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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Tosi Antonio, a Villa Moffa di Bra

Voleva essere religioso. Fu in Sudan con i Comboniani, visse con Don Orione fino al 1945 come aggregato. Si sposò ed ebbe due figli. Una vita generosa e di tanto lavoro.

ANTONIO TOSI

Un facchino della Divina Provvidenza

 

Antonio Tosi fu un “facchino della Divina Provvidenza”, come amò definirsi Don Orione, e lo furono tanti umili discepoli. Antonio, nato a Busto Arsizio (VA) il 4 settembre 1902, non fu nemmeno religioso con voti, ma desiderò esserlo e fu trattato come tale. Di fatto fu un aggregato.

Da giovane volle diventare missionario. Divenne fratello laico nella Congregazione Comboniana dei Figli del Sacro Cuore, ove professò il 19 marzo 1926. Il 22 luglio 1926 partì per la missione di Khartoum in Sudan e visse là sei anni, tra mille difficoltà, sacrifici e tanto lavoro. Nel 1932, dovette rientrare in Italia, ammalato di malaria e poco dopo lasciò la Congregazione comboniana.

Antonio, anche se aveva avuto problemi di salute, voleva darsi a Dio. Chiese al suo parroco di Busto Arsizio di trovargli un eremo ove avrebbe pregato e lavorato per il Signore e per i fratelli.

Entrò in Congregazione al “Paterno” di Tortona. Il Superiore comboniano lo presentò a Don Orione come un giovane “di buona moralità, lavoratore, di buona intenzione; ma non adatto per le missioni”. Gli fu data la veste talare; sperava di poter fare il noviziato e i voti, faceva vita da religioso, era presentato e considerato tale, viveva in comunità, ma rimase “aggregato”, uno di famiglia.

Don Clemente Perlo, lo conobbe a Tortona e ricorda che “Don Sterpi lo lasciò libero di dimorare nella cascina Volpona, dove era nascosto il rame delle famose pignatte di Don Orione.

Anche Don Bruno Sanguin lo ricordava bene, perché “gli andavo sempre dietro per aiutarlo e intanto imparavo di tutto. Nel locale caldaia del Collegio “Dante” di Tortona appiattiva in lamine le pentole e altri oggetti di rame raccolti da Don Orione; ciò al fine di ottimizzare lo spazio occorrente”.

Don Lorenzo Simoni, invece, lo conobbe da bambino a Scutari (Albania) e lo chiamava “il papà buono, il papà pacifico. Era un gigante fortissimo e laboriosissimo… Mangiava enormi quantità di verdure”.

 

Fu uomo di fiducia di Don Orione. In molte lettere, Don Sterpi parla di Antonio Tosi al quale affidava incombenze varie, essendo egli sveglio, intraprendente e “tuttofare”. Alto e molto robusto, faceva il fabbro, il falegname, il muratore, sapeva di coltivazioni e di orto, di elettricità e di idraulica.

Lavorò in molte case della Congregazione, tra cui il santuario della Madonna della Guardia di Tortona, la costruzione di Villa Moffa di Bra, l’adattamento della filanda di Buccinigo a seminario; godeva la fiducia del capomastro Michele Bianchi.

Fu in Albania: a Scutari con Don Luigi Lazzarin e a Bushat con Don Farinasso. “Era di una bontà immediata, verso tutti, non assolutamente interessata; si faceva in quattro per tutti!”, “Un gran sgobbone”. Stava costruendo la casa Ceka di Scutari quando dovette ritornare in Italia perché i comunisti scacciarono tutti gli stranieri.

Negli anni della guerra fu a Gavazzana. Disponibile ad nutum di Don Sterpi, corse da un luogo all’altro ovunque ci fosse bisogno di lui. Nei primi giorni del dicembre 1943, Tosi fu incaricato di accompagnare il famoso scultore ebreo Arrigo Minerbi a Roma. “Dopo tre giorni e tre notti di un fortunoso viaggio, arrivammo a Roma. Al posto di blocco di via Appia Nuova, i tedeschi ci fermarono. Nell’interno della vettura eravamo in sei. Chiesero a tutti i documenti, meno che a Minerbi…”. Lo scultore fu nascosto e salvato all’Istituto San Filippo.

 

Nel 1945, decise di lasciare la Congregazione. Informò Don Sterpi: “In quanto alla mia decisione di farmi una famiglia, ho tutta l'approvazione del mio Confessore, il quale meglio di tutti mi conosce e conosce il mio interno. Non torno più indietro anche per il motivo che, per non perdere altro tempo, mi sono già fidanzato con una buona, povera e religiosa signorina”. Era una certa Anna Pieri, conosciuta a Gavazzana quando Antonio stava svolgendo lavori nel “Collegetto” di Don Sterpi.

 Don Sterpi gli scrisse una lunga e accorata lettera: “Ti ho sempre trattato da figlio, come mi pare di trattarti paternamente anche ora. Io sono agli sgoccioli della mia vita. Se ho un rimorso, è quello di averti voluto troppo bene - ma anche di questo non mi pento, perché prima di me è stato buono con me e anche con te il Signore. Ti aspetto quindi pieno di buona volontà. Ci metteremo davanti al Tabernacolo e ai piedi di N.S. Gesù Cristo prenderai quelle decisioni che un giorno porterai davanti a Lui, Giudice Giusto. Quantunque la tua mi abbia addolorato assai, pure ti benedico, come un padre, meglio come una madre può benedire il figlio” (Scritti Sterpi 30, 71-72).

Il 27 aprile 1946, Antonio Tosi si sposò a Milano con Anna Pieri ed ebbero due figli, Paolo e Antonio; abitavano alla Cascina "Volpona", vicino a Tortona, donata alla Congregazione dalle sorelle Marchese. Trovò lavorò come falegname presso una importante impresa di Tortona. Morì giovane, il 29 maggio 1953, a soli 51 anni, per avere ingoiato una grossa lisca di pesce.

Sono venuto a sapere di questo “facchino della Divina Provvidenza” perché interessato dal figlio Antonio, devoto e ammirato ricercatore delle memorie del padre. Antonio Tosi e la sua storia mi hanno appassionato per la semplicità e la generosità di vita. Si è lasciato usare e portare di qua e di là per il mondo orionino come uno straccio, solo contento di essere utile e di fare quello che le mani della Divina Provvidenza, Don Orione e Don Sterpi, gli chiedevano.

La storia della Piccola Opera divina Provvidenza è stata fatta da tante simili persone che non assursero all’onore della cronaca e degli applausi eppure “splenderanno come stelle”.

 

 

 

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