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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Piccolo Cottolengo Milanese, 1938: Card. Schuster, Don Orione, sen. Cavazzoni

Tre caratteristiche originarie e originali dell'impostazione data da Don Orione.

IL PICCOLO COTTOLENGO COME CONCEPITO DA DON ORIONE

Tre caratteristiche originarie e originali

Don Flavio Peloso

 

I Piccoli Cottolengo sparsi in tutto il mondo orionino continuano, oggi, anche nelle mutate condizioni socio-economiche e legislative, a far pensare alla “mano della Divina Provvidenza” per quanto avviene nelle persone che vi vivono, nelle relazioni con la società, nella sopravvivenza economica.

Don Orione e il card. Schuster usarono la parola “miracolo” per dire quanto avveniva al Piccolo Cottolengo Milanese. Don Orione, il 7 dicembre 1939, scrisse “Ai cari Benefattori ed Amici del Piccolo Cottolengo Milanese”.  “Dal Novembre del 1933, da quando cioè il Signore ha voluto che la Piccola Opera portasse le sue tende anche in Milano una vera gara di carità si è accesa intorno al nascente Piccolo Cottolengo Milanese. E il miracolo andò via via crescendo”.[1]

Siamo chiamati a compiere una cura amorosa e creativa per attualizzare oggi la concezione e la dinamica di vita propria del Piccolo Cottolengo come ideato da Don Orione, del quale si possano individuare tre caratteristiche originarie e originali.

 

  1. Il Piccolo Cottolengo è della città

Può sembrare un dettaglio, ma ne indica l’identità. È noto che Don Orione volle qualificare queste istituzioni con il nome della città in cui erano inserite: Piccolo Cottolengo Milanese (1933), Piccolo Cottolengo Genovese (1933), Piccolo Cottolengo Argentino (1935). Con quell’aggettivo intendeva esprimere l’appartenenza e la destinazione dell’Opera: la città, la società.

Il Piccolo Cottolengo non doveva essere inteso come un’opera filantropica privata.  Don Orione e la Congregazione sono i gestori (gli amministratori, i facchini della Divina Provvidenza) ma la titolarità dell’opera è della città e della società che deve pensare ai suoi figli e cittadini più svantaggiati. Per questo è GenoveseMilanese, Argentino, Cileno, Paulista… Voleva che la città e la gente sperimentasse la responsabilità e la bellezza di provvedere ai propri figli più bisognosi, malati, anziani, desamparados, i piccoli, le categorie più povere e scartate. Intendeva che fosse un'opera nella città e ancor più della città e della chiesa locale, legata al tessuto sociale ed ecclesiale.

Il Piccolo Cottolengo, così concepito e collocato, è un’opera efficace di carità cristiana verso quanti accoglie e, insieme, contribuisce all’elevazione civile della città. Inoltre, da stratega della carità, Don Orione sapeva che “la carità apre gli occhi alla fede”,[2] porta a sperimentare la fraternità e, Deo adiuvante, anche la paternità di Dio, la Divina Provvidenza. Per questo è “faro di fede e di civiltà”.

 

  1. Il Piccolo Cottolengo ha missione religiosa e civile

In una lettera al ragioniere Sala di Milano del 1934, Don Orione sviluppa un pensiero importante riguardante l’identità del Piccolo Cottolengo.

Il Piccolo Cottolengo sarà come il Villaggio della Carità, alle porte di Milano.[3] Ma non vuol essere una semplice opera di assistenza ai bimbi, ai malati, ai vecchi cadenti, agli inabili a lavoro etc., ma il centro dal quale, come battaglioni volanti, partiranno sacerdoti, suore, missionari e missionarie del popolo (intendeva Laici) per accorrere ad assistere, specialmente nella periferia, i poveri, gli sfrattati, tutti quelli quelli che avranno bisogno di un aiuto materiale e di un conforto spirituale, per non perdere la fede in Dio e negli uomini”.[4]

Si ricava da questo testo una prima caratteristica evidenziata da Don Orione: il Piccolo Cottolengo ha una destinazione e missione civile e religiosa verso la Città. È molto tipico di Don Orione questo atteggiamento “missionario” che applica anche alle opere di carità il “fuori di sacrestia” più solitamente inteso per la pastorale parrocchiale. Infatti esso “non è una semplice opera di assistenza ai bimbi, ai malati, ai vecchi cadenti, agli inabili al lavoro etc.” (vita centripeta) ma base e punto di partenza, “il centro da cui partiranno sacerdoti e suore, missionari e missionarie del popolo per accorrere ad assistere tutti quelli che avranno bisogno di un aiuto materiale e di un conforto spirituale, per non perdere la fede in Dio e negli uomini”.[5] È interessante che, insieme ai sacerdoti e suore, preveda un ruolo “missionario” anche per i laici, definiti “missionari e missionarie del popolo”. Nella missionarietà civile e religiosa del Piccolo Cottolengo sono coinvolti anche i laici con le loro diverse competenze.

 

  1. Il Piccolo Cottolengo è un villaggio di umanesimo cristiano

I primi Piccoli Cottolengo di Milano, Genova e Claypole furono da Don Orione ideati e impostati secondo i propri criteri ispirativi, in dialogo personale con gli architetti che li hanno progettati e realizzati. Essi sono dei prototipi a cui rifarsi per conservarne e rinnovarne l’identità anche strutturale.

Il Piccolo Cottolengo Argentino (1935) fu da Don Orione disposto, in collaborazione con gli architetti Cuomo e Gallardo,[6] come “villaggio della carità”, in ampi spazi, tra il verde.

Il Piccolo Cottolengo Milanese (1933) fu concepito e realizzato dall’architetto Bacciocchi con forma di un grande “monastero della carità”. [7] Come gli antichi e grandi monasteri che salvarono la fede e la civiltà dell’Europa nei “secoli bui”, avrebbe compreso ambienti per le varie attività di culto, per quelle di educazione e per quelle di assistenza agli indigenti e malati.

Anche il Piccolo Cottolengo Genovese (1934) fu impostato e formato da Don Orione con questa identità di villaggio con diverse componenti umane e varie attività religiose, assistenziali, educative. Però, essendo l’edificio del Paverano già costruito, molto grande e fatiscente, il Fondatore poté operare solo piccoli adattamenti strutturali ma con la medesima concezione di “cittadella spirituale”.[8]

Constatiamo che il Piccolo Cottolengo, la creazione più tipica e originale di Don Orione, esprime, con le sue componenti umane e con le sue molteplici attività, la triade carismatica della carità assistenziale, educativa e pastorale. Questa è la ricchezza, la bellezza e anche la potenza civile e religiosa del Piccolo Cottolengo che fece dire a Don Orione: “Altro che la lanterna che sta sullo scoglio! Il Piccolo Cottolengo sarà un faro gigantesco che spanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale e corporale anche oltre Genova e oltre l'Italia”.[9]

Anche nei Piccoli Cottolengo venuti dopo i primi tre fondati personalmente da Don Orione trovano posto persone e attività di tipo assistenziale, pastorale ed educativo: San Paolo, Curitiba, Florianopolis (in Brasile), Cordoba, San Francisco (in Argentina) Asunción (Paraguay), Rancagua e Santiago (in Cile), Bonoua (Costa d’Avorio) e altri, altri.

Sarebbe un impoverimento di identità e di missione se il Piccolo Cottolengo, nel concetto e nella pratica, fosse considerato solo come un’opera assistenziale. Il Piccolo Cottolengo è un villaggio (cittadella, centro…) comprendente anche Parrocchia e le attività pastorali, la Scuola e attività educative. A Milano è così; a Genova è così; a Claypole è così; a Santiago del Cile, a San Paolo del Brasile e in molti altri Piccoli Cottolengo attuali.

Va curata la qualità e la coesione di queste differenti attività perché è l’insieme, con la sua esperienza quotidiana di umanesimo cristiano fondato sulla legge della fraternità e della carità, che diventa potente “faro di fede e di civiltà”.

 


[1] Lettera del 7 dicembre 1939; Scritti 108, 33.

[2] Lettera del 19 marzo 1923 a Don Giuseppe Adaglio a Rafat, Scritti 4, 280. Dando indicazioni per gli sviluppi in Palestina, spiegava al confratello: “Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla Fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio”.

[3] Quando a Milano si propose di cambiare il nome “Piccolo Cottolengo Milanese” suggerendo “Villaggio della carità”, Don Orione scrisse una lunga lettera al card. Ildefonso Schuster, il 9 aprile 1939, esponendo il suo parere: “Il nome di «Villaggio della carità» è un bel nome, nome fin poetico, ma certo dice molto meno, meno cristianamente, poco meno esprime la particolare finalità e lo spirito della istituzione. Non saprei poi come onestamente chiamare oggi «Villaggio della carità», quando, anche per il numero tanto limitato dei ricoverati, questo Villaggio ancora non esiste. E perché dare un nome più poetico, forse anche un po’ liberalino, certo meno proprio, almeno per ora, a questa opera di bene, così luminosamente riassunta nel nome e nello spirito del grande padre dei poveri, che la Divina Provvidenza ha dato alla Chiesa e al mondo in questi ultimi tempi?”; Scritti 59, 208.

[4] Lettera del 31 marzo 1938 con la quale Don Orione trasmette le sue intenzioni e i criteri pratici riguardanti il Piccolo Cottolengo Milanese; Scritti 75, 123-125.

[5] Ibidem.

[6] Cuomo y Gallardo, Don Orione nuestro amigo, Tip. Don Orione, Victoria, 1967. Angel León Gallardo era architetto nel circolo dei Corsi di Cultura Cattolica.

[7] Francesca Stroppa, Mario Bacciocchi e il progetto del Piccolo Cottolengo, in Don Orione e il Piccolo Cottolengo Milanese (1933–2013), Artigianelli, Brescia 2015, 149–218. È molto interessante questo studio della professoressa di Storia dell’arte contemporanea nella Facoltà di scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano.

[8] In lettera del 4 gennaio 1926 con indicazioni per l’avvio del Piccolo Cottolengo in Quarto dei Mille a Genova; Scritti 5, 340.

[9] Scritti 5, 341.

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