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Messaggi Don Orione
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Autore: Don Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione oggi

La periferia è realtà e simbolo di povertà, abbandono, fatica di vivere, confusione di popoli, costumi e religiosità. Il dinamismo della presenza delle comunità orionine e cristiane in grandi periferie di città di America Latina, recentemente visitate, ha qualcosa da dire sulla presenza cristiana nel mondo d’oggi.

Scrivo questo editoriale da Ananindeua, una povera periferia di circa 500.000 persone della grande città di Belém, nel nord est del Brasile. Quartieri cresciuti per invasione di terreni, senza progetto e senza relazioni. Povertà, abbandono, confusione di popoli, costumi e religiosità sono impressionanti.

Cosa ci può fare una comunità religiosa orionina e cristiana in mezzo a tanta gente presa da urgenze immediate di vita e dal bisogno emotivo e spesso idolatrico del soprannaturale, attratta da sette, predicatori, e impresari della superstizione?

 

La forza di un granello di senape

Eppure, lentamente ma inarrestabilmente, la comunità cristiana – siamo ad Ananindeua da 40 anni – va tessendo rapporti nell’ambiente, a partire dall’esperienza di fede e di carità che “bonifica” anche civilmente una zona che appare a prima vista “abbandonata da Dio e dagli uomini”. Se ne vedono segni evidenti e consistenti.

È “come l’evangelico granellino di senape: da piccolo che è, abbandonato tutto alla Divina Provvidenza e alla carità, si dilaterà a conforto d’un gran numero di infelici, i più poveri e più derelitti”, come scrisse Don Orione pensando alla periferia di Milano. “Sarà il centro dal quale partiranno sacerdoti e suore,  missionari e missionarie del popolo per accorrere ad assistere, specialmente alla periferia della città, i più poveri, gli sfrattati d’ogni genere, tutti coloro che abbisognano ancora di aiuti materiali, ma soprattutto di conforto spirituale per non perdere la fede in Dio e negli uomini. Si potrà così risolvere il grave problema religioso e sociale della periferia, problema che assilla tutti i grandi centri industriali”.

Don Orione sperimentò le periferie di Milano (Restocco), di Roma (Ognissanti), di Buenos Aires (Victoria, Lanùs e Claypole). La Congregazione è presente oggi in molte “periferie” di grandi città. Penso a Payatas (Manila), a Nezaualcoyotl (Città del Messico), Anatihazo (Tananarive), Bagamoyo (Maputo), Itapoà (Brasilia), Ananindeua (Belém), alcune delle più emblematiche.

 

La “periferia” non è oggi solo un luogo fisico.

È un luogo socio-culturale in cui la Congregazione – e più in genere la Chiesa – hanno scelto di stare con il popolo umile, tentato e spesso sedotto dai dinamismi della “città”, fantastica e inesistente, promossi dalla cultura mediatica. In America Latina le periferie sono soprattutto ai bordi delle grandi città. In Europa e in Italia, le periferie sono entrate nelle grandi città con onde di immigrati e poveri.

Siamo oggi chiamati a una nuova evangelizzazione e a una nuova socializzazione paragonabili a quelle avvenute dopo il crollo dell’impero romano e al rimescolamento di popoli provocato dalle cosiddette invasioni barbariche.

In quell’epoca, di fronte alla decadenza e smarrimento per  la confusione sociale, culturale e religiosa prodottasi, San Leone Magno manifestò la consapevolezza che la Roma cristiana non solo sarebbe sopravvissuta, ma che anzi “presiederà con la sua religione divina più ampiamente di quanto avesse fatto questa con la sua dominazione terrena”.

L’atteggiamento dei cristiani, dopo il primo disorientamento, fu quello di incontro fiducioso i popoli “barbari”, perché considerati come possibili futuri fratelli di fede. Da minaccia permanente, il mondo barbarico cominciò ad apparire ai cristiani un nuovo e vasto campo di missione.

 

Protagonisti di evangelizzazione e di civiltà

C’è una certa analogia tra la fine dell’impero romano e la situazione attuale del mondo divenuto “periferia globale” rispetto alla “città che non c’è”, con convivenza di popoli, culture, costumi e religioni tanto diverse e spesso indifferenti o in contrasto tra di loro. Oggi, come allora, la Chiesa ha fatto la sua scelta di campo: apertura e incontro verso le nuove fusioni e confusioni, tipiche di un mondo diventato periferia, con la fiducia nella vitalità vincente della sua esperienza spirituale come forza di civilizzazione e di evangelizzazione. È una grande sfida che il cristianesimo sta affrontando senza reti di protezione di tipo umano, economico e politico. Solo lo Spirito di Dio operante mediante la fede incarnata può essere il protagonista di una nuova ondata evangelizzatrice e civilizzatrice.

Per questo, come nella con-fusione dei popoli seguìta alle invasioni barbariche, i veri protagonisti della rievangelizzazione furono i monaci, anche oggi la forza evangelizzatrice e civilizzatrice della Chiesa viene e verrà da chi ha più energia spirituale, dai nuclei comunitari (parrocchiali, religiosi, laicali) a più alta tensione mistica.

Dal V all’VIII secolo, l’Europa si riempì letteralmente di monasteri, molti dei quali svolsero un compito primario nella formazione dell’Europa, della sua fede, della sua arte, cultura, organizzazione sociale, politica.

Non vi sembri strana e fantasiosa, cari lettori, questa analogia della situazione della Chiesa nel cambio epocale post-romanico con quello post-moderno in atto. È  stata più volte richiamata da Benedetto XVI che di San Benedetto – emblematico  protagonista della chiesa post-romanica - ha scelto il nome e l’atteggiamento ecclesiale che unisce forte identità mistica e rapporto con tutte le diversità umane.

 

 Attaccàti al Tabernacolo

Questi pensieri – che ricordo aver ascoltati in una predicazione di Padre Raniero Cantalamessa – mi sono ritornati nell’anima, con nuovo realismo, proprio durante questo viaggio nelle nostre comunità orionine inserite in grandi periferie delle città di America Latina.

C’è bisogno di Dio, di santità, di grande energia spirituale per vivere nella “periferia” senza soccombere ai suoi meccanismi e anzi essere pro-attivi. Come nel passato, anche oggi è dalla vita contemplativa che potranno venire la nuova evangelizzazione e la nuova civiltà. Perciò la sintesi tra contemplazione e missione, tra vita di preghiera e impegno sociale saranno indispensabili nel “discepolo missionario”,  sia egli religioso o sacerdote, laico o consacrato.  

In tante parole di saluto e piccoli discorsi fatti in questi due mesi di visite in luoghi di frontiera dell’America Latina, mi sono accorto di avere ripetuto, portato dal colpo d’occhio sulla situazione, un pensiero dominante: State attaccati al Tabernacolo, vivete Gesù, bevete il Vangelo, alimentatevi di Dio. Dalla paternità di Dio nasce la fraternità, dalla fraternità nascono la responsabilità e la collaborazione  che portano a evangelizzare e a civilizzare questo difficile mondo di periferia.

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