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Messaggi Don Orione
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Autore: Don Flavio Peloso

Cenni sul pontificato di Leone XIII (1878-1903) e sulla sua grande influenza nella formazione di San Luigi Orione.

IL PAPA DELLA GIOVENTÙ DI DON ORIONE

Don Flavio Peloso

 

 

Il pontificato di Leone XIII


Leone XIII fu eletto Papa il 20 febbraio 1878 e il suo pontificato si estese fino alla morte, il 20 luglio 1903. Gioacchino Pecci nacque a Carpineto Romano, il 2 marzo 1810Fu consacrato vescovo a 33 anni e nominato Nunzio in Belgio. Fu poi vescovo e cardinale di Perugia per 32 anni, dal 1846 al 1878, anno in cui, al termine di un conclave di soli due giorni, fu scelto come successore di Pietro alla guida della Chiesa. L’età e la salute cagionevole lasciavano prevedere un pontificato di transizione, breve, contando sulla sua indiscussa personalità ed esperienza, invece durò 25 anni.

Fu grande studioso di teologia, integrata dagli studi filosofici e umanistici. Leone XIII, trovò ispirazione nella sua opera di rinnovamento della Chiesa nel pensiero di Tommaso d'Aquino.

Un gran Papa di vastissimo ingegno, Leone XIII”, disse Don Orione. “Questo Papa fu il grande restauratore dei seminari, del clero e curò la cultura sacra, gli studi filosofici e teologici di San Tommaso. Ammirò, studiò, seguì tenacemente le opere tomistiche. C’era bisogno! Fu l’araldo della dottrina tomistica”.[1]

Il pontificato di Leone XIII, a fine ‘800, coincise con un'epoca di progressiva laicizzazione della società che comportò molte tensioni fra la Santa Sede e i vari governi.

Leone XIII, intelligente, tollerante, mite, sensibile ai problemi sociali, si trovò a guidare la Chiesa quando l’Italia era fortemente turbata e divisa dalla Questione romana che aveva acceso nel mondo laico un diffuso e orgoglioso anticlericalismo e nel mondo ecclesiale uno senso di assedio e un atteggiamento di crociata. La tensione ebbe il suo simbolo provocatorio pubblico quando, su proposta di Adriano Lemmi, gran maestro della massoneria, il governo Crispi eresse una statua a Giordano Bruno proprio nel luogo dove era stato bruciato per eresia. Il fatto fu presentato e percepito come una sfida all’oscurantismo della Chiesa. Si era nel 1889. Un anno prima, Leone XIII nell'allocuzione Episcoporum aveva prospettato la possibilità di una conciliazione con l'Italia dopo la soppressione dello Stato pontificio. Fu incaricato il benedettino Tosti di avviare i colloqui, ma Crispi non volle nemmeno iniziarli e alimentò ancor più l'anticlericalismo.

Questo era il clima nell’Italia dopo la unificazione. Non molto meglio era la condizione della Chiesa nelle altre nazioni europee, al culmine dell’euforia illuminista e antireligiosa. Dominavano le politiche del Kulturkampf in Germania, la politica laicista della Terza Repubblica francese. Leone XIII sembrò non reagire. Cercò mediazioni in tutti gli Stati in Europa, in America Latina, con Stati Uniti e Russia.

Non polemizzò con il potere politico e culturale dominante, ma illuminò i popoli (quello cristiano innanzitutto) con la pacatezza della ragione e con lo splendore della verità. Nell’enciclica nell'Aeterni Patris del 1879 illustrò come non ci sia conflitto tra scienza e religione; nella successiva Immortale Dei (1885) affrontò il problema del ruolo dei cattolici negli stati moderni. Egli motivò e diede coraggio alla Chiesa per andare incontro al popolo, alle masse umili e povere, e per “uscire di sacrestia” ed entrare nel vivo della vita sociale. La sua risposta tanto al secolarismo degli Stati quanto alla questione sociale fu l’enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891. Nella storia dell'epoca moderna, Leone XIII è ricordato come il Papa che pose tra i compiti propri della Chiesa l'attività pastorale in campo sociale. Scrisse ottantasei encicliche, con lo scopo di aiutare la Chiesa a superare l'isolamento nel quale si trovava di fronte ai grandi mutamenti culturali, sociali ed economici del XIX secolo.

L’enciclica Rerum Novarum portò ad una svolta nella Chiesa cattolica, per essere pronta culturalmente e pastoralmente ad affrontare le sfide della modernità senza sudditanza ed anzi proponendosi come guida spirituale dei popoli. È un’enciclica esplicitamente sociale, nella quale formulò i fondamenti della dottrina sociale della Chiesa, traendone i principi soprattutto dal pensiero di Tommaso d'Aquino. Ne venne un nuovo modo di confrontarsi sia con la società capitalistica e borghese e sia con il movimento operaio e il socialismo.

L'enciclica ebbe una risonanza strepitosa, suscitò in tutti gli ambienti l'ammirazione di chi percepiva che veniva finalmente offerta una via di soluzione a tanti problemi. Le masse lavoratrici si resero conto di avere trovato nella Chiesa una potente e disinteressata alleata e nel Papa un difensore strenuo dei loro diritti troppe volte ingiustamente calpestati. L’Enciclica fu ancor meglio “spiegata” e capita perché fu realizzata dal vasto movimento di santi e di congregazioni “sociali”[2] che resero la Chiesa “vicina” al popolo umile e povero, dall’intraprendenza di laici ed ecclesiastici lungimiranti, concreti nelle loro iniziative nel campo economico, educativo, associativo, sociale nel nome della dottrina sociale cristiana. L’Italia visse una stagione di grande vitalità sostenuta e coordinata nel movimento dell’Opera dei congressi e dei comitati cattolici.

Leone XIII, il primo Papa, dopo quasi mille anni di storia, a non esercitare più in forma attiva il potere temporale, fece maturare una situazione nuova all’interno della Chiesa e nei rapporti tra Chiesa e Stato-Stati che sempre più dovettero tenere conto delle ragioni e delle pratiche sociali che la rendevano “popolare” e, dunque, viva e influente dal basso.[3]

Il pontificato di Papa Leone XIII si caratterizzò anche per alcune importanti linee di rinnovamento all’interno della Chiesa, come per esempio, la elevazione degli studi, dell’insegnamento e della cultura cattolica. Diede nuovi indirizzi all’attività missionaria con lo scopo di incrementare lo sviluppo delle strutture missionarie, la solidarietà tra le Chiese, la formazione del clero locale indigeno.

Con l’enciclica Satis Cognitum (1896), circa la natura della Chiesa, descrisse l'unità tra Chiesa visibile e Chiesa invisibile, l'unità di fede, di culto e di regime all'interno della Chiesa. Diede impulso ai primi passi di ecumenismo promovendo iniziative per l'unità con le Chiese separate orientali[4] e incoraggiò la pratica dell’“Ottavario di preghiere per l’unità” nel contesto della Pentecoste (1894).

Giunto alla veneranda età di oltre 90 anni, Papa Leone XIII, fece commentare a qualche cardinale: “Abbiamo eletto un Santo Padre non un Padre Eterno”. Colpito da una pleurite, la sua forte fibra non resistette; morì il 20 luglio 1903, a 93 anni, nel Palazzo Vaticano, da dove non era più uscito dal lontano 1878.

 

Don Orione “figlio” di Leone XIII


L’espressione “figlio di Leone XIII” allude innanzitutto ad un dato cronologico della biografia di Don Luigi Orione: egli nacque, si formò, e concepì la Piccola Opera della Divina Provvidenza nel tempo del pontificato di Leone XIII.[5] Allude anche alla originale sintesi interiore che il giovane Fondatore fece del clima socio-ecclesiale e degli indirizzi pastorali di quel tempo, avvenuta nel fuoco della sua ammirazione e devozione verso il Santo Padre e nel fervore carismatico e progettuale vissuto negli ultimi dieci anni del pontificato di Leone XIII.[6] 

Don Orione aveva imparato a conoscere e ad amare il Papa, come tale, e Leone XIII fin da adolescente, “Da Don Bosco ho imparato un grande amore al Papa”.[7] Nel 1889 Luigi Orione giunse al seminario di Tortona e il rettore, mons. Ambrogio Daffra, chiese proprio a lui, chierico di secondo anno di filosofia, di tenere una conferenza ai compagni di seminario durante la tradizionale accademia di fine anno, presenti il rettore e l’intero corpo insegnante.[8] Ricevette il plauso di tutti. Il testo della conferenza fu poi da lui rielaborato con il titolo “La Chiesa Cattolica e le glorie del divino e apostolico Sacerdozio” e offerto come atto di omaggio per il XXV anniversario di sacerdozio dell’arciprete di Pontecurone nel febbraio 1891.[9]

Il chierico Orione cominciò presto a svolgere qualche attività di apostolato per i poveri in nome della Chiesa. Andava a visitare le carceri di Tortona: “Io mi ci recavo fino da chierico per servirvi la Santa Messa; volli imparare a suonare il mandolino e mi recavo sotto le finestre delle carceri a suonare, acciocché si rallegrassero e fossero distolti dai cattivi pensieri che poteva loro suggerire la penosa solitudine”.[10] Si iscrisse e partecipò alle attività della “Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli” e della “Società Operaia di Mutuo Soccorso di San Marziano”. Ovunque infervorava con il suo amore al Papa e ai poveri.

Nel maggio 1891, era uscita l’enciclica Rerum Novarum e, qualche mese dopo, tenne una conferenza agli uomini della Società Operaia. Di essa sono conservate 9 paginette di Appunti. Si espresse esuberante nei toni, ma preciso nei contenuti.[11] Esaltò i meriti del magistero e della guida pastorale di Leone XIII. “Il secolo XIX troverà nella Enciclica “Quod Apostolici”[12] e nella “Rerum novarum”, la sua difesa, la sua salute, la sua felicità. Il secolo XIX butta fuori le sue fatali teorie e grida: per la scienza basta la sola osservazione. E Leone risponde «No! la scienza non deve scindersi dalla filosofia». E sorge il saggio Pontefice colla Enciclica Aeterni Patris illumina richiama il mondo della filosofia alla dialettica di S. Tommaso”.[13]

Queste risonanze entusiastiche del giovane Luigi Orione possono fare intuire quanto il magistero di Leone XIII possa avere inciso, più in generale, sulla tutta Chiesa di fine ‘800, intimorita e arroccata nei confronti della modernità.

“Io tremerei quando vedo che la società orgogliosa del progresso materiale lo separa dal morale e dall’intellettuale, se non sentissi Papa Leone che mi porge S. Tommaso e mi dice: come del pensiero filosofico così delle teorie esperimentali S. Tommaso è luce, fecondazione, movenza e vita. Potente è in questo secolo il desio di libertà; ma la libertà è come l’elettrico che, se non è guidato, corretto disciplinato, abbatte, schianta e rovina! Guai se i figli della luce non fossero stati illuminati da Leone XIII sulle strane teorie accumulate nel secolo nostro sul conto della libertà e del liberalismo. La magistrale Encicl. Libertas di Leone XIII sulla libertà ci diede il vero concetto, i confini, le leggi, tutto in essa si trova discusso, illustrato, condannato. Basterebbe questa enciclica a rendere immortale Leone XIII”.[14]

Alla “Rerum novarum”, Don Orione fece riferimento durante tutta la vita divulgandola e raccomandandola a fondamento dell’impegno cristiano. Ai giovani cattolici argentini raccomandò: “Consacrate la fervida vostra attività al programma sociale cristiano, datoci colla Rerum Novarum dall’immortale Papa Leone XIII”.[15] “Leone XIII è il gran padre di tutti, ma specialmente è padre dei poveri e dei lavoratori, è il più grande vindice delle giuste ragioni”.[16]

Il Vescovo Igino Bandi conosceva bene questo suo giovane chierico e, meravigliato, ne approvava le prime iniziative tra i ragazzi, tanto da decidere di mettergli a disposizione il suo giardino privato in episcopio e di inaugurare il primo Oratorio, il 3 luglio 1892, come una iniziativa della diocesi, “quale istituzione ricordo delle fauste ricorrenze giubilari del S. Padre Leone XIII”.[17] La gioia di Orione giunse al culmine quando mons. Bandi gli lasciò, a riconoscimento dei suoi sacrifici, il telegramma che Leone XIII aveva inviato per l’inaugurazione dell’Oratorio.[18]

Ai primi di ottobre di quel 1892, poté finalmente realizzare un suo sogno: andare a Roma per poter vedere il Papa. Il viaggio fu in treno e “Quando mi accorsi che ero già in territorio pontificio e che avevo passato l’antico confine – raccontava -, non potendo baciare la terra – tanta era in me la devozione e l’amore al Papa -, baciai, lacrimando, il pavimento del vagone di terza classe in cui stavo”. Purtroppo, però, non poté vedere il Papa. “Andai dal Maestro di Camera – prosegue il racconto – e implorai che mi facesse vedere il Santo Padre (…). Non mi fu possibile vedere il Papa, benché pregassi, a calde lacrime, perché me lo lasciassero vedere almeno da lontano, mentre passeggiava nei giardini. Il Signore volle da me questo sacrificio, che mi costò assai. Era il mio più grande desiderio poter vedere il Vicario di Gesù Cristo”[19].

Non ne restò avvilito tuttavia: essere entrato in Vaticano ed essergli giunto così vicino gli lasciò una profonda e commossa sensazione, come se fosse riuscito a vederlo. Ritornato a Tortona, trovò un invito al X Raduno dell’Opera dei Congressi, svoltosi proprio in quei giorni; rispondeva a chi l’aveva invitato: “Dica agli amici tutti ch’io aderisco pienamente al loro programma cattolico-intransigente. Dica loro che, se non fui al Congresso, si è perché allora ero al carcere Vaticano, a baciare le catene di Papa Leone XIII,[20] ed a giurargli fedeltà sin all’ultimo sangue (…). Io non riconosco altro Padre, alla mia fede ed alla mia patria, che il Papa, perché il Papa è il cuore della Chiesa ed il genio del Cristianesimo; perché il Papa solo fu il vindice delle patrie libertà: il creatore e redentore d’Italia”.[21]

Dall’apertura del primo oratorio si passò, il 15 ottobre 1893, all’apertura del primo Collegetto di Tortona, nato per “preservare, come disse Leone XIII, ed a ritrarre la gioventù dalle insidie della corruzione e dall'incredulità, ad opporre scuole a scuole; ed a preparare così una generazione novella”.[22] È ricordato che, nelle uscite a passeggio per le vie della città, ai ragazzi faceva cantare un inno con un ritornello che era un chiaro programma: “Leone è il duce che Dio ci dié”.[23]

La fama della passione di Don Orione nel parlare del Papa e del suo insegnamento si diffuse al punto che fu designato a tenere un discorso all’inaugurazione della Casa degli Oblati Vescovili, il 14 maggio 1894. Parlando delle benemerenze della Chiesa e del “suo” Papa Leone, il chierico disse: “In vetta alla rocca vaticana, di là si mostrò al mondo lumen de coelo… Il raggio della tua stella immortale, o Leone XIII, fuga le tenebre e le ricaccia agli abissi. Il tuo nome, la tua sapienza e il tuo amore saranno la gloria di due secoli”.[24]

Dello stesso periodo sono anche alcuni articoli scritti per “La sveglia del Popolo” di Voghera dal titolo Cattolici, unitevi! e L’Intransigente. Del Papa e dell’unità dei cattolici con il Papa continuò poi a scrivere sul giornale “La Scintilla”, da lui fondato nel 1895.

Il 10 gennaio 1902, proprio alla conclusione della lunga vita di Leone XIII Don Orione ebbe un incontro con il Papa in udienza privata, da lui stesso richiesta.

Fu mons. Misciatelli a comunicargli che gli era stata fissata un’udienza privata dal Santo Padre.[25]

Il giovane Fondatore ebbe la possibilità di esporre al Papa i suoi sentimenti e anche i suoi progetti. Lo stesso giorno dell’udienza informò il su vescovo, mons. Igino Bandi: “Mi sono inginocchiato ai (suoi) piedi come (davanti) al Signore. Non so dire la consolazione immensa provata; non so quasi neppur più quello che gli ho detto. Gli ho parlato dell’Opera e gli ho parlato di Voi. Mi ha detto tante cose, tutto quello che io volevo, più di quello che volessi o potessi desiderare. Mi ha detto: ‘Io conosco bene l’Opera, so e conosco che il vostro spirito è molto buono’[26] (…). “Presentai la Regola[27], la benedisse, la toccò; mi mise più di una volta la mano sulla testa, battendola, confortandomi, mi disse tante cose; anche di mettere nelle Regole di lavorare per l’unione delle Chiese d’Oriente. È questo – mi disse – un altissimo mio consiglio”[28].

Per Don Orione, il fatto più rilevante di questa udienza, oltre alla personale commozione, fu che Leone XIII gli disse “di mettere nelle Regole di lavorare per l’unione delle Chiese d’Oriente. È questo – mi disse – un altissimo mio consiglio”. Va detto che questa finalità ecumenica “di lavorare per l’unione delle Chiese d’Oriente”[29] non fu una indicazione di iniziativa del Papa, ma fu la conferma di quanto Don Orione aveva già scritto nella Regola a lui presentata, e su cui attendeva la parola autorevole del Papa, essendo un punto tanto nuovo ed anche delicato in quei tempi della Chiesa. Don Orione ritenne l’“altissimo consiglio” di Leone XIII la conferma definitiva dell’ideale di unione dei cristiani che lo Spirito già gli aveva messo nel cuore.

Quel pronunciamento del Papa fu ritenuto da Don Orione un fatto straordinario, “profetico”,[30] a cui farà sempre riferimento. Nel Piano e programma della Piccola Opera della Divina Provvidenza dell’11 febbraio 1903, presentato in vista dell’approvazione vescovile Don Orione ricordava che “Per volontà espressa del S. Padre, poi, è proprio di questo Istituto di coadiuvare, nella sua piccolezza, l’opera della Divina Provvidenza col faticare e sacrificarsi a togliere la confusio­ne dei tabernacoli, e a far ritornare alla piena dipendenza e unità col beato Pietro le chiese separa­te”.[31]

Nel Decreto di approvazione del vescovo Igino Bandi del 21 marzo 1903[32] è così espresso: “(…) Nessun desiderio è più vivo nel cuore dei suoi membri che di ricondurre – quando Iddio lo concederà – alla primitiva unità della Chiesa coloro che conoscono e confessano Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore del genere umano, pur vagando lontano dalla Sua Sposa (Leone XIII, De unitate Ecclesiae, 29 Junii 1896). Proposito quest’ultimo che, esposto a Sua Santità Leone XIII, ne fu ampiamente lodato e, col più benevolo compiacimento da parte del medesimo Sommo Pontefice, confortato dall’apostolica benedizione”.[33]

L’incontro e le parole di Leone XIII furono l’ultimo sigillo all’amore e alla figliolanza di Don Orione nei confronti di Leone XIII, Papa della sua gioventù, “queste cose che avvenivano il 10 Gennaio 1902  ai piedi del S. Padre Leone XIII”.[34]

Leone XIII morì il 20 luglio 1903, alle ore 16, dopo venticinque anni, cinque mesi e cinque giorni di pontificato. Fu sepolto nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

 

 


[1] Parola Va 43, VI 236.

[2] Deus caritas est 40

[3] In Italia, il partito politico cui Murri e Sturzo lavorarono si denominò popolare e non cattolico, volendo essere di ispirazione cattolica ma interclassista, seguendo le indicazioni dell'enciclica Graves de communi di Leone XIII. Di fatto fu costituito solo nel 1919.

[4] W. Kasper – A. Pacini- H. Vall Villardell – G. M. Croce, Leone XIII e il cammino ecumenico, Ed. Millennium Romae, 2007.

[5] Su Leone XIII e il suo influsso su Don Orione: Antonio Lanza, Leone XIII, il Papa della gioventù di Don Orione, “Messaggi di Don Orione” 35 (2003), n. 112, 35–51; Annibale Zambarbieri in Don Orione, Papi e papato in Aa.Vv., Don Orione e il Novecento, Ed. Rubbettino, 2003, pp.49-59; Idem, Centralismo romano e universalismo nella missione del Papato. La prospettiva di Don Orione: spunti, consonanze e accordi storici, “Messaggi di Don Orione” 34 (2002) n.107, pp.5-25.

[6] Il 1893 è l’anno della fondazione del primo “Collegetto” di San Bernardino, a Tortona, e il 1903 è l’anno del Decreto di approvazione canonica Diocesana della Congregazione.

[7] Parola IV, 427b.

[8] La conferenza, dal titolo ““Chiesa e Sacerdozio: Apologia” è collocabile a fine anno scolastico del 1890 o all’inizio del successivo, perché nell’indirizzo iniziale non si nomina il Vescovo, essendo vacante la sede vescovile di Tortona dall’aprile 1890 fino al febbraio 1891. Alcuni appunti sono conservati in Scritti 70, 214

[9] Testo riportato in Messaggi di Don Orione”, 2003, n.111, p.57-67.

[10] Parola IV, 397.

[11] Il lungo testo è conservato in un autografo di 9 pagine; Scritti 56, 27-33.

[12] In questa enciclica del 28 dicembre 1878, Leone XIII accomuna il socialismo, il comunismo e il nichilismo nel movimento di opposizione ai valori morali, gli istituti naturali, ai legittimi diritti di proprietà e di autorità.

[13] Il testo completo è in Appendice.

[14] Ibidem. L’enciclica “Libertas” di Papa Leone XIII, del 20 giugno 1888, tratta della libertà, fondandola nell'ordine del bene stabilito da Dio e confutando la visione della libertà dei razionalisti e dei naturalisti. Afferma i limiti della libertà di coscienza e della libertà d'insegnamento, difende la libertà della Chiesa di fronte allo Stato liberale.

[15] Alla “Federaciòn de la Juventud Catolica Argentina”, Buenos Aires, 26 maggio 1935; Scritti 83, 58.

[16] Scritti 100, 65.

[17] Cfr. DOPO I, 713.

[18] All’amico chierico Vincenzo Guido inviò la trascrizione di quel telegramma; Scritti 35, 6; anche Scritti 95, 50.

[19] Per tutta la vicenda, cfr. DOPO, I, 716-718.

[20] Il Papa era allora considerato prigioniero in Vaticano.

[21] Minuta in Scritti, 57, 160.

[22] Lettera del 7 settembre 1893; Scritti 75, 6.

[23] Scritti, 108, 154; D. Sparpaglione: Il Beato Luigi Orione, 9a edizione, 1998, p. 98.

[24] Scritti 79, 255; 56, 28. Il giornale diocesano riferì di un altro discorso, pronunciato a Novi Ligure, in occasione della cerimonia celebrativa del Giubileo episcopale di Leone XIII: “Orione fece l’apologia del Papato, e noi ci sentiamo incapaci di riprodurre, anche alla lontana, quei concetti sublimi. Fu un inno alla miracolosa istituzione; cavò le lacrime da più ascoltanti, e si ebbe, quasi ad ogni periodo, vivissimi applausi. Dio benedica quella lingua e quella penna!”; La Sveglia di Alessandria, 7 giugno 1894.

[25] Ne scrisse subito al suo vescovo, a Tortona: “In questo momento giunge mgr. Misciat telli, con un biglietto del Maestro di Camera monsign. Bisleti, che mi dice che domani mattina avrò udienza privata dal Santo Padre”; Lettera in data 9 gennaio 1902; Scritti, 72, 181. Informò Don Sterpi; Scritti 70, 349-

[26] Minuta di lettera a mgr. Bandi, in data 12 gennaio 1902 (Scritti, 45, 17). Dell’avvenuta udienza ne scrisse anche alle sorelle Fogliano: “Fu l’unica udienza che il Santo Padre diede quel giorno a privati. Ebbi tutto il tempo che volevo” (Scritti, 41, 12); a mamma Carolina: “Ieri sono stato ricevuto in udienza particolare dal Papa. Non potete immaginare con quanta benevolenza mi ha trattato” (Scritti, 40, 219) e al sig. Tommaso Canepa; Scritti 68, 5.

[27] Per ‘Regola’ si deve intendere un sunto, “i primi tre punti delle Costituzioni”, che Don Orione mandò in visione a don Sterpi nell’agosto 1901. Nel 2° punto era detto che la Congregazione si consacrava “con ogni studio e sacrificio di carità ad ottenere l’unione delle Chiese separate”; ADO, Relazioni: Sterpi, 1°;  Scritti 41, 12.

[28] Scritti 72, 187.

[29] Al riguardo, si veda Flavio Peloso, Ecumenismo: un raggio dell’Instaurare omnia in Christo. L’impegno ecumenico nei testi di Don Orione del periodo di prima formulazione carismatica, “Atti e comunicazioni della Curia generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza”, 51(1997), p.49-66.

[30] Mons. Giovanni Novelli, direttore del seminario di Tortona, nel suo Diario, riferisce il fatto racconta­togli da Don Orione, ed aggiunge che il Papa disse ciò “in un modo che pareva profetico”; Diario Novelli, ADO.

[31] Riportato in Le Lettere I, 16.

[32] “Il primo Decreto vescovile di approvazione dell’Istituto è opera del Cardinale Perosi”, riferisce Don Orione (Scritti 74, 215), ma era a tutti noto che il testo fu sostanzialmente redatto da Don Gaspare Goggi e rivisto Da Don Orione, come risulta da originali in archivio.

[33] Testo latino con traduzione italiana a p. .. .. Cfr F. Peloso, Don Orione, "un vero spirito ecumenico", Ed Dehoniane, Roma, 1997.

[34] [34] Lettera a Don Gaspare Goggi del 17 gennaio 1903, Scritti 68, 5.

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