del 1942 al papa Pio XII per spiegare la peculiarità della sua opera. Tra le persone che elenca considerandole vicine all'eremo c'è anche il sacerdote tortonese.

Ecco quanto scrive Maria:

 

“Don Orione sapeva tutto di noi, e ci amava oso dire. In un'ora di mia dolorosa perplessità mi tele­gra­­fò questa sola parola: "Avanti tranquilla in Domino"”[31].

 

Le consorelle dell'Eremo continuarono ad avere contatti con l'Opera di don Orione, soprattutto attraverso don Piccinini, grande amico di don Brizio.

 

Per concludere riportiamo il testo di un appunto autografo di sorella Maria inerente i suoi rapporti con Don Orione. Non si sa l'anno preciso: è comunque posteriore certamente alla morte del sacerdote.

 

In memoria di don Orione cui pace.

Anni sono, lasciò a Ginepro una reliquia della vera croce, racchiusa in una croce d'argento, che Ginepro tiene sempre sul suo tavolo di lavoro[32]. Una volta inginocchiandosi dinanzi a Ginepro lo costrinse a benedirlo (su Ginepro pesava già la scomunica del '26)[33]. Sempre nel    , a Roma, vicino al mio letto (ero sofferente) si trattenne con Rosa e con me. Io gli chiedevo di quel frate Avemaria, dell'Eremo Sant'Alberto, il quale a volte, dicono, è sospeso da terra mentre prega. Lei può te­sti­mo­niare questo fatto? – don Orione rispose sì, senza accentuare e senza interessamento. Poi aggiunse: per me vi è un miracolo più grande a Sant'Alberto: il vecchio frate dell'eremo ha presso di sé da molti anni una donna di mala vita, e non se n'è mai accorto.

Questa testimonianza di don Orione esprime la tempra del suo spirito!

Conservo in cuore la parola di un suo telegr., indirizzato a me e firmato, strano e mirabile a dirsi: chiara: avanti tranquilla in domino est.

Dall'anima invitta del poverello e dall'uomo giusto raccolgo per sempre questo suo messaggio di fermezza e di pace[34].

'Fermezza' e 'pace': senza dubbio due caratteristiche che don Orione possedeva e riteneva importanti anche per Maria. È forse questo il suggello migliore dell'apostolato di Maria.

Lo scontrarsi con le incomprensioni servì certamente anche ad una purificazione interiore: la via della croce, che don Orione aveva profeticamente indicato già nella lettera a don Casciola era ancora quella prediletta:

“Dì a queste figliole che non temano: fidino in io, e benedicano al Signore in questa e in tutte le tribolazioni […]. La via regia è la Croce, la vita vera è in Croce: la Verità e la Carità si sente, si crede, si vive, si ha, si possiede e trionfa solo in Croce, e insieme con Gesù Crocifisso”.

 

 

 


[1] Riportato da R. Morozzo della Rocca, Maria dell'eremo di Campello, cit., p. 84.

[2] Ibidem.

[3] Margherita Sarfatti, diresse la rivista “Gerarchia”, fondata da Mussolini nel 1922, cui collaborava anche don Brizio.

[4] Archivio P.O.D.P.

[5] Così già chiamava don Orione.

[6] Si tratta di Valeria Lupo, una torinese 'agnostica', la cui madre era stata amica d'infanzia di Maria.

[7] Si riferisce a sorella Amata.

[8] Si tratta di Buonaiuti.

[9] Archivio dell'Eremo, due foglietti con quattro pagine scritte.

[10] Può darsi che la Sarfatti fosse stata contattata in un primo momento da don Brizio per un incontro con Mus­solini.

[11] Archivio P.O.D.P.

[12] ADO, Roma. Sottofascicolo "Iacopa".

[13] Si tratta di Valeria Lupo.

[14] È con tutta probabilità Sofia Idelson, amica e discepola di don Brizio, direttrice della Casa Famiglia Regina Elena di Messina.

[15] Purtroppo non sappiamo di quale libro si tratti. È frequente, comunque, nell'epistolario Orione-Casciola, il richiamarsi e il consigliarsi a vicenda articoli o libri su cui riflettere.

[16] Archivio P.O.D. P. Non sappiamo quale sia la lettera di cui si parla.

[17] Scrive R. Morozzo della Rocca: “Il conflitto con l'arcivescovo di Spoleto la sorprende e la turba. A tratti è insofferente: al parroco di Pissignano, il piccolo borgo sottostante l'eremo, rimprovera aspramente il fatto di non testimoniare dinanzi a Pacifici la buona condotta religiosa delle abitatrici dell'eremo, mentre il parroco era esso stesso sospetto dinanzi al vescovo per i rapporti con l'eremo e rischiava provvedimenti punitivi” (cit., p. 85).

[18] Don Raffaele Stiattesi (1865-1959), parroco di Quarto (Firenze) e direttore del Regio Osservatorio Astro­fisico.

[19] Non sappiamo di che lettera si tratti.

[20] Bella questa definizione di don Orione, che in effetti sarà in seguito definito come 'un cuore senza confini'.

[21] Il Buonaiuti, su stessa ammissione di Maria, era sempre al centro dei colloqui tra lei e don Orione.

[22] Archivio dell'Eremo.

[23] Estrapolata dal resto, pare questa un'affermazione piuttosto ingenerosa nei confronti del sacerdote; certamente Maria si accorgeva che don Orione, pur approvando il suo operato, non era nelle condizioni di forzare la volontà del vescovo. Maria non ha ancora accettato pienamente l'invito di don Orione a proseguire, con pazienza, in Domino. Come nota R. Morozzo della Rocca, “Maria è scossa dalle difficoltà con l'autorità ecclesiastica e impiega alcuni anni per accogliere il consiglio di don Orione e per rassegnarsi all'attesa di tempi più propizi” (op. cit., p. 85).

Più avanti Maria scriverà: “Io sono contenta dello sfavore del vescovo. Mi rincresce tanto per lui, per la Chiesa, per la Diocesi, di ciò ch'egli è. Mi fa pena sia deriso [dal suo clero]. In qualunque cosa egli credesse ammonirci o farci ammonire, lo vorrei ascoltare con riverenza. Ma che egli abbia sfavore per noi ringrazio Dio. Più la vita c'insegna, più comprendo quanto danneggi il favore ecclesiastico o mondano. Per il nome di Gesù si deve patire contumelia. Altrimenti ci s'infrollisce e si devia”.

Per quanto riguarda l'azione di don Orione, invece, proseguendo con la lettera, Maria sembra riconoscere che don Orione fu uno dei primi fra i sacerdoti a capire fino in fondo la bontà dell'opera di Maria e delle sorelle.

[24] Archivio dell'Eremo, due pagine di quaderno. (Autografo di sorella Maria?). La frase sul Buonaiuti Maria la ripeterà anche nel 1937, in lettera a don Brizio. Ecco il passaggio che ci interessa: “Don Orione, cui dicevo tutto di noi, Le lo sa: il nostro essere pronte accoglienza; l'avere nel nostro stesso gruppo due sorelle acattoliche; la fedeltà della mia amicizia verso Buonaiuti; dopo avermi ascoltato mi rispondeva di viva voce, e un'altra volta mi scriveva: "Vada avanti tranquilla in Domino"”.

[25] Egli tuttavia permise che il parroco salisse all'Eremo per portare la comunione alle sorelle impedite e nella relazione alla S. Sede sullo stato della diocesi, nel 1941, attenuò moltissimo il giudizio duro, dato dieci anni prima da mons. Pacifici, sulla comunità delle sorelle dell'Eremo. Mentre infatti il Pacifici aveva parlato “di una comunità di donne molto sospetta di eresia protestantica e di modernismo”, mons. Tagliapietra si limiterà a indicare una “co­­munità di donne, le cui opinioni sulla fede non erano ancora chiare” e che tuttavia “non avevano provocato alcun nocumento ai fedeli” (Relazione sullo stato della Diocesi. Archivio Diocesano di Spoleto).

[26] Don Brizio in quell'anno si trasferì a Roma.

[27] Archivio P.O. D. P.

[28] Citato da R. Morozzo della Rocca, Maria dell'eremo di Campello, op. cit., p. 94.

[29] “Mia madre deve aver conosciuto Sorella Maria e le sue compagne dell'Eremo nell'inverno 1929-1930, come testimonia una sua fotografia tra le agavi, nell'abito grigio delle aspiranti fra cui fu ammessa con il nome di Cenerella, scattata il 22 febbraio 1930, nel giardino o vicino alla casa di Formia dove la comunità dell'Eremo Francescano era venuta a svernare, ospite di persone amiche (Mary Rossi?) per sottrarsi al freddo e alle intemperie della sede vicino a Trevi in Umbria in fase di restauro, dove trascorrevano in lavoro e in preghiera il resto dell'anno. E anch'io cominciai a far parte della grande famiglia dell'Eremo in quel periodo, perché era inconcepibile per Sorella Maria e le altre Sorelle, Jacopa, Immacolatella, Amata, Miriam, Angeluccia, Rosa, Agnese, e poi Daniella e Massariola, conoscere una persona, per quanto piccola fosse, com'ero io, e non seguirla con tutto l'affetto e l'interessamento possibile. Per un po' rimasi a Formia con Nonna Teresa, poi Sorella Maria che aveva conosciuto don Orione fece in modo che, essendo orfano di padre, fossi accolto nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, a Salita An­geli a Genova, dove fui educato con amore dalle Piccole Suore Missionarie della Carità. Venne a prendermi il rag. Enrico Sciaccaluga, futuro sacerdote orionino, che mi portò in treno a Genova, lasciandomi per qualche giorno a casa sua tra le sorelle e i fratelli a piangere tutte le mie lacrime, per il dolore del distacco dalla mamma, dalla nonna, dalla terra natale. (...) “L'Osservatore Romano” del 23 settembre 1999.

[30] Archivio P.O.D.P.

[31] Lettera di sorella Maria, pubblicata nello studio di F. Aronica, Sorella Maria e il suo eremo, cit., p.102.

[32] Il fatto è confermato anche da una lettera di padre G. Valentini: “Io desideravo rendermi conto esattamente del suo metodo di studio e perciò una volta gli chiesi, avendomi egli ricevuto come al solito nella sua biblioteca, di farmi vedere lo studio dove lavorava; il mio preciso scopo era di controllare come tenesse schedario della sua documentazione e come se ne servisse. Invece egli, appena entrati, mi fece vedere sul suo tavolo dei cimeli della sua defunta mamma tanto amata e venerata, forse un ritratto e una corona del Rosario; poi aprì un cassetto, ne estrasse un grande e bel reliquiario, e piangendo di commozione mi disse essere quello un dono ricordo di Don Orione. Notando la mia espressione interrogativa, mi narrò che Don Orione gli aveva sempre voluto bene e non aveva mai interrotto le sue relazioni con lui. Don Orione, diceva egli, gli aveva dichiarato di credere alla sua buona fede e di essere sicuro che egli sarebbe morto in modo da salvarsi. Questo ricordo, questa assicurazione erano il più grande conforto della sua vita” (Lettera del 15-4-1966, In Archivio B 6.VII. Cfr. anche F. Peloso, Don Orione e Buonaiuti: un’amicizia discreta, “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, 2002, 121-147.

[33] “Quando il Buonaiuti andava a incontrare don Orione, nella sua casa di Via delle Sette Sale 22, a Roma, dimenticava di essere il grande scrittore, lo studioso di spicco e controverso, l'intellettuale noto in Italia ed in Europa. Si presentava ala porta, in abito borghese, e si annunciava semplicemente come "Don Ernesto". In quella casa viveva un gruppo di Chierici di Don Orione, studenti alle università romane. Molti di essi ricordano un fatto. Venuto il Buonaiuti, don Orione li chiamò mentre erano in ricreazione, affinché gli baciassero la mano. Buonaiuti si schermiva. Per Don Orione quel gesto era un atto di fede nella "fronte segnata dal segno sacro" indelebilmente anche nello "scomunicato"; ed era anche un atto di stima e carità per incoraggiare quella povera anima desolata” (in F. Peloso, Ernesto Buonaiuti e don Orione sul ponte della carità, op. cit., pp.50-51.

[34] Archivio dell'eremo. Autografo di sorella Maria. Scritto a matita su un foglio uso protocollo. I vuoti sono nel testo.

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