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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso

Presso il Centro culturale Don Orione “Artigianelli” a Venezia, dal 15 al 17 novembre 2023, è stato promosso il Convegno dei quadri dirigenti delle opere orionine in Italia. Nell mio intervento ho illustrato tre linee per dirigere le opere tra visione e realtà oggi tratte dall'esperienza e insegnamento di Don Orione.

DIRIGERE LE OPERE SULLA ROTTA ORIONINA DELLA CARITÀ

 

Don Flavio Peloso

 

 

Condivido tre dati dell’esperienza di Don Orione  che possono aiutare a interpretare e scegliere la rotta nel dirigere le opere tra visione e realtà oggi.

Ogni opera orionina ha una missione religiosa e civile.  

In una lettera al ragioniere Sala di Milano dell’8.12.1934, Don Orione sviluppa un pensiero importante riguardante l’identità del Piccolo Cottolengo di cui abbiamo appena celebrato un importante giubileo.

Scrivendo della Colonia agricola di Cuneo sul Bollettino, Don Orione affermava: “Per chi ancora non ci conosce, è pur bene che si sappia che la nostra non è solo opera di fede e di beneficenza, e che l'Istituto di Cuneo non è un semplice ricovero di orfani, ma vuol essere – anche e più – opera di utilità pubblica e sociale” (Scritti 1, 90).

Nel 1908, Don Orione aprì una parrocchia in Roma, “nella Patagonia fuori Porta San Giovanni ove c'è tutto da fare”, come gli disse Pio X. Ma è interessante vedere come imposta le attività: a quelle di culto affianca quelle di assistenza sociale. A don Giuseppe Adaglio - che doveva predisporre i locali - raccomandava di “non richiuderci solo fra la Chiesa e l' Oratorio festivo” e dava un elenco delle varie attività (Scritti 4, 23).

Don Orione scrive ai confratelli di San Paolo del Brasile: “Voglio che don Mario (Ghiglione) non si rannicchi, che non si chiuda in sé stesso, né che si limiti alle funzioni di chiesa. Deve buttar via quella specie di coniglismo che lo fa sacerdote non completo, ma anzi difettoso. Faccia da parroco, non solo in chiesa, ma anche nella vita sociale della parrocchia; si metta fuori, compia la sua missione anche fuori edificando tutti” (Scritti 32, 242).

Il “fuori”, cioè la destinazione/missione civile e religiosa della nostra opera nel Territorio è solo visione o realtà?

Genericamente parlando una qualche influenza c’è sempre: “qualcosa passa sempre”, anche attraverso i muri e le porte chiuse. Ma governare un’opera orionina significa governare e progettare la sua missione civile e religiosa.

Abbiamo fatto delle scelte di “rotta” per navigare nelle acque, alquanto intorbidite turbolente e disordinate, della realtà civile che ci circonda?

Quanto l’opera è faro di fede nelle nebbie sempre più fitte del secolarismo ateo?

Gesù con la sua semplicità ha osservato: “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce per tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 15-16). Questo per tutti, per tutti sociale, questo “fuori di sacrestia” fu fortemente sentito e voluto da Don Orione come passione apostolica e come passione sociale.

Nel nostro tempo è necessaria una nuova evangelizzazione e anche una nuova civilizzazione. Si tratta di assumere – personalmente e istituzionalmente - un atteggiamento “missionario”, apostolicamente e culturalmente estroverso. Ricordiamo che il “fuori di sacrestia”, solitamente inteso per la pastorale parrocchiale, era da Don Orione applicato anche alle opere di carità educativa e assistenziale.

Papa Francesco nel discorso al Capitolo Generale del 1922, ricordando l’espressione di Don Orione, ci ha detto: «Facciamoci il segno della croce e gettiamoci fidenti nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo». Ci vuole coraggio! Per favore, che il fuoco non resti solo nel vostro focolare e nelle vostre comunità, e neppure solo nelle vostre opere, ma che possiate “gettarvi nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo”.

 

Ogni opera è tridimensionale: educativa, assistenziale, pastorale

È noto che l’opera più tipica ed espressiva di Don Orione e del suo carisma fu ed è il Piccolo Cottolengo Milanese. Non è solo la realizzazione più espressiva ma è paradigmatica, cioè ogni altra opera deve ad essa ispirarsi e confrontarsi.

Sappiamo bene che i Piccoli Cottolengo di Milano, di Genova e di Claypole furono ideati e impostati, anche strutturalmente, secondo i criteri ispirativi di Don Orione, in dialogo personale con gli architetti che li hanno progettati e realizzati. Il Piccolo Cottolengo Argentino come “villaggio della carità”, in ampi spazi, tra il verde. Il Piccolo Cottolengo Milanese fu concepito e realizzato dall’architetto Bacciocchi con forma di un grande “monastero della carità”, come gli antichi e grandi monasteri che salvarono la fede e la civiltà dell’Europa nei “secoli bui”, con ambienti per le varie attività di culto, di educazione e di assistenza agli indigenti e malati. Anche il Piccolo Cottolengo Genovese (un complesso edilizio acquisito già fatto) fu impostato e formato da Don Orione con questa identità di unità polimorfa destinata a diverse componenti umane e attività religiose, assistenziali, educative.

Quello che voglio fare notare è che il Piccolo Cottolengo, la creazione più tipica e originale di Don Orione, esprime, con le sue componenti umane e le molteplici attività, la triade carismatica della carità assistenziale, educativa e pastorale. Questa è la ricchezza, la bellezza e anche la potenza civile e religiosa del Piccolo Cottolengo, opera paradigmatica di tutte le nostre opere: “Altro che la lanterna che sta sullo scoglio! Il Piccolo Cottolengo sarà un faro gigantesco che spanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale e corporale” (Scritti 5, 341).

Anche nei Piccoli Cottolengo venuti dopo i primi tre fondati personalmente da Don Orione vi trovano posto persone e attività di ambito assistenziale, pastorale ed educativo. È così in quelli di San Paolo, Curitiba, Florianopolis (Brasile), Cordoba, Asunción (Paraguay), Rancagua e Santiago del Cile, Bonoua (Costa d’Avorio) e altri, altri.

A Milano, in un’unica celebrazione, abbiamo ricordato i 90 anni del Piccolo Cottolengo, i 70 della Parrocchia San Benedetto, i 50 Casa del Giovane Lavoratore.

Quale pensiero intendo ricavare e condividere con voi che vi proponete di tenere nella rotta giusta le opere in cui avete parte tra visione e realtà?

Intendo dire che ogni nostra opera educativa o assistenziale o pastorale-parrocchiale pur dedicandosi al suo specifico compito, per avere compiutezza orionina deve avere ed esprimere concretamente anche le altre due dimensioni. Mentre là dove sono già compresenti istituzioni di diverso tipo e dinamica occorre operare perché siano tra loro integrate, complementari e collaboranti nell’unica missio civile e religiosa.

 

Ogni opera è chiamata a curare la “il servizio di qualità” e il “pronto soccorso”

Anche qui è la conciliazione delle due dinamiche, diverse tra loro, a caratterizzare l’esperienza orionina degli inizi e oggi. Chiaro che ogni opera si occupa prevalentemente ed istituzionalmente dell’una (servizio di qualità) o dell’altra (pronto soccorso) ma una dinamica non deve escludere l’altra. Siccome il nostro carisma si esprime “mediante le opere di carità” (NOTA 1), guardando al futuro è essenziale che continuiamo a curarne la qualità e il significato apostolico.

Il servizio di qualità

Nei paesi con sistema educativo e assistenziale statale sviluppato e con legislazione molto complessa, come è l’Italia, le istituzioni dei religiosi si giustificano solo se sono una alternativa/proposta per qualità di servizio (umanesimo cristiano) e di testimonianza evangelica.

In Italia, c’è grande bisogno di istituzioni che siano alternative al degrado etico, nel concetto e nella pratica, di valori essenziali dell’uomo e della società che sono invece irrinunciabili per l’umanesimo cristiano. E se il sale perdesse il sapore? E se le nostre opere perdessero la qualità per cui solo si giustificano? “Siamo noi sempre il sale della terra e la luce del mondo?” si chiedeva Don Orione in mezzo allo sgomento e al lamento di quanto avveniva a Tortona nel maggio 1917 (NOTA 2).

Oggi bisogna governare la rotta delle nostre opere tra reale e ideale. Un buon capitano di nave cura non solo la strumentazione di bordo, il funzionamento dei motori, il confort delle infrastrutture, i rifornimenti... sa tenere la rotta per dirigere la nave alla meta (NOTA 3).

Il pronto soccorso

C’è un altro aspetto del nostro contesto italiano, nel quale si collocano le nostre comunità e opere orionine, di cui tenere conto. In base a statistiche globali e a conoscenze dirette evidenti a ciascuno, sappiamo bene che in Italia c’è grande necessità di beni primari (cibo, casa, salute, educazione, ecc.).

In Italia, dove pur c’è una buona previdenza statale (welfare) a livello legislativo, di fatto, con la diminuzione della responsabilità e dei finanziamenti, crescono gli sprovvisti (desamparados), i “fuori tavola” e i “fuori casa” sociale, i figli della Divina Provvidenza. Don Orione si sentiva interpellato proprio da questi (“i più poveri”) e voleva “dare con il pane del corpo il divino balsamo della fede”.

Stanno sorgendo nelle nostre opere in Italia piccole iniziative, agili strutture, nuove modalità non istituzionalizzate per i “desamparados”, per i “figli della Divina Provvidenza”, i privilegiati da Gesù, da Don Orione. Facciamo abbastanza o possiamo fare di più oggi?

Stiamo destinando sufficiente tempo, religiosi-laici e denaro per quelli che non hanno umane provvidenze familiari o sociali e hanno bisogno della divina Provvidenza?

Conviene essere presenti con opere di servizio qualificato per pochi o con un aiuto di pronto soccorso anche povero ma per molti?

Sono interrogativi che ci fanno bene e portano a rinnovare la routine delle opere.

Mi pare di raccogliere da Don Orione una risposta chiara e inequivocabile sull’ultimo interrogativo: servizio qualificato o pronto soccorso? La storia e l’insegnamento di Don Orione ci insegnano quanto egli abbia promosso con passione entrambe le modalità, facendo scelte precise più sull’una o più sull’altra dettate dai tempi e dai luoghi.

Insieme, in sinergia

C’è un altro aspetto da richiamare per dirigere le nostre opere tra visione e realtà nel servizio all’uomo e alla società. Servizio qualificato e pronto soccorso non non sono in opposizione, ma devono andare insieme: il servizio qualificato deve comprendere anche il pronto soccorso e il pronto soccorso deve tendere ed evolvere in servizio qualificato.

Ogni istituzione bene organizzata per il servizio qualificato - educativo o assistenziale o pastorale - deve prevedere anche forme di accoglienza e di servizio di pronto soccorso a persone povere e sprovviste.

Molti virgulti (a volte inaspettati, scomposti, mal messi) di nuove attività di pronto soccorso sono sorti sulla pianta di istituzioni solide o vicino ad esse. I germogli nuovi sono percepiti come parte vitale dell’istituzioni? In qualche caso, se coltivati, potranno essere il futuro della pianta che invecchia? Le attività di pronto soccorso entrano nella normale cura della comunità e dell’opera?

Infine, va ricordato che ogni attività con scopo precipuo il pronto soccorso per gli out cast e out cost previdenziale deve cercare appena possibile di andare oltre la logica dell’elemosina (cibo, vestiario, tetto...) per giungere alla promozione delle persone. Anche in questo caso, il dialogo e la collaborazione con le istituzioni che svolgono il servizio di qualità aiuterà a non fermarsi alla mentalità assistenzialistica e ad instaurare connessioni utili.

 

NOTE _____________________________

1. Per “opere di carità” intendiamo tutta la vasta gamma di opere indicate da Don Orione nel famoso Capo I delle Costituzioni del 1936 e le altre che “secondo i bisogni dei paesi e dei tempi... più atte”.

2. “Quello che è accaduto qui e altrove, altro non è che la logica conseguenza e il frutto della scristianizzazione che va dissipando nelle nostre masse popolari tutto ciò che era patrimonio ideale e morale del passato, e vi ha fomentato irrequiete aspirazioni, basse cupidigie e odio profondo”. La situazione - aggiungeva Don Orione - deve servirci a farci un buon esame di coscienza. Che abbiamo fatto noi pel popolo? Siamo noi sempre il sale della terra e la luce del mondo?”. Ed ecco indirizzo di risposta pratica: “Onoriamo noi la Chiesa con opere di virtù e di sacrificio e di carità, e siamo noi servi di Gesù Cristo nei suoi poveri, nei derelitti e nelle sue membra più inferme e abbandonate”; il testo è in autografo e in bozza di stampa in Scritti 118, 133.

3. Fino a qualche decennio fa, bastava aprire un’opera assistenziale o una scuola ed essa era immediatamente un’opera caritativa. Oggi, non è più automatico che un’opera assistenziale o sociale o educativa sia ipso facto un’opera caritativa-apostolica. Di fatto, ci sono opere assistenziali o educative “come tutte le altre” e per varie ragioni sono quasi prive di qualità e di significato apostolico. Ci sono opere con un’alta customers satisfaction o social appeal però senza qualità civile (=umanesimo cristiano) e apostolica.

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